Qualche tempo fa scrissi un articolo parlando dei marosi che, ogni tanto, investono il Torino. In realtà i marosi possono colpire chiunque, qualsiasi società di calcio. Anche i nostri cugini ne sanno qualcosa con la tragedia dell’Heysel, con il terribile incidente a Scirea. Per questo, a suo tempo, fu espressa solidarietà dalla società granata. Nel caso del Torino, però, il fato si è accanito ancora di più, come in queste righe proverò ad esprimere. Non è mia intenzione comporre un elenco di sciagure. Alcuni sono solo fatti sportivi in cui, se la fortuna è cieca, la sfiga …. ci vede benissimo. Gli episodi di storia granata a cui farò cenno, spesso dipendono da limiti mani, e la sfortuna, in quei casi, non ha avuto luogo, ma trattandosi di fatti gravi, vanno citati ugualmente, a mio avviso.

Dunque, come tutti sapete, il Torino fu fondato nella Birreria Voight nel 1906 in Via Pietro Micca. Era l’anno del Bicentenario dell’assedio di Torino,  ed il Torino assunse come colore sociale, dopo un lungo processo decisionale, il colore granata, riferendosi ad un aneddoto verificatosi durante gli ultimi giorni dell’Assedio di Torino da parte dei Francesi, messi in fuga nei primi giorni di settembre del 1706. Come è noto, In quei giorni Vittorio Amedeo Secondo, Duca di Savoia e capo dell’Esercito Piemontese si recò in cima alla collina di Superga insieme con il cugino il Principe Eugenio di Savoia, comandante delle Milizie Mercenarie Austriache, giunto da poco in suo aiuto. I due, da quella posizione sopraelevata poterono osservare il campo di battaglia ed orchestrare il loro piano per rompere l’accerchiamento dei Francesi. Sulla via del ritorno, il Duca, consapevole che la prossima battaglia sarebbe stata l’ultima che il suo esercito e la popolazione di Torino potevano sostenere, fece il seguente Voto: “Se i Piemontesi vinceranno, farò erigere in questo luogo un magnifico tempio”. Pochi giorni dopo effettivamente i Piemontesi vinsero, mettendo in fuga i Francesi. La notizia della Vittoria fu portata da un messaggero a cavallo del Nizza Cavalleria. Pur colpito ripetutamente dal nemico, in particolare al collo, riuscì a portare la buona notizia al Duca di Savoia, prima di cadere di sella e spirare.

Bene, questa è la storia: si noti che in questi frangenti venne manifestata la volontà di costruire la basilica di Superga, che tutti ricordiamo essere stato l’edificio su cui si schiantò il 4/5/1949 l’aereo che trasportava il Torino di ritorno dall’amichevole di Lisbona. Inoltre le maglie del Torino divennero granata per commemorare quel Messaggero a cavallo che portò la notizia della vittoria al Duca di Savoia.

In poche parole nell’Assedio di Torino del 1706 avvennero due fatti storici che ebbero, due secoli dopo, una rilevanza fondamentale per la storia del TorinoFC. Non solo, ma la fondazione del Torino avvenne in Via Pietro Micca, celeberrimo per i  Torinesi che lo considerano un eroe per aver sacrificato la propria vita  impedendo ai Francesi di infiltrarsi nelle gallerie difensive della città. Questi fatti testimoniano il profondo ed indelebile legame del Torino FC con la sua città che spesso si manifestò nel corso della storia di questa squadra.

Verrebbe naturale parlare di Superga, ma prima capitarono altri due fatti notevoli per il Torino.
Negli anni della Belle Epoque, la squadra del Torino di fece subito onore con una bella compagine con elementi di classe che praticavano un bel calcio pionieristico. Queste capacità resero famosa la squadra che venne invitata in una tournèe in Sud America, in particolare in Argentina dove il Toro trovò non pochi tifosi, tutti piemontesi emigrati in Argentina per lavoro. I giocatori granata giocarono e vinsero parecchie partite in Sud America, fnchè i Venti di Guerra si fecero sentire anche laggiù, e tutti rientrarono con l’ultimo piroscafo disponibile. Giunti a Genova si videro accolti da una folla festante che agitava dei cartoncini colorati. I giocatori scambiarono i cartoncini come segnali di festa. Li attendeva invece una triste sorpresa: si trattava delle cartoline di leva, che li convocavano a destinazione. I calciatori partirono tutti, ma ahimè, quasi nessuno tornò. Tutta la formidabile squadra del Torino di allora scomparve così.

