Non voglio arrogarmi il diritto di provare a scardinare i vostri pensieri, ma credo ci siano buone possibilità che questa mattina non vi siate svegliati chiedendovi che squadra tifassero i grandi dittatori del ‘900. Non importa, perché qui sotto comunque troverete la risposta. Personaggi sanguinari, assetati di potere e disposti a tutto pur di conservarlo. Insomma non proprio uomini come noi. Eppure nella loro disumanità anche coloro che sono passati alla storia per tutte le ragioni sbagliate avevano una squadra del cuore. Qualcuno per davvero, altri invece solo per convenienza. Del resto da sempre il calcio è l'oppio dei popoli, così può rivelarsi come un brillante strumento di controllo e propaganda.

Per iniziare da casa nostra, quello di Benito Mussolini è un nome accostato spesso a svariate squadre di Serie A, senza però fonti certe che ne verificassero la reale appartenenza. Di lui si è parlato come tifoso della Lazio per via di una tessera che accettò in dono dalla società biancoceleste. Si è detto anche però che fosse in realtà tifoso della Roma, tanto da dare vita a una leggenda metropolitana per cui il primo scudetto romanista, quello del 1942, sarebbe arrivato proprio grazie alla spinta del Duce. Altre voci parlano invece di Mussolini come tifoso del Bologna, il che avrebbe sicuramente senso per motivi geografici, ma certezze non ce ne sono.
Le fonti più accreditate sostengono che in realtà il capo del regime fascista non fosse un grande appassionato di calcio, bensì di altri sport più "estremi" come ad esempio lo sci alpino, ma che ne abbia riconosciuto il grande peso all’interno della società e il valore propagandistico derivante da una nazionale in grado di vincere ai massimi livelli. 
Spostandoci sull’asse Roma-Berlino, negli ultimi anni si è diffusa la teoria che Adolf Hitler fosse un tifoso dello Schalke 04. Sulla veridicità di tale affermazione ci sono però parecchie ombre. Il club di Gelsenkirchen, dal canto suo, ha smentito con forza le illazioni, arrivando persino a pubblicare un comunicato stampa lo scorso anno in cui chiariva di non aver mai ospitato Hitler nel proprio impianto, né tantomeno di aver avuto un settore a lui dedicato. Probabilmente l’origine della storia è da trovare nei 6 titoli nazionali vinti dalla compagine della Westfalia durante il regime nazista, ma che Hitler amasse uno sport inventato dagli acerrimi nemici inglesi è tutt’altro che scontato. 

Le controversie intorno alla persona di Francisco Franco si espandono anche al suo tifo calcistico. Di certo, come i suoi altri colleghi dittatori, il generalissimo aveva capito l’importanza del calcio come mezzo di propaganda personale. Qualcuno dice che in origine fosse tifoso dell’Atletico Madrid per la sua amicizia col presidente Vicente Calderon e la vicinanza del club agli ambienti dell’esercito. Storicamente però esiste una forte affiliazione tra Franco e il Real Madrid, squadra regale. Il suo contributo fu fondamentale per l’arrivo di Alfredo Di Stefano e le vittorie in Europa dei blancos servivano a dare lustro alla Spagna. Nei momenti di difficoltà comunque non mancò di dare una grossa mano anche al Barcellona, tanto da sollevare il dubbio che fosse in realtà la squadra catalana a fargli battere il cuore. El Caudillo non solo salvò i blaugrana dalla bancarotta, ma finì persino per favorire l’acquisto dell’ungherese Kubala. Del resto non capitava tutti i giorni di poter accogliere uno dei migliori calciatori al mondo nel proprio paese e presentarlo come vittima di un sanguinoso regime comunista. Antonio de Oliveira Salazar, dittatore portoghese, pare non fosse per niente appassionato di calcio, e sul suo tifo le voci si rincorrono in modo molto confuso. Tifava Benfica, Sporting, forse Belenenses, nessuno lo sa con certezza. In quel di Porto sostengono semplicemente avesse una predilezione per le squadre di Lisbona, e dando un’occhiata all’albo d’oro del campionato portoghese il sospetto viene. Fondamentale fu soprattutto il rapporto che Salazar aveva con Eusebio, fuoriclasse del Benfica. L’ex-primo ministro esercitò enormi pressioni affinché l’attaccante nato in Mozambico non lasciasse mai il Portogallo. Per lui rappresentava un simbolo dalle mille sfaccettature e il personaggio più adatto a rappresentare contemporaneamente la grandezza lusitana riflessa nei risultati calcistici in Europa e il successo di una società coloniale che iniziava a scricchiolare. 

Per fare i dittatori, si sa, ogni tanto bisogna nascondersi dietro qualche menzogna. Augusto Pinochet per anni ha visto la sua immagine associata a quella del Colo Colo, squadra di maggior successo del campionato cileno negli anni del suo regime. Il club di Macul, sobborgo di Santiago, aveva una forte presa anche al di fuori della capitale ed era considerato la squadra del popolo. Pinochet quindi ne fiutò il forte potenziale propagandistico senza troppi problemi. A svelare l’inganno è stato anni dopo Ambrosio Rodriguez, braccio destro del despota cileno, che ha dichiarato come Pinochet fosse in realtà tifoso del Santiago Wanderers per sua stessa ammissione in una conversazione privata. Non si hanno notizie certe su Jorge Rafael Videla, dittatore argentino che forse più di tutti si è servito del calcio a scopo politico. Il mondiale del ‘78 organizzato e vinto dall’Argentina a Buenos Aires servì a coprire gli orrori del regime e il triste destino delle migliaia di desaparecidos finiti per sempre nelle acque del Rio de la Plata e dell’Atlantico. I fatti dicono che Videla sia stato socio onorario del River Plate, ma non c’è conferma che ne sia stato effettivamente un tifoso. Alcuni sostengono fosse hincha dell’Independiente. Chi lo conosceva da ragazzo però, come raccontato nel libro biografico El Dictador, smentisce. 

In Unione Sovietica le varie squadre di Mosca rappresentavano ognuna un diverso organo stataleStalin non era un malato di calcio, ma le sue simpatie erano rivolte verso la Dinamo, club associato al Ministero degli Interni e tifato dal suo fedelissimo Lavrentyi Beria, membro dell’NKVD. Quest’ultimo, di origine georgiana come lo stesso Stalin, era allo stesso tempo anche un tifoso della Dinamo Tbilisi, che trasformò in un mezzo di propaganda sovietica e stalinista in Georgia. Tifoso vero era Nicolau Ceausescu, il cui cuore batteva per i colori rossoblu della Steaua. Non che questo lo abbia fermato dal servirsi del club di Bucarest per scopi personali. Il sanguinario rumeno ebbe più di qualcosa a che vedere col ruolo amministrativo assegnato al figlio Valentin nella dirigenza della squadra. Dall’84 all’89 la Steaua vinse 5 campionati e  4 coppe di Romania non proprio nel nome dell’etica e della trasparenza. Soprattutto nell’86 arrivò la clamorosa vittoria della Coppa dei Campioni, tutt’ora il picco più alto nella storia del calcio rumeno.
Se sulla gestione politica potremmo avere qualcosa da ridire, non si può negare che a casa Ceausescu ne capissero di pallone.