L’omonimo articolo lo avevo scritto all’indomani dell’attacco di Hamas nel territorio israeliano e, partendo dagli errori arbitrali di Marassi in Genoa – Milan, giungevo in Terra Santa, oramai, più che santa, terra di martirio.

Oggi sento la necessità di tornare sull’argomento. In punta di piedi, tentando di toccare, più che le notizie di cronaca, il dolore e le situazioni sospese che, a distanza di decenni, continuano a mantenere quell’humus che favorisce quel clima di odio e terrore, di dolore e rivalsa che continua a tormentare i popoli che abitano poco pacificamente quel piccolo spicchio di mondo. Il mio non vuole essere un reportage o un articolo di denuncia. Non è il mio mestiere. Non ne avrei la capacità. Non vuole essere un articolo qualunquista o di parte. Non voglio fare il tifoso. Non vuole essere la risposta alle brutture del mondo. Sono molto più complicate di quanto io possa pensare di comprenderle. È più una raccolta di pensieri sparsi e domande spinose. Nell’omonimo articolo parlavo di un conflitto dormiente, figlio di una gestione della questione mediorientale lasciata in sospeso per troppe decadi, rumorosamente svegliatosi con l’infame assalto di Hamas; dei boicottaggi che negli anni si sono susseguiti come risposta ad ogni singolo tentativo di normalizzare la situazione e riappacificare i popoli.

Ora, a distanza di una settimana dall’inizio della tragedia, la situazione è definitivamente deflagrata e difficilmente gestibile. Le notizie che sopraggiungono sono terribili. Parlano di morte, di odio, di innominabili sofferenze e di un’escalation che tutti, a parole, vorrebbero fermare ma che di fatto, continua a crescere.

Ma ciò che più mi spaventa è un’altra cosa. L’assuefazione al dramma. Al dolore procurato. Alla morte violenta. Un’assuefazione che abbiamo pian piano acquisito con l’esplosione del Covid-19. Molto rapidamente ci siamo abituati alle notizie ed ai bollettini quotidiani che traducevano in numeri il dolore, rendendolo pian piano, se non accettabile, tollerato. Ci siamo abituati all’idea che cento morti al giorno fossero ineluttabili, irreparabili, si, tuttavia inevitabili, e, di conseguenza, pian piano accettabili. Ed il conto dei morti iniziò a crescere vorticosamente, verticalmente, sino a quella sera delle immagini shock dei camion militari portatori di morte tristemente incolonnati nelle strade delle zone più colpite dal virus.

Ricordo, poi, l’ansia e la trepidazione alla vigilia dell’attacco russo in Ucraina. Sembrava impossibile!! Ma la guerra era di nuovo alle porte! Ed era una guerra pericolosa. Che ci avrebbe sicuramente coinvolti anche se ancora non si sapeva come... Ci siamo, molto rapidamente, abituati alle immagini dei bombardamenti delle città ucraine, alle morti dei civili prima, ed alle fosse comuni poi. Al fatto che, anche se indirettamente, eravamo coinvolti anche noi. Sostenendo l’ucraina con aiuti umanitari prima, e militari poi... Pagando il prezzo della guerra con gli aumenti dell’energia elettrica e dei carburanti, con l’aumento dell’inflazione e dei tassi d’interesse e tante altre piccole o grandi rinunce. Ci siamo abituati all’idea che si sarebbe trattato di una guerra lunga. L’Ucraina non era più data per spacciata e grazie agli aiuti militari provenienti dall’occidente, era addirittura in grado di tener testa alla grande armata russa riguadagnando persino terreno. Mesi fa ci siamo abituati (ci hanno pian piano abituato) al fatto che non esiste la bomba atomica, esistono armi nucleari strategiche terrificanti (tipo Armageddon) ed armi nucleari tattiche, che non sono buone, ma nemmeno così cattive... utilizzabili in campo di battaglia. Potenti al massimo da una a dieci bombe di Hiroshima... una cosetta, insomma... abituiamoci all’idea...