Dopo la guerra ci furono qualche anno in cui non si riusciva a parlare di sport, ma a poco a poco l’Italia si riprese ed il Torino tornò ad essere una protagonista. Nel 1924, arrivò il Conte Cinzano Marone che assunse la Presidenza del Torino, formando un’ ottima squadra, con il famoso trio Rossetti, Libonatti e Balonceri.
Ma il Conte fece di più, nel 1926, in cinque mesi costruì uno stadio su modello di quelli Inglesi, il Camp Turin, che divenne poi il famoso Filadelfia. All’inaugurazione assistettero Il Principe di Piemonte Umberto II erede al Trono, il Duca d’Aosta e la Pincipessa Maria Adelaide, madrina dell’evento.

I risultati si videro subito ed il Torino fu Campione d’Italia nel 1926 / 27. Ma la festa durò poco, sopraggiunse un bel maroso che spazzò via lo scudetto, revocato con una presunta combine da parte del Torino che avrebbe “comperato” un giocatore della Juventus per far vincere il Torino.

La realtà fu ben diversa, il giocatore della Juve fu il migliore in campo, non fu pagata nessuna bustarella, ma un gerarca fascista, tifoso del Bologna, secondo classificato, insistette molto perché lo scudetto fosse revocato al Torino, ma non fu mai assegnato a nessun altro. Dicono che Mussolini in persona mise a tacere tutto, ma il Torino nonostante numerosi ricorsi, non recuperò mai il suo meritato scudetto. In compenso vinse l’anno dopo, ma successivamente il Conte Cinzano Maroso non sopportò l’onta e lasciò il Torino nel 1928, ricordato per sempre come il primo grande Presidente del Torino, che lasciò il Camp Turin, Filadelfia, alla società, campo in cui anni dopo si svolgerà l’Epopea del Grande Torino.

Dopo lunghi anni in cui il Torino non si pose in particolare evidenza, assunse la Presidenza Ferruccio Novo, persona molto appassionata e competente, si circondò di persone capaci e con i loro consigli e informazioni, incominciò con Ossola una serie di acquisti, fra cui Loik, Mazzola e Gabetto. Mise in salvo i giocatori dalla guerra, evitando loro il servizio militare perché non si ripetesse quanto successe nel 1915 - 18, mettendoli a servizio  della Fiat che poteva dare come copertura l’esenzione dal servizio militare come fabbrica costruttrice di armamenti. In quegli anni si fece onore come Comandante  Partigiano Bruno Neri, ucciso a 33 anni, in uno scontro a fuoco dai Nazisti. Forte Mediano del Toro prima della Guerra, si rifiutò, in Nazionale, di effettuare il saluto fascista, alla partita di inaugurazione dello stadio di Firenze, e ne fu estromesso.

La tentazione di raccontare il Grande Torino è molto forte, ma il tema di questo racconto è un altro. Dopo anni di vittorie, di record, alcuni ancora imbattuti, il Grande Torino, come fu chiamato ancora in attività, divenne un po' in tutta Italia, la squadra emblematica del nostro Paese, cercando di abbattere pregiudizi sul nostro popolo. Quei pregiudizi contro cui, ricorderete, dovette battersi De Gasperi durante il primo discorso alle Nazioni Unite e negli anni successivi. Fu così che quella squadra si fece amare perché divenne la squadra di tutti gli italiani, che li aiutava, nelle dure avversità di allora, a superare alcuni momenti di scoraggiamento, con un goal, una vittoria, un quarto d’ora granata descritto alla radio dal Grande Nicolò Carosio.
Eppure, quel fiore così bello, come scrisse Giovanni Arpino, un giorno si schiantò sui muraglioni della basilica di Superga, senza una logica, senza un perché. La notizia scese rapida dalle pendici della collina, chi era sul posto comprese subito chi fosse caduto. La tremenda notizia si sparse per tutto il Paese e immediatamente si comprese il giornalista che diede la notizia alla radio: “Non ci sono notizie di superstiti”. Erano morti tutti insieme, calciatori, allenatori, giornalisti al seguito, tutto l’equipaggio. Quella squadra simbolica era scomparsa alle 17,03 del 4 maggio 1949.

