In una grande sala da ballo dove tutti girano in tondo e la musica copre le parole è tutto più complicato. Parlare, capirsi, essere compresi. Diventa un'impresa titanica perfino da due passi quando il rumore è troppo forte.

Alla Sardegna Arena il ritmo era quello giusto, c'era un sacco di gente e si stavano divertendo tutti, poi la musica ha cambiato genere. Si è passati dal gioco in campo ai giochetti fuori dal campo, in un'incomprensibile involuzione su tutti i fronti. Hanno smesso tutti di ballare, lo spettacolo era finito in anticipo, il gioco era fermo e la voglia di giocare era passata un po' a tutti. Ma il tempo doveva pur passare, e allora ci si è inventati un rimedio spontaneo contro la normalità, un nuovo gioco sfuggito di mano un po' a tutti, tifosi, calciatori, giornalisti e opinionisti. E non si riesce ad arrestare. Non si riesce a smettere.

Come un sassolino che genera una valanga, da un singolo episodio ne sono scaturiti altri, dal campo alla TV passando per i social network: benvenuti al terribile walzer dei fraintendimenti!
 

MOISE KEAN – Subito dopo il gol, quel gesto a braccia larghe con sguardo di sfida verso una particolare cerchia di persone è stato interpretato come una netta provocazione, la gioia passiva e aggressiva di chi vince e non si accontenta, ti vuole anche umiliare. C'è però un'altra versione degna di nota, la possibilità che dietro quella non-esultanza si nasconda una risposta alla prima, unica ed autentica provocazione. Quella di alcuni tifosi, osservati in silenzio da Kean che non ha fatto il giro del campo, non ha fatto segni o urlato qualcosa verso il popolo cagliaritano. È rimasto solo a guardare quelli giusti con tutta la sua dignità. Eppure è riuscito a passare per il provocatore.

LEONARDO BONUCCI – La prima cosa che ha fatto è andare a spingere via Kean, la seconda è stata scusarsi con la curva del Cagliari, la terza è stata quella di esporsi pubblicamente parlando di “Responsabilità 50 e 50” tra il ragazzo e i tifosi di casa. Di fronte a tutto questo ci si può approcciare in due modi: se ci si orienta in buona fede, l'intento da parte del difensore bianconero appare come un chiaro tentativo di mediazione a 360 gradi tra i due fuochi, per spegnere sul nascere un incendio quasi inevitabile. Come il fratello maggiore che vuole rimediare alle reazioni del più piccolo, probabilmente più emotivo e non ancora pronto a restare al di sopra di tutto, fregandosene di chi delle due parti abbia più ragione o più torto. Il risultato dice 0-2, i tre punti sono conquistati e il resto è del tutto inutile ed evitabile. Eppure è riuscito a passare per il più razzista di tutti.

IL RAZZISMO – Si è assitito ad una smobilitazione di massa, dici “Razzismo” ed ecco che sbucano fuori personaggi esotici, sui social e non solo, famosi e meno famosi, pronti ad affilare le loro dita per imprimere sui loro cellulari insulti di ogni genere verso il tifo organizzato o verso il Bonucci della situazione, capro espiatorio passato per caso da quelle parti sul quale riversare l'insoddisfazione personale. Il fatto, con buona pace di tutti, è anche un altro. Un fatto scomodo in realtà, delicato, difficile da trattare: prima del gol dello 0-2 non c'è stata una evidente e conclamata percezione di cori/insulti a sfondo razziale, non per me, limitato di fronte ad un televisore. Questo spiegherebbe non solo il gesto di Bonucci ma anche quello di Cragno e dei difensori del Cagliari che sono intervenuti per interrompere la protesta silente della punta bianconera. Spiega anche la reazione furiosa di Matuidi solo nel finale di gara, quando il retrogusto discriminante si era realmente accentuato. Spiega anche il referto degli ispettori FIGC rispetto agli ululati offensivi ritenuti di poco conto e successivi alla segnatura di Kean. I dubbi che le braccia larghe del ragazzo numero 18 siano conseguenza di semplici e normali imbeccate della curva avversaria, prive di stampo razzista, è pericoloso e lecito al tempo stesso.

E si ritorna al punto di partenza. Le casse sono spente, la musica si è fermata. Se ne sono andati tutti, in pista sono rimaste solo bottiglie e bicchieri vuoti. Quel genere di serata in cui ti senti profondamente solo e in compagnia di tutti i postumi. Quel genere di serata in cui nessuno ha capito niente dell'altro, in cui tutti hanno bevuto troppo e hanno commesso una sciocchezza diversa.

Il bello di certe feste è soprattutto il colpo di grazia: vederle finire.