La svolta epocale che avrebbe dovuto rilanciare il nostro calcio giovanile sulle ali di un modello spagnolo, collaudato e funzionante, si è inceppata subito ai nastri di partenza, al primo scatto in progressione, colpita in più punti da crampi finanziari e stiramenti temporali. Il bel disegno sul quale avrebbe dovuto prendere forma e colore l'aspettativa di ogni appassionato è stato scarabocchiato da pochi, accartocciato da molti e lanciato in un cestino dagli stessi ideatori. Senza fare canestro. Quel foglio irriconoscibile ora si trova a terra, calpestabile ancora e ancora.

L'OVVIO - Si è parlato di urgenza, di necessità impellente per il movimento calcistico e per l'avvenire della nostra nazionale di calcio, eppure la fretta si è rivelata ancora una volta la peggior nemica del progresso. Se è vero che la Juventus, in base ai criteri stilati dalla FIGC per attribuire un ordine d'ingresso in graduatoria, sia riuscita a piazzare nell'estate 2018 la propria seconda squadra in Serie C, subentrando nello slot lasciato vacante dal Vicenza, è altrettanto vero che sono rimaste alla finestra ad aspettare inutilmente molte squadre che fin da subito avevano espresso un forte interesse verso l'iniziativa. Sto parlando di Milan, Inter e Roma su tutte, ma anche Napoli, Atalanta, Sampdoria, Fiorentina e Udinese. Tutte favorevoli, tutte in lista, eppure il progetto è partito con una sola squadra B iscritta, rimandando alla stagione 2019-2020 un allargamento non ancora ben delineato nelle modalità, nella fattibilità e nelle tempistiche reali, poiché nessuno di fatto ha ben chiari questi punti. Se il flop non fosse ancora abbastanza evidente, ci ha pensato Gabriele Gravina, il presidente federale in persona, a fare a pezzi il piano di sviluppo giovanile:

“Seconde squadre? Per come è stato frettolosamente concepito e introdotto dalla gestione commissariale, non è il mio progetto e lo chiuderò. Dobbiamo lavorare ad un sistema diverso, che premi davvero i giovani, innanzitutto abbassando il limite da 23 a 20 anni.”

Per evidenziare ulteriormente l'assenza di progettualità, si segnala la difficoltà stessa della Juventus B nella gestione delle partite casalinghe. Non avendo un impianto sportivo adeguato e all'altezza della situazione, la società bianconera è costretta a far giocare la sua U23 ad Alessandria nelle gare “home”, altro problema evidente che fin dal principio non poteva non essere noto a tutti, inclusi i diretti interessati. E se proprio la Juventus, società all'avanguardia sotto ogni aspetto e ragionevolmente tra le più facoltose, non riesce a fornire un impianto che rispetti i crismi del calcio professionistico, chi può riuscirci? Altra domanda che precipita ululando in una delle tante voragini normative di questa vicenda.

IL MENO OVVIO - C'è da registrare anche la completa distorsione di un provvedimento che avrebbe dovuto essere propositivo per i giovani, non da abusarne per la movimentazione dei calciatori su livelli differenti da parte delle società. La squadra B - che oltre agli under 23 prevede l'inserimento di quattro fuori quota - nel suo stato attuale assomiglia molto ad un serbatoio da riempire, per schierare di volta in volta quei calciatori che per sopraggiunti limiti di età non possono partecipare al campionato primavera o che, per le ragioni più variegate, non conviene tenere in prima squadra. Altro discorso interessante è l'arco temporale nel quale si svolgono queste manovre gestionali: la scorsa settimana il promettente Stephy Mavididi, per fare un esempio concreto, è passato da una partita in Serie C da titolare il sabato sera ad una convocazione in prima squadra con la Juventus nel turno infrasettimanale. Quanto meno curioso il poter trovare su Wikipedia, alla pagina del giovane calciatore, ben due righe distinte alla voce “Squadra Attuale”, Juventus e Juventus U23 con due numeri di maglia ufficiali differenti, disorientando un po' sul concetto stesso di squadra e di univocità.

