C'è qualcosa che incomprensibilmente ci tiene incollati al disgusto, alla truculenza e allo scempio nella sua più ampia caratterizzazione. Quel senso di interesse che non avevamo, non c'era, ma che nello spazio di un secondo si sviluppa all'improvviso e comincia a tirare tutti i fili del nostro cervello.
Domina e controlla la nostra attenzione. Da zero a cento. Le catastrofi al telegiornale, i video di risse sui social, i “trapper” di oggi con le loro acconciature fluorescenti e i denti dorati: ci fermiamo a guardare, incantati, con la stessa curiosità che ci spinge a rallentare e ficcare gli occhi in un incidente autostradale a pochi passi da noi. Non per aiutare. Solo guardare. Immotivatamente.

Siamo attratti dagli odori disgustosi, che ripugnano e accalappiano nello stesso frangente. Dal trash in tv ai vicini che litigano furiosamente: non è bello ciò che è bello, è bello ciò che stravolge in qualsiasi forma l'ordinarietà che ci siamo costruiti.

Questa sensazione controversa è sempre esistita, al pari delle dita dei piedi nel nostro codice genetico; il fatto nuovo è l'estensione sconcertante e la sua diffusione veloce nell'era wireless. Dalle mura domestiche ai brand, dall'esalazione dolceamara della benzina fino alle magliette da calcio: l'effetto shock che si insegue costantemente ha toccato il punto più alto con la Juventus e la sua divisa Home per l'anno che verrà. Perché non si va a dare una rinfrescata al look, non si sfiora il semplice concetto di marketing. Si strattona e si strappa una storia ultracentenaria, e la domanda è: in favore di cosa?

Una svolta epocale? Non credo, è scontato il ritorno delle strisce, sembra solo un cambio d'armadio annuale. Niente di duraturo, niente di sostanziale.

Qualche vendita in più - numericamente insignificante - vista l'elevatissima contraffazione e la diffura vendita del merchandise ufficiale privo di sponsor tecnico? Via quindi anche il motivo economico.

Una legge non scritta fu una regola di vita vissura per Napoleone Bonaparte: “Bene o male, purché se ne parli”. E in questo la Juventus ha fatto centro. Eppure sono certo esistano molti modi, e molti argomenti di conversazione, alcuni migliori di altri, per far parlare di sé.

La maglia della Juventus è esattamente equiparabile all'uomo nudo e pazzo che si lancia ogni due domeniche in una corsa per la città: attirerà foto, attenzioni, commenti, ilarità, visualizzazioni, like, condivisioni sul web, servizi in tv, articoli sui giornali e interventi sui blog, incluso il mio. Tantissima visibilità, ma a quale prezzo?

Nella piena libertà d'espressione, vi garantisco la mia anima progressista, il mio completo spirito d'adattamento e la mia spiccata propensione al nuovo che avanza, in senso ampio ed assoluto: ho amato molto la seconda maglia tutta rossa con banda verde laterale con la quale la Juventus nel 2006 festeggiò sul campo lo scudetto numero 29 poi revocato e con la quale disputò le gare in trasferta in Serie B l'anno successivo. Una seconda maglia in controtendenza, con colori distanti dalla storia e dalla tradizione, eppure a me congeniale per gusto personale e per il mio già citato spirito propositivo alle novità.

Fatta questa doverosa premessa, mi lascio andare ad un giudizio personale: la nuova maglia half-half della Juventus, mezza bianca e mezza nera con riga rosa centrale, mi conferisce solo in parte “l'effetto disgusto”: sento solo la nausea, non sono spinto in nessun modo ad acquistarla. In Roma-Juventus mi ha provocato un nervosismo latente e sottile. Mi confonde, mi lascia la sensazione che ci sia qualcosa che non vada, alla stregua del quadro storto in una stanza.

Se ne parlerà molto, per molto tempo, ma per toccare così profondamente la storia di un club mi aspetto un motivo più valido della mera pubblicità; barattare un tratto distintivo secolare per il famigerato “pugno di like” non deve e non può passare serenamente al timbro della scelta commerciale.

E'un giorno buono per indignarsi: che nessuno compri e sborsi un centesimo, perché bella o brutta che possa sembrare agli acquirenti, non è questo il punto focale.

Toccare la radice della storia di una maglia che fu di Sivori, Boniperti, Charles, Platini, Furino, Scirea e Del Piero è vilipendio, con l'aggravante dei futili motivi.