Nella settimana in cui Messi è stato annunciato come vincitore del suo settimo Pallone d’oro viene da sorridere pensando a quanti, negli ultimi 15 anni, siano stati impropriamente paragonati al fuoriclasse argentino. Tanti ragazzi caricati di aspettative vedendosi affibbiati il solito soprannome, quel “Messi” seguito da qualche regione geografica.
Tre di questi sono passati anche per il nostro campionato, lasciando poche tracce e qualche rimpianto. 

Sotiris Ninis al Panathinaikos si è guadagnato con merito l’etichetta di predestinato. Ha esordito a 16 anni. A 18 anni sono arrivate la nomina a capitano e la prima convocazione in nazionale. Le sue prestazioni hanno portato la stampa sportiva greca, non abituata a grossi talenti, ad esaltarlo ed esaltarsi, appiccicandogli addosso un soprannome che adesso suona come una sentenza, quello di “Messi greco”. 
La somiglianza c’era. Il baricentro basso e i capelli leggermente lunghi e a caschetto ricordavano anche esteticamente l’allora attaccante del Barcellona, ma è soprattutto sul campo che Ninis si destreggiava in modo terribilmente simile al nativo di Rosario. Difficile non notare la palla incollata al piede sinistro, l’abilità di liberarsi al tiro in un millisecondo, la capacità di mandare in porta i compagni. Nel 2010 Ninis si è rivelato anche al mondo fuori dalla Grecia e lo ha fatto a scapito di una squadra italiana: la Roma. Nei sedicesimi di finale di Europa League il Messi greco fece letteralmente impazzire la difesa giallorossa tra gol, assist e giocate, portando il suo Panathinaikos a una clamorosa qualificazione. Pochi mesi dopo arrivò anche la convocazione al mondiale in Sud Africa, e la carriera di Ninis sembrava davvero pronta ad essere lanciata verso i palcoscenici più importanti. 
Le cose però non sono andate come previsto. Nella stagione 2010/2011 Ninis si ruppe il crociato, e a fine anno decise di lasciare il Panathinaikos per cimentarsi in un calcio più competitivo. Alla finestra c’era il Parma di Tommaso Ghirardi, determinato a sostituire il partente Giovinco con il talento ellenico. Ninis sbarcò in Italia seguito da grande entusiasmo, ma la prima annata italiana fu un fallimento, soltanto 15 presenze e una manciata di assist. Troppo fisico e tattico il nostro calcio, troppo grande il salto da una lega ancora poco sviluppata. Da lì una serie di decisioni sbagliate, prima il ritorno in Grecia tra Paok e Panathinaikos senza lasciare il segno, poi le esperienze senza successo in Belgio (Charleroi e Mechelen) e Israele (Maccabi Petah Tikva e Hapoel Ashkelon) che lo hanno portato a scivolare man mano lontano dai riflettori, ai margini del calcio. Nel 2017 Ninis ha confessato di aver addirittura pensato al ritiro, affranto dalle sfortune che lo seguivano e dalla piega presa dalla sua carriera. Nel 2020 è tornato in patria, al Volos, dove pur senza essere titolare ha ritrovato un discreto minutaggio. Soprattutto, sembra aver ritrovato la voglia di giocare e divertirsi, la cosa più importante. 

Giorgi Chanturia ha in comune con Messi qualcosa di più oltre al sinistro e a quel maledetto soprannome, il “Messi georgiano”. Ha effettivamente vestito la maglia del Barcellona, quella della squadra B, e con i colori blaugrana addosso ha lasciato il segno, marcando 11 gol e trascinando i suoi alla vittoria del campionato. In seguito a quel fortunato periodo catalano si scatenò l’interesse dei maggiori club europei e l’attenzione della stampa calcistica, che iniziò a parlarne come uno dei talenti più promettenti in circolazione. A frenarlo c’erano però l’età, ancora inferiore ai 18 anni, e il passaporto extracomunitario. Chanturia riuscì comunque a firmare con il Vitesse in Olanda, una scelta sensata per la sua crescita. Dopo una prima stagione passata a guardare gli altri giocare a causa dei suddetti problemi burocratici Giorgi iniziò a trovare il suo spazio e nel 2011/2012 mise a segno 4 gol in 31 presenze. Nelle stagioni successive però pagò la giovane età e i vari cambi di allenatore, faticando ad emergere. Così nel 2014 provò a rilanciarsi ripartendo da un livello più basso e accetto la proposta del Cluj, in Romania. In estate ecco una nuova occasione: l’offerta del Verona fresco di salvezza e alla ricerca di un sostituto di Iturbe. Chanturia colse la palla al balzo e accettò di sbarcare nel nostro campionato, ma quello che l’Hellas si trovò di fronte era un giocatore in condizioni fisiche approssimative, non pronto per l’impatto con un calcio impegnativo come quello italiano. Dopo soli 3 mesi quindi fu annunciato il suo ritorno in prestito al Cluj, con la promessa di ritrovarsi in tempi migliori. Promessa non mantenuta, perché da lì la carriera del Messi di Georgia prese una piega sempre peggiore. Il Verona lo lasciò andare e Chanturia si accordò con il Duisburg, in seconda serie tedesca, dove fece discretamente. Successivamente si trasferì in Russia, all’Ural, ma un brutto infortunio al crociato lo ha fortemente condizionato. Dopo un ultimo tentativo in patria, al Saburtalo, Chanturia è ora svincolato, e la sua strada sembra segnata verso il ritiro a soli 28 anni. 

La carriera di Gabriel Torje è quella di un journeyman del calcio europeo con qualche presenza in nazionale e addirittura un Europeo da mettere nel curriculum. Tutto normale, non parlassimo di uno arrivato in Italia con l’etichetta di “Messi dei Carpazi”, un appellativo che ricorda quello più fortunato di Gheorghe Hagi, a suo tempo accostato a Diego Maradona. Sì perché quando nel 2011 Torje arrivò all’Udinese dopo una stagione in doppia cifra in Romania, di lui si parlava come l’ennesimo diamante scoperto dalla famiglia Pozzo per sostituire Alexis Sanchez. Di talento il rumeno ne aveva e ne ha ancora tanto, ma il carattere fumantino e la presenza non proprio consistente in zona gol ne hanno frenato la riuscita nel calcio ai massimi livelli. Dopo la prima, deludente, stagione all’Udinese il club friulano decise di mandare l’esterno in prestito, nella speranza che potesse farsi le ossa e tornare più pronto. Speranza vana, perché pur giocando con buona continuità dal 2012 al 2016, tra Spagna e Turchia, Torje segnò soltanto 12 gol. Pochi, per un giocatore offensivo che ambiva a onorare i paragoni illustri che per lui si sono sprecati. Nel 2016 a farsi avanti fu solo l'Akhmat Grozny, che Torje accettò. Aveva però ormai perso fiducia e interesse, e dopo un'annata mediocre iniziò a vagabondare tra prestiti in Russia e parentesi poco esaltanti in Turchia e Grecia, con Sivasspor, AE LarissaBandirmaspor. Il ritorno alla Dinamo Bucarest, dove la sua carriera ha preso il volo 10 anni fa, sembra averlo rinvigorito, dandogli la possibilità quantomeno di godersi il tramonto della sua vita calcistica. A ricordarci quanto sia triste vedere l’ennesimo talento schiacciato da aspettative esagerate e celebrazioni premature, del resto ci siamo già noi.