Le esequie furono imponenti: circa 600.000 persone, stipate per ogni dove lungo le strade ed i corsi di Torino, salutarono ammutoliti il passaggio dei loro Campioni  a partire dal più bel palazzo di Torino, Palazzo Madama, trasportati a due a due su di un camion militare. Gli unici suoni udibili fra la gente a Torino furono i sommessi brusii dei motori dei camion e le piccole pietre che, schiacciate dalle ruote si frantumavano di schianto.
Ai campioni del Grande Torino, agli Invincibili, a quella squadra che sarà pensata sempre in trasferta, alla loro leggenda, fu assegnato il loro ultimo scudetto del 1948/49.

Ferruccio Novo, il loro presidente, cercò di ricominciare, ci fu chi aiutò con l’Iniziativa Torino Simbolo, chi in altri modi. Ma nessuno riuscì più a riaversi. Il Presidente Novo, il più colpito, lui che aveva costruito una famiglia con quei ragazzi, lasciò la Presidenza nel 1952.

Trascorsero lunghi anni. Qualche volta il Torino faceva una prodezza, una buona annata, Finchè giunse Orfeo Pianelli. Grandissimo Presidente Appassionato. Anche lui incominciò a formare una squadra, piano piano  quasi in sordina.
Un giorno acquistò dal Genoa Gigi Meroni, estrosa ala destra. Il pubblico si innamoro subito di quell’artista, di quel campione che riusciva a fare cose incredibili. Sia col pallone, sia a spasso per Torino, vestendo capi esclusivi, disegnati da lui, poi andando a spasso in Via Roma con una gallina al guinzaglio, fece scalpore, lo sfottevano, mentre era lui a sfottere le signorine della Torino bene con i cagnolini al guinzaglio. Talvolta le parti sembravano invertirsi: lui faceva il cagnolino e la gallina la signorina. Si divertivano tutti a vederlo prendere in giro bonariamente quella Torino troppo normale, ancora aristocratica, che stava incominciando ad ascoltare i Beatles aspettando il 1968, che quasi stava arrivando.
Ma prima che arrivasse il 1968, purtroppo se ne andò Meroni. Volevano portarcelo via, alla Juventus, l’Avvocato voleva togliersi lo sfizio, quel pittore stravagante gli piaceva, soprattutto gli piacevano i suoi dribbling. Ma vi fu una sommossa, in ogni modo possibile. Chi ritirava una macchina nuova alla Fiat, trovava sotto il sedile un volantino che inneggiava a Meroni e ai tifosi granata che non volevano andasse alla Juve. Tanto fu fatto e tanto fu detto che i due Presidenti, Pianelli e Agnelli, si accordarono per il momento di soprassedere.

Si arrivò così al 15/10/1967, Torino – Sampdoria 4 – 2. La mia prima partita allo stadio, proprio per vedere Meroni. Mai avrei immaginato che quel giorno avrei salutato Gigi per sempre: erano mesi che cercavo di andare allo stadio con mio zio che mi raccontava sempre del Grande Torino. Quella volta lo Zio convinse mio padre a lasciarmi andare. Promisi di stare vicino a lui sempre e di ascoltarlo, poi andammo.
Meroni giocò da par suo, ricordo di un suo contropiede, la palla si impennò, lui la ricacciò con la testa sui piedi e s’involo verso la porta. Ancora adesso se chiudo gli occhi rivedo la scena.
Il mattino dopo la mamma, a colazione, mi diede la notizia e scoppiai a piangere a dirotto, fu quello il mio piu grande dolore della mia vita per i miei primi 10 anni. Anche a scuola piansi molto, stupendo il maestro, Poi piano piano mi feci forza anche grazie ai miei compagni che mi capirono, forse mi capì anche il maestro, che quel giorno mi lasciò in pace. Credo che fu lì che compresi ciò che scrissi anni dopo in una mia poesia che consegnai a Mr. Ventura: “Essere del Toro, essere da Toro, vuol dire amare le cose semplici, e prendere qualche volta a calci il destino.”