L'aspetto economico poi, che rischia di passare fatalmente in secondo piano, è al tempo stesso il più comico e disarmante dei punti a sfavore di questo processo di rinnovamento. Con la modica cifra di 1,2 milioni di euro le società di Serie A hanno la possibilità di tesserare la seconda squadra in un campionato povero, bisognoso e disperato, alla stregua del contadino che aspetta in gloria una misera goccia d'acqua da anni e all'improvviso vede arrivarsi una magnifica pioggia torrenziale. La Serie C ha un conclamato bisogno di riforme da tempo immemore, lo sosteneva Gravina stesso quando era ancora al timone della terza serie italiana; l'assenza di vigilanza sugli investitori, i continui fallimenti delle società incapienti e la sproporzione economica tra la massima serie e la precarietà di quelle minori hanno indotto i vertici della federazione a scovare nelle squadre B molto più di un'opportunità per i giovani. Il retropensiero, del tutto lecito e legittimato dalle mastodontiche lacune nella guida e nella cura della parte tecnica di chi ha elaborato la base di progetto, porta inevitabilmente alla percezione di intere squadre giovanili prese di peso e lanciate in un campionato alieno con il primo scopo di sistemare i bilanci di lega e poi - forse, ma non è neanche così necessario - raccogliere qualche frutto nella maturazione dei giovani talenti. Come un effetto di rimbalzo, casuale e fortuito, di cui alla fin fine si potrebbe anche fare a meno.

ORGOGLIO E MENTALITA' – Affrontati tutti, ma proprio tutti i punti più scadenti di un piano di sviluppo improduttivo, voglio adesso toccare un tasto passionale, illogico e di carattere personale. Ignorerò per un momento gli interessi collettivi, il quadro generale e tutte quelle priorità che derivano dal bisogno di innovazione nel calcio italiano, le strade che il buon senso e la mia vena progressista mi spingono solitamente a seguire. Mi siederò per qualche minuto in segno di protesta, di fronte all'ingresso del piccolo pub che le macchine demolitrici minacciano di radere al suolo, espropriato in ragione di un “benessere” comunale non bene motivato per la costruzione di un'autostrada a cinque corsie che per forza di cose dovrà transitare proprio su quel terreno. Il terreno di un pub che ha un passato di gloria, fatto di gente, di ricordi e di storie indelebili.

Come devono sentirsi le società di Serie C a dover accettare forzatamente, senza alcuna possibilità di replica, l'imposizione dall'alto delle squadre giovanili? Come può una società storica che lotta da una vita per tornare prima in B e poi in Serie A, dove ha giocato contro la vera Juventus nel passato, accettare di buon grado di dover sfidare un manipolo di mezze promesse e false speranze, mandate a farsi le ossa contro la loro maglia, la loro storia e la loro tradizione? Come può un campionato fatto di campanilismi accesi e piazze ancora oggi riconosciute tra chi ha buona memoria, dover sottostare serenamente ad una costrizione così incisiva e assolutamente involuzionaria?

Non si può criticare l'intenzione di fondo – giusta, è bene chiarirlo - nell'inserimento di seconde squadre al fine di valorizzare davvero la bella gioventù. Ma sulle modalità totalmente scriteriate, senza trasparenza e senza rispetto, qualcuno deve fare chiarezza. Specialmente con la nuova stagione ormai alle porte, specialmente in questo silenzio assordante, propagato dalle curve svuotate dai tifosi delle società di Serie C ogniqualvolta la Juventus U23 giunge a far visita; la rivolta pacifica per l'innovazione che non innova.

L'ennesima, colossale, farsa sportiva che vorremmo dimenticare in fretta. Rigorosamente "Made in Italy".