Un titolo dentro una frase, un'indicazione dentro una promessa. C'è una matrioska concettuale appoggiata su una mensola, da qualche parte, nelle stanze di Vinovo. Un'insieme di pezzi di diverse dimensioni, intagliati con cura ed assemblati con calma in un pregevole lavoro di precisione. Mastro Allegri, da buon artigiano, conosce i movimenti e i passaggi da seguire per una realizzazione impeccabile; l'ultimo dei suoi lavori risulta già così sublime da aver rapito gli occhi e il cuore dei visitatori di tutto il mondo, sebbene non sembri ancora concluso.

Moise Kean non vuole essere un soprammobile, questo è certo. Non lo vuole il suo procuratore e non lo vogliono nemmeno la maggioranza dei sostenitori bianconeri: la panchina stava stretta già a Gennaio, i minuti concessi risultano ad oggi insufficienti per il talento messo in mostra e quelli ancora a disposizione scarseggiano, come scarseggia la pazienza. Ma Allegri non ci sente, in quella bottega deve aver lasciato l'udito e la voglia di stare troppo a lungo a contatto con le persone. La solitudine di un artigiano che si esprime da molto tempo a questa parte con l'invocazione della calma, un sorriso controverso e i soli risultati finali.

“RESTA, RAGAZZO” - La sfinge livornese ha lasciato intravedere in tre conferenze stampa una volontà ferma e inaspettata, tanto con Kean quanto con Spinazzola. Invisibili per tutto il girone d'andata per motivi diametralmente opposti eppure tenuti dolcemente in ostaggio da un Allegri largamente incomprensibile per lunghe settimane di attesa. La logica li avrebbe voluti via in prestito, non la logica dell'allenatore Toscano che per loro aveva immaginato qualcos'altro. Entrambi sul punto di essere ceduti da un giorno all'altro per andare a mettere minuti nelle gambe in piazze meno esigenti, si sono ritrovati ad essere decisivi sul campo con la maglia della “Vecchia Signora”.

“CALMA, RAGAZZO” - Dopo la doppietta contro l'Udinese i mass-media sono letteralmente saltati per aria. Moise Kean si è evoluto da “promessa futura” a “stella presente” in uno spazio temporale irragionevole, il processo sbagliato ed inevitabile dell'imperfetta macchina sportiva degli anni 2000. Due gol e tutto cambia, dalla titolarità al prezzo del cartellino, ma Allegri appartiene al secolo scorso e se ne frega in tutto e per tutto: la corrente sospinge per un concetto e lui va a nuotarci puntualmente contro, quasi a farlo apposta. Se un giornalista osanna il ragazzo il mister lo normalizza, se un altro ne loda le doti il tecnico mette in luce i suoi punti deboli.

“FRENA, RAGAZZO” - Le partite aumentano, le possibilità si triplicano eppure la titolarità non arriva. La voglia di giocare è tanta e il furor di popolo risulta incontenibile, ma il guinzaglio viene tenuto corto nonostante l'assenza di Cristiano Ronaldo e la poca brillantezza di Mario Mandzukic. “Il ragazzo deve migliorare” è un mantra lento e costante, tra una smussata e una lucidata a quella matrioska sempre più grande, sempre più completa: arrivano i gol contro Empoli, Cagliari e Milan, rispettivamente al 72', 85' ed 84' minuto, importanti e decisivi in mezzo ad una proficua parentesi Nazionale. Altri titoli su altrettanti giornali, ma questo non interessa più a nessuno: viene fuori il carattere oltre al talento, la tendenza esplosiva che non ti aspetti dietro a un lungo lavoro di attesa, di allenamenti, di silenzio e di poltrone comode all'Allianz Stadium.

“SIEDI, RAGAZZO” - Perché è qui che si chiude il cerchio, proprio dopo l'ennesimo gol contro la Spal prima della grande sfida di Champions League contro l'Ajax che Moise Kean vedrà iniziare come uno spettatore, salvo sorprese. Sarà seduto in prima fila su una panchina che conosce bene, santa e maledetta per le stesse ragioni e le stesse dinamiche di ogni domenica. Da lì è partito e da lì è cresciuto, nonostante il mondo intero credesse ciecamente nel percorso inverso, fatto più di azione che di attesa. Chi siede percepisce solo in minima parte quel senso di responsabilità che il grande calcio richiede; chi scende in campo dall'inizio deve avere spalle larghe di una misura non raggiungibile con la sola palestra. Spalle forti e temprate dalla vita, dall'esperienza e dalle cicatrici morali che le notti europee possono lasciarti sotto pelle.

Dev'essere questo il segreto custodito da quell'artigiano poco avvezzo a ragionare e a complicarsi la vita, bisbetico come ogni conservatore, sofferente nell'offrire le stesse risposte alle stesse domande. Perché mettere in campo chi segna sempre è estremamente più facile che logico: accontenterebbe senz'altro l'opinione pubblica, la carta stampata e il tifo largamente a favore di un Kean sempre presente, porterebbe in dote anche un alibi in caso di fallimento e quindi una facile via di fuga dietro al proverbiale “ve l'avevo detto”. Un ragionamento del genere esporrebbe il ragazzo alla parte più dura del calcio, quel lato tetro al quale Allegri vuole farlo arrivare per gradi. La fase in cui la palla non vuole entrare, il momento “no”, i palloni che non arrivano, il nervosismo, la rabbia, gli eccessi. Quanti giovani sono stati bruciati troppo in fretta?

Equilibrio. La parola nella quale si specchia il tecnico Toscano, riconoscendosi in ogni esposizione, la fede che non raccoglie adepti nella propria chiesa. Un prete senza la fiducia della propria gente, che continua a professare il proprio credo tra lo sconcerto generale. Ci vuole fiducia. Non in Kean, non nella Juventus. 
Ci vuole fiducia nella naturale estensione di una società pragmatica, solida e vincente: Massimiliano Allegri.