Niente come una partita importante riesce a catalizzare l'attenzione dell'opinione pubblica. Quintuplica occhi e orecchie a disposizione, tutte sintonizzate sull'evento del momento; perché quando due grandi squadre si affrontano la preparazione al match è sempre la stessa. I commentatori salgono in soffitta per tirare fuori la leggendaria lente d'ingrandimento delle grandi occasioni, più pesa, più imponente e più incoerente di ogni altra in circolazione. I giornalisti affilano le dita sui tasti, i siti web apparecchiano la tavola e i tifosi pensano a tutto il resto.

I novanta minuti volano, la partita finisce e comincia la festa, quella vera.
In questo mondo al contrario se i riflettori si spengono le danze si accendono, se i calciatori salgono sugli autobus per andarsene la gente scende in piazza e si dimena, al ritmo di un pezzo soft rock anni '90, di quelli che non passano mai di moda. Gli anni di Iuliano e Ronaldo, per intendersi.

La musica prende volume col passare delle ore, il disk-jockey della serata è Michael Fabbri, il vocalist si trova in sala VAR. Una bolgia, un successo incredibile, talmente tanta confusione da non capire più niente. Perché è esattamente questo l'obiettivo di un sabato sera spaziale, superare il limite, gridare forte, alzare il gomito fino al punto di non ritorno. Fino ad alzarlo troppo.

Succede sempre così, basta che un tizio alzi le mani e scoppia la rissa. Non c'è buttafuori che tenga quando la situazione precipita, il gioco di mani è quel sipario maledetto che cala inesorabile su qualsiasi serata, decretando il game-over per tutti, incluso quel DJ che avrebbe volentieri fatto a meno di ritrovarsi nel bel mezzo di una situazione davvero infame.

La difficoltà nell'interpretare episodi del genere è talmente mastodontica e straordinaria da far pentire di essere lì a chiunque si trovi nella posizione di dover prendere la decisione definitiva. Alex Sandro è quell'uomo nero e bianco piombato di colpo nei bei sogni di un Fabbri qualunque e della sua vita tranquilla. Un incubo sconvolgente che ti prende e ti trascina dentro alla ressa di una discoteca in fermento, tra sudore e alcol, fumo e voglia di fuggire lontano.

Un regolamento che non trova sostegno nella chiosa differente di ogni domenica, una norma pronta per l'anno prossimo ma già posta in essere da qualche anarchico. Episodi uguali e decisioni diverse, il pericoloso incrocio stradale con semafori epilettici in una notte caotica, piena di gente alla guida in stato di ebbrezza.

Si alzano le solite voci sulla Juventus, pusher esasperata della solita serata conclusa alla vecchia maniera, vincendo con la positività nel sangue ad ogni test antidroga, mitigando e disperdendo tutto quanto di buono a causa di una non decisione altrui. Scoppiano poi i soliti pianti isterici, sotto sbornia, di tutti quei sostenitori del Milan che daranno la colpa alla musica della serata per tutto, inclusa quella possibile esclusione dalle notti davvero importanti, quelle del mercoledì.

Il day after abbraccia chiunque senza distinzioni, il mal di testa è uguale per tutti dopo una lunga nottata passata a spintonarsi, ad urlare, a farsi spazio per far valere rispettivamente le proprie ragioni. Bandiere diverse date in pasto alla stessa dilagante incertezza, che di giornata in giornata peggiora le situazioni su ogni campo, inclusi quelli privi dell'attenzione mediatica degli interessi economici.

Ci avevano spiegato che gli elementi da analizzare fossero l'aumento del volume corporeo, la distanza dal pallone e la posizione innaturale del braccio, ci avevano rassicurato sul fatto che la VAR avrebbe fatto chiarezza, ci eravamo convinti che il vincente fosse quello che a fine partita porta a casa i 3 punti. In una sola notte si è ribaltato ogni concetto, si è allargato il buco del caos e ci sono ben due sconfitti, il Milan nella classifica e la Juventus nella propria immagine, sempre più sporca nell'immaginario italiano ed internazionale.

Non ci sono risposte univoche e le domande si azzuffano alla porta d'uscita: la mancanza preponderante sta nel senso di bilanciamento. Prima ancora di un regime egualitario nei giudizi, prima ancora dei rinomati concetti di buona e malafede, c'è l'assenza totale di stabilità nella continuità decisionale. Non c'è un filone da seguire, non esiste una chiara direzione da prendere a distanza ormai di due anni dall'introduzione della VAR, ed è questo il problema più urgente, specialmente per tutte quelle situazioni in cui il rigore non è evidente, perché se lo fosse verrebbe automaticamente fischiato.

Un'oscillante questione di equilibrio, lo stesso che serve per bere molto senza vomitare. Ma la nausea la stiamo subendo tutti: per quella non c'è rimedio.