Anni dopo scoprii che la targa della Balilla di Meroni riportava esattamente la data dell'incidente e quattro numeri 7, tante quante furono le squadre in cui giocò con quel numero sulla schiena, Incredibile!

Non voglio scordarmi di quella maledetta palla, respinta da Lippi oltre la riga, che ci negò lo scudetto con Giagnoni, conquistato poco tempo dopo, ma gli anni successivi di Pianelli furono molto belli, finchè si arrivò all’apoteosi dello scudetto, per sfiorare il bis l’anno dopo, quando ce ne mancò uno. E chi fu? Dopo una gioia enorme come quella di aver visto uno stadio tutto granata ed alla fine urlare Campioni – Campioni senza nessuno che invadesse il campo, fu una gioia stupenda, indescrivibile.

Passarono pochi mesi, quando Giorgio Ferrini, capitano di tante battaglie del Torino, ci lasciò. Andai a salutarlo al Filadelfia, alla “casa del popolo granata” dove lo vidi mille volte insegnare grinta ai giovani del Torino. Durante la funzione osservai bene il Filadelfia, come era sempre stato, prima che fosse abbandonato e poi abbattuto quasi completamente. C’era il cortile con la sternia (ciottolato) il balcone con le maglie lavate appese. Si respirava aria di Toro, un clima probabilmente irripetibile, che se n’è andato per sempre non solo con la demolizione ma con la lunga inattività del Filadeldia. Per anni rimase impraticabile, per anni me la presi con i fautori di quel disastro e seppi poi di tutto ciò che avevano trovato nel Filadelfia in corso di demolizione, buttato come nell’immondizia, recuperato dai ragazzi del Museo del Grande Torino e della leggenda granata.

Al Filadelfia ho un ricordo molto caro: Mondonico non stava bene, allora per fargli coraggio, ci recammo in molti al Filadelfia muniti di una sedia. Sul prato  degli Invincibili, alzammo la sedia al cielo, come fece lui ad Amsterdam, in occasione della finale UEFA, quando l’arbitro negò il rigore a Cravero, in quella maledetta finale in cui la palla non volle entrare  e colpimmo tre pali.
Ci fu anche chi lasciò fallire il Torino, di cui veramente non vorrei parlare, se non per ricordare i Lodisti che riuscirono, da soli, a realizzare l’impresa di salvare il salvabile con la loro passione, dando una speranza a tutti.

Il fallimento del Torino e la distruzione del Filadelfia sono stati i due marosi piu forti, in tempi recenti, quelli che per ora hanno spianato tutto e contribuito fortemente ad una situazione di stallo. Se non di immobilismo, con qualche barlume sporadico.  
Ultimamente qualche barlume la squadra l'ha dato con Juric e soprattutto con Zapata, a cui dedico l'immagine.

In ultimo vorrei ribadire un concetto: il Torino FC è un pezzo importante della storia della città, spero di aver contribuito a descriverlo in tanti modi. La storia di Torino e del Torino compongono un binomio di cui aver cura, secondo me. Questo significa continuare con la Mole illuminata il 4 maggio, con l’Olimpico intitolato al Grande Torino, con il Filadelfia, con il Robaldo e con il dare la possibilità al Torino di auto finanziarsi, come è già stato fatto con altri. Niente di nuovo, tutto più o meno già iniziato.
Quello che manca, secondo me, è lo scoccare di una scintilla, della volontà nell’animo di tutte le componenti granata per realizzare un progetto che riunisca tutte le iniziative, che dia speranza e sintonia a tutti gli interessati. Un progetto lungimirante con una volontà comune, che serva alla città di Torino a colmare quei vuoti, o parte di essi, che si stanno creando da tempo. Che porti lavoro a Torino, cultura, qualità della vita e tanto sport genuino.

Mi rendo conto che la mia passione è esondata e di essere andato oltre le mie intenzioni. Pazienza, ho solo espresso dei vaghi buoni propositi per farmi comprendere.
Adesso chi può agisca, chi può metterci del suo lo faccia, ma lancio un appello: non lasciamo languire il Torino e la sua città.

FVCG