È di qualche giorno fa la notizia che ha sconvolto il panorama calcistico nazionale, quando durante la partita tra Inter e Napoli il giocatore Koulibaly è stato preso di mira dal tifo interista a causa del colore della sua pelle. Da quell'evento in poi, in molti hanno mostrato verso il giocatore i più svariati gesti di solidarietà, ma, cosa a mio avviso ancora più incredibile, è stata che in molti si sono scandalizzati per il fatto che una parte (e sottolineo "una parte") del tifo nerazzurro sia razzista.

Eppure, i segnali li avevamo avuti. Balotelli fu uno di quei giocatori che più tra tutti venne insultato dai suoi tifosi, tanto che durante una partita contro il Barcellona gettò via la maglia nerazzurra strizzato dai continui sbeffeggiamenti offensivi e denigratori nei suoi confronti. E che il tifo interista sia di stampo fascista venne anche rilevato da un'indagine condotta dall'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive nell'ottobre del 2017. Ma solo dopo questo evento si è venuti a questa scoperta e per molti è stata una vera rivelazione, come se non sapessero o come se non credessero che una tifoseria possa avere una fede politica.

Come si arrivi dal tifare una squadra all'organizzazione politica, in verità, è un mistero ancora oggi. Nessuno capisce il motivo o il senso di questa azione. Villaggio aveva spiegato nel suo immortale Fantozzi il come, ma non il perché: «Gli italiani quando sono in due si confidano segreti, tre fanno considerazioni filosofiche, quattro giocano a scopa, cinque a poker, sei parlano di calcio, sette fondano un partito del quale aspirano tutti quanti alla presidenza, otto formano un coro di montagna».

Quindi, anche il calcio, così come ogni altro luogo in cui ci si ritrova in gruppi, risente di una fede politica, a volte anche "estrema", come nel caso della tifoseria interista. Ma subito dopo gli accaduti, la Società ha messo in chiaro che l'Inter non ha alcun'affinità con il pensiero estremista, anche perché dal suo atto di nascita si denota una volontà cosmopolita e così recitava la Gazzetta dello Sport di allora: «Scopo precipuo del nuovo Club è di facilitare l'esercizio del calcio agli stranieri residenti a Milano». Insomma, un club nato per integrare gli stranieri che si ritrova una curva che odia gli stranieri. Si capisce bene che ci sta un problema in questo ragionamento. C'è qualche svista, qualcuno ha interpretato male cosa voglia dire essere "interista" e nel corso degli anni ha deformato questo pensiero. Ma chi tra i due? I tifosi estremisti o chi rivendica una nascita cosmopolita?

Per rispondere a questo quesito dobbiamo riesaminare la storia del Club.
Tutti sanno che l'Inter nasce come un distacco dal Milan, il quale voleva accettare il diktat imposto dalla FIGC sul numero massimo di stranieri in rosa. Da qui la decisione di non partecipare al campionato federale e di creare un club a se stante in cui potessero giocare anche gli stranieri. E quello stesso club, l'Inter per l'appunto, ebbe come primo presidente un italiano di origini albanesi, nonché nella società vi era una forte pressione di associati svizzeri. L'Inter nasce, appunto, internazionale, aperta al mondo e a tutti i suoi colori.

Il contrasto con il Milan, però, si crea da subito. La maglia del club è quella stessa del Milan, dove al rosso viene sostituito l'azzurro, come a voler dimostrare di essere il contrario degli ex associati. Però, se il Milan era la squadra di Milano, dei quartieri popolari, degli operai, ben presto l'Inter divenne la squadra dell'élite della city, tanto che la tifoseria si distingueva in chi poteva andare allo stadio con la propria automobile (gli interisti) e chi poteva andarci solo con i mezzi pubblici (i milanisti). La diversità tra le due società divenne netta: gli operai in rossonero e gli imprenditori in nerazzurro. Due facce della stessa medaglia, costretti a convivere ma mai a venire a contatto, in senso ideologico.

Questo ha portato che dentro Milano, cosi come a Roma, essere di una squadra volesse dire essere schierato politicamente: un interista operaio avrebbe fatto ridere i suoi amici in tribuna, essendo occupata da borghesi e benestanti. Tifare una o l'altra compagine era una questione sociale prima che sportiva.

Ma come si arriva dalla borghesia al fascismo?
Secondo Carlo Levi, uno scrittore del Novecento, nello stato borghese è implicito il concetto di Fasciscmo. Le due cose andrebbero "a braccetto", come si suol dire.

Eppure, l'Inter è quella squadra che durante il Ventennio dovette cambiare il proprio nome, diventando Ambrosiana, proprio perché il Regime non vedeva di buon'occhio la sua internazionalità. E conclusa la parentesi mussoliniana, la società, immediatamente, tornò ad essere Inter, quasi a voler prendere le distanze dal fascismo.

Appare chiaro, quindi, che il concetto di "interista" è stato manipolato negli anni, creando una curva di tifosi estremisti che con questa società calcistica non condivide alcun senso ideologico, anzi, che con il mondo dello sport, in generale, non condivide nulla e, per questo, farebbe bene a non seguire né il club nerazzurro, ma addirittura a non seguire più alcun evento sportivo, perché hanno completamente travisato il messaggio che lo sport vuole trasmettere.

Quindi, l'interista di estrema destra è, per l'appunto, un'invenzione che sarebbe opportuno debellare dagli stadi e dallo Sport.