Oggi, cari amici, rallegrato dalla prova positiva del Toro di ieri, mi sento di parlarvi di un argomento che mi sta a cuore. Nel nostro Paese, molte cose sono cambiate o stanno cambiando spesso secondo canoni originali che possono non essere condivisi. Fra queste anche il calcio, da cui derivano non poche preoccupazioni o perplessità agli addetti ai lavori e a chi sostiene questa attività che desidero ancora definire sport.

Come ultima questione proprio in questi giorni si stanno svolgendo delle inchieste sulle vicende legate alla proprietà del Milan, a quanto pare l’ennesimo pasticcio in un ambiente che sta perdendo progressivamente la sua collocazione nell’interesse della gente e la sua dignità.
Scandali e sciocchezze come quelle che si leggono sui giornali in merito alle squadre più importanti del nostro campionato, a proposito di illeciti amministrativi vari, di plus valenze gonfiate,  debiti oltre i limiti consentiti, di calcioscommesse e via dicendo, sono ormai all’ordine del giorno. Tutta questo insieme di regolarità perpetuate da alcune società di primaria importanza, pilastri della storia italiana del calcio, le più prestigiose, anche portatrici di stelle sulla maglia, che dovrebbero essere l’orgoglio e l’esempio del calcio italiano non hanno esitato a ricorrere a escamotage redditizi a dire poco azzardati. Tutto l’ambiente, a causa di questi illeciti, che qualche “creativo” applica ad personam, rischia una ingloriosa catastrofe che, prima o poi potrebbe avventarsi su questo sport, che potremmo chiamarlo ormai un’ industria a pressocchè libera conduzione finanziaria. Per limitare “sudditanze psicologiche” è stato fatto qualche tentativo tecnologico, che ha inizialmente dato i suoi frutti, come il VAR. Ma quando si è scoperto che con il VAR potevano essere assegnati rigori anche contro i mostri sacri, quelli cioè che senza il VAR vincevano sempre, allora si è tentato di impapocchiare e modificare le regole, in modo che conti nuovamente la discrezionalità dell’ arbitro se, per esempio, è in posizione  favorevole per giudicare. In questo modo, superata la fase sperimentale, si è vanificato uno sforzo eseguito grazie alla tecnologia. ma molto costoso, buttando alle ortiche un sacco di soldi e si è tornati alla discrezionalità, agli errori o presunti tali, scontentando tutti.
Ma è mai possibile? Le avevamo trovate, ma di nuovo non ci sono più regole uguali per tutti!

Anche i contesti sociale in cui operano le società hanno fornito aiuti cospicui, come terreni a 1€ / mq. per costruire supermercati e locali di ristorazione di cui una squadra gode i benefici, raddoppiando il bilancio. E visto che ciò non bastava, per rimpinguare ulteriormente gli introiti, si sono chiusi gli occhi sulle plusvalenze.
Poi è arriva la sentenza che ha sancito che questo vulnus al calcio è addirittura lecito.
Tutta questa storia a me, come a tanti come me, non piace. Seguo il Toro che non è fra le squadre che ho citato prima e che, se tutti rispettassero le regole, forse potrebbe ancora dire la sua. Nonostante tutto, nel suo piccolo la dice, anche se il suo  Presidente viene rimproverato per la sua parsimonia, ed in effetti qualche sforzo in piu se lo potrebbe permettere.

Questo clima, che lascia l’amaro in bocca e toglie il divertimento, sta consentendo ad altri sport emergenti, come il tennis, il rugby, lo sci, il ciclismo, la scherma, il nuoto piano piano di erodere i supporter al calcio. Questo non sarebbe male, ci potrebbe essere spazio per tutti. Ma uno spettatore, se esce dallo stadio sempre deluso dalla sua squadra, rischia di staccarsi e di andarsi a divertire altrove. Sarà difficile farlo ritornare. Caro Boniperti, tu hai insegnato a tutti che “Una sola cosa è importante: vincere”. Non hanno capito che lo dicevi in senso sportivo ……. Se conta solo vincere, qualsiasi illecito può essere commesso pur di acquistare gli uomini migliori a qualunque prezzo e creare una squadra che fa collezione di scudetti.

Oltre a questo servono le comodità vicino agli stadi, locali che servano anche in settimana, per scucire soldi dalle tasche di chi può. E allora quanti ancora possono? Gli spettatori forse calano? Direi di si, infatti gli stadi moderni spesso hanno una capienza minore. I ragazzini imparano a giocare al pallone come un tempo? Non credo. Un tempo il supporter studiava la storia della sua squadra. Adesso? Sono sempre di meno quelli che lo fanno e sempre di piu quelli che si rivolgono ai propri calciatori al loro primo errore con epiteti indicibili e prendono lo stadio come punto di ritrovo per combattere assurde battaglie con i tifosi avversari, distruggendo tutto ciò che capita a tiro. Un tempo si diceva che anche il calcio insegnava a vivere, ad accettare le sconfitte. Non credo proprio che sia ancora così, abbiamo tutti davanti agli occhi certe scene, purtroppo.

