Per istinto ci attira tutto ciò che è immediatamente comprensibile. Come una battuta, ci diverte se la capiamo al volo e finisce per non piacerci se qualcuno è costretto a spiegarcela. La reputiamo sciocca, la riteniamo stupida, finiamo per giudicare quella battuta per il semplice fatto di non averla capita da soli. La critichiamo perché non siamo stati in grado di comprenderla.

La risposta nel doppio comunicato firmato dalla curva nerazzurra all'indirizzo di Mauro Icardi è l'ultima pagina di un enorme libro che non si può spiegare, non si può trasmettere completamente da una persona all'altra. Proprio come il senso dell'umorismo nel campo delle barzellette: o ce l'hai oppure puoi sognare inutilmente di svilupparlo.

Più che un libro si tratta di un concetto immateriale, astratto, a metà fra uno stile di vita e un modo di percepire tutti gli eventi che impregnano lo spirito e il senso di gruppo. Non si può leggere, neanche ascoltare, però lo si può osservare.

Ultras ci nasci, non ci diventi, lo sei senza sapere di esserlo. L'ultras è quel fanatico che ha promesso un amore folle e incondizionato per i colori, lo stemma e la storia della sua città. Sente il territorio, sente un senso di appartenenza potente. Ed “incondizionato” significa senza limiti, senza barriere, letteralmente disposto a tutto per difendere la sacralità di una maglia con la quale ha stretto un patto di sangue. Finita la partita pensa immediatamente a quella successiva, durante la partita perde la voce e incita tutti a fare lo stesso per un bene superiore, durante la settimana mentre la gente comune conduce spensieratamente la propria vita lavorativa l'ultras vive con un chiodo fisso nel cuore. Questione d'ideali, gli stessi che spingono a tifare e a protestare in virtù di una battaglia che molto spesso si disputa fuori dal campo, abbracciando a tutto tondo anche gli interessi non banali delle minoranze, i temi della repressione sociale e della libertà di espressione.

Durante la partita il campo non esiste: sul prato corrono solo dei mortali, gente che passa, esseri umani incapaci di comprendere fino in fondo l'importanza delle maglie che semplicemente indossano. Uno o due, forse, nell'arco di una storia societaria, si fermeranno a percepire quella casacca come qualcosa di realmente diverso, una seconda pelle. Per questo i legami ultras-calciatori sono più rari di uno scudetto del Verona.

Si sono scagliati tutti o quasi contro la curva nerazzurra, rea di aver espresso un concetto basilare che racchiude l'essenza completa della mentalità ultras: prima delle vittorie, prima delle sconfitte, prima degli obiettivi stagionali, dei piazzamenti di fine anno e dei fallimenti stagionali, viene sempre e comunque la maglia. Prima dei gol, prima delle gioie, prima dei successi: prima di tutto. Figurarsi se un calciatore come Icardi, ottimo tecnicamente ma gravemente insufficiente a livello professionale, può sperare di salvarsi da un ideale granitico come questo. Con l'aggravante di essere stato un capitano con la testa rivolta sempre ai propri interessi economici piuttosto che al collettivo. Peggio del peggio.

Questione di orgoglio e di onore, perché il calcio non per tutti si riassume solo in palloni in rete. Il Dio denaro che muove le quotazioni economiche del singolo e dei piazzamenti europei non scalda il cuore di tutti. La risposta ultras ad un calcio che non può e non deve essere esclusivamente orientato ai traguardi di bilancio è inequivocabile.

C'è solo una domanda adesso alla quale bisogna rispondere: qual è il bene dell'Inter?

Salvare quanto di buono fatto fino ad ora, schierando un calciatore che ha palesemente voltato le spalle a tutti (squadra, società, tifosi) per oltre un mese ma dal valore tecnico indiscutibile? Oppure rischiare qualcosa fino al termine della stagione lasciando fuori la mela tanto bella quanto marcia?

Per i tifosi conta sicuramente la Champions il mercoledì dell'anno prossimo, la musichetta di notte, i soldi dei ricavi, il bilancio che arride, il mercato estivo, un allenatore carismatico e le magliette con nomi e numeri di calciatori nuovi, tutto a discapito di dover dipendere adesso da quell'Icardi che fino a poche settimane fa postava su Instagram i propri pensierini. Per gli ultras il ragionamento è inverso: più che il terzo posto va difesa una maglia calpestata e sporcata ripetutamente, per il prossimo anno si vedrà, priorità assoluta al senso di appartenenza e alla rivendicazione di una storia che non può essere imbrattata da un ragazzino che a 26 anni e con una fascia al braccio si era illuso di essere un uomo.

Lunga vita al lato “sacro” di una mentalità controversa, che vive di principi forti all'interno di un codice etico che spesso si attesta perfino al di sopra della legge, ma che nel caso Icardi ha richiamato