Ci siamo da tempo abituati al fatto che in Medioriente la vita vale poco... in alcune parti meno che in altre, in alcuni momenti meno che in altri, ed oggi men che maiCi stiamo abituando al fatto che la morte di civili, donne e bambini compresi, sono effetti collaterali della guerra. È così, non ci possiamo fare nulla. Abituiamoci all’idea...Ci stiamo abituando ad accettare tutto! Non facciamo più neppure caso al fatto che tutto è giustificato. Che le morti non sono mai uguali. Che le azioni non sono mai uguali. Che i giudizi non sono mai uguali. Dipende... da chi è, o dovrebbe essere, responsabile di ogni singolo evento: se lo subisco è terribile, un crimine di guerra, un crimine verso l’umanità; se ne sono responsabile, invece, è un atto inevitabile. Una triste conseguenza di qualcos’altro. E, sia chiaro, è una questione che riguarda tutti! Russi ed Ucraini. Palestinesi e Israeliani.

Quando la comunicazione è al servizio della guerra, diventa propaganda. A Gaza un’esplosione ha distrutto un ospedale. Si parla di centinaia di morti. La corsa alle responsabilità è partita immediatamente... o quasi... Secondo Gaza è un crimine di guerra: Israele ha volontariamente bombardato l’ospedale. Secondo Israele l’ospedale è stato colpito da un missile di Gaza. Forse a causa di un guasto, forse intercettato in volo.Forse non sapremo mai, con assoluta certezza, cosa sia effettivamente accaduto. Alcune ricostruzioni, supportate anche da video, avallerebbero la tesi israeliana.

Ma c’è un neo che mi ha (non) sorpreso: in un primo momento Hananya Naftali, portavoce israeliano, aveva pubblicato un tweet in cui sosteneva che all’interno della struttura si trovassero i terroristi di Hamas, motivando così il bombardamento da parte di Israele. Subito dopo, in seguito alla versione ufficiale israeliana che riconduceva l’esplosione ad un missile di Gaza, il tweet è stato rimosso e sostituito con uno in linea con la versione ufficiale. Io non so come sia andata, ma quel tweet precoce una cosa me l’ha confermata: le versioni cambiano a seconda di chi siano gli attori protagonisti. La “verità” è al servizio della guerra e delle sue strategie, mai il contrario! Se ti bombardano e muoiono civili è un crimine di guerra, se lo fai tu, erano scudi umani la cui responsabilità ricade sul nemico.

Questa guerra viene da lontano. Dalla metà del secolo scorso. Situazioni mai risolte. Interessi “superiori” a voler lasciare le cose come stanno. Ma questa situazione ha avuto un costo enorme per le popolazioni. Per entrambe le popolazioni. Vivere in Cisgiordania non è mai stato facile. Vivere a Gaza anche peggio. Ma anche in Israele la vita non è mai stata semplice. Genitori che mandavano i figli a scuola con due autobus differenti per evitare il rischio che potessero morire insieme in caso di attentato, metal detector ovunque, un paese militarizzato insomma. Ogni famiglia ha conosciuto un lutto figlio di questa contrapposizione. Tutte storie che mettono i brividi!

E tu, da che parte stai?
Sembrerebbe questo l’importante! Devi schierarti! E non sbagliare mai fazione! Il mainstream detta la rotta. Non puoi sbagliare. Io? Io ho scelto già da tempo da che parte stare:

Io sto con gli ippopotami!!
Sto con il padre che ha perso la figlia che era andata a ballare.
Sto con gli ebrei che in tutto il modo stanno rivivendo l’incubo della Shoah, un’antica caccia all’uomo che incomprensibilmente si ripropone, secolo dopo secolo, con differenti motivazioni e modalità.
Sto con le famiglie che sopravvivono o sub-vivono a Gaza da decenni, tra fame, dolore e odio che cova...Sto, insomma, con chi subisce questa situazione. Con coloro che hanno i vestiti sporchi di sangue, non le mani.
Con coloro che subiscono le scelte altrui. Quelle scelte dettate da molteplici interessi contrapposti che poi trascinano inesorabilmente le persone nel vortice di odio e distruzione a cui assistiamo. Io sono schifato dalla facilità e semplicità con cui vogliono abituarci alla morte ed alla violenza. Al modo in cui vorrebbero che guardassimo al nemico di turno: con odio e disprezzo verso un essere inferiore, un animale a due zampe. È ciò che richiede una guerra affinché sia accettata.

Io no. Io non ci sto. Io sto con gli ippopotami!