Fortunatamente ci sono ancora società che allevano bene i ragazzi. Di fronte a casa mia c’è un bel campo in sintetico misto dove si allenano diverse squadre giovanili. Spesso mi guardo degli scampoli di partita. Ieri mi ero appena affacciato, quando un ragazzino di circa dieci anni, al centro, con un dribbling secco, si liberava dell’avversario involandosi verso la porta da solo. A quel punto il portiere avversario è partito come un Freccia Rossa dalla sua’area per lanciarsi  contro l’avversario. Il contatto è stato inevitabilmente violento; entrambi i giocatori cadono a terra per il colpo, ma l’attaccante non si rialza, se non dopo lunghi massaggi. E’ stata, quella del portiere, un’ uscita molto pericolosa che poteva far male seriamente all’avversario. L’arbitro non estrae il rosso, ma il portiere viene sostituito immediatamente dal suo allenatore. Il Mister prende da parte il ragazzino, che forse si sentiva l’eroe che aveva salvato il goal. Ed invece l’allenatore gli stava spiegando che non è sportivo, se rischi un goal, entrare come un kamikaze sull’avversario malcapitato. Bisogna stare attenti a non fargli male se non involontariamente, bisogna avere rispetto.

Ecco, il punto sta qui: in questo calcio non c’è piu rispetto per nessuno. Tutti possono soddisfare ile proprie aspettative a qualunque costo,  fare degli squadroni, e gli altri facciano i comprimari, loro ed i loro tifosi. Non è questo il calcio che ho praticato, non è questo il calcio che insegnava quell’allenatore al portiere.

Conosco giovani promettenti che, quando si è trattato di fare il passo e diventare professionisti, quando hanno capito com’era il clima del professionismo, si sono tirati indietro, e si sono dedicati ad altro. Ed hanno fatto bene, secondo me.
Ho visto la prima partita di calcio a 10 anni, il 15/10/67, l’ultima partita di Gigi Meroni con la Sampdoria. Poche ore prima che Gigi finisse sotto le ruote di un’ auto in mezzo a Corso Re Umberto, nel centro di Torino, a fianco del suo amico Poletti, rimasto incolume. La data dell’ incidente era già scritta da tempo sulla targa della sua Balilla insieme ad altri quattro numeri 7, il numero sulle spalle di Gigi nelle quattro squadre in cui giocò. Un segno del suo destino. E’ proprio così sapete? Potete controllare la Balilla è al Museo del Grande Torino a Grugliasco.

A quei tempi non c’era ancora il 13° giocatore. Se uno si infortunava, andava all’ala sinistra, e talvolta segnava il cosiddetto goal dello zoppo. Poi arrivò il 13° con il portiere e quindi via via sempre di piu, finche dall’epoca del COVID un allenatore può rivoluzionare l’intera squadra con ben 5 finestre di cambio. I calciatori, se fa caldo, hanno diritto ad un rinfresco a metà di ogni tempo, e manca solo che si facciano la doccia in campo. Cullati, bambagiati, con le tasche straripanti di soldi, alle volte sembrano facciano finta di correre dietro a un pallone e lo chiamano calcio. Pensate a Ferrini che si ruppe un piede e si fece stringere al massimo i lacci della scarpa e in quel modo fini la partita con quello spirito indomito che ben conosceva Giorgio, che non si dissetò mai con tutto comodo a metà tempo. Ed adesso qualcuno si chiede dov’è finito il tremendismo?

Il tremendismo, insegnato da Radice nel 1976, ma che mi venne raccontato un giorno al Filadelfia, da un anziano tifoso. Ogni tanto il Grande Torino, in casa, non si impegnava a fondo. Dopo un po’ il pubblico si spazientiva ed incominciava a battere i piedi sonoramente sui gradini in legno della tribuna, finche si alzava in piedi un uomo, Oreste Bolmida con la sua tromba da capostazione. Il pubblico intuiva la sua presenza finche lui suonava la tromba, uno unico squillo, prolungato. A quel segnale, Valentino Mazzola si fermava, dava uno sguardo al Trombettiere del Filadelfia, e si tirava su le maniche, guardando ad uno ad uno i suoi compagni, che comprendevano subito che da quel momento si doveva dare tutto. E per un quarto d’ora, il quarto d’ora granata, i giocatori del Grande Torino si scatenavano e travolgevano l’avversario con numerosi goal, chiunque fosse. Credo che il quarto d’ora granata sia stato l’essenza del tremendismo che tanti anni dopo consentì al Torino di vincere lo scudetto del 1976.

Quanta nostalgia  parlare di quel calcio del Grande Torino, di Gigi Meroni, di Giorgio Ferrini, dei Campioni del 1976 e di tanti altri, d comporre il disegno di un Toro sulla maglia Granata..
Spero ancora di vedere delle squadre che somiglino a quei campioni, con la maglia del Torino addosso e veder mio nipote contento per il Torino, veramente contento, assieme a me ed a suo padre, un giorno allo stadio del Grande Torino, quando certe brutture saranno state capite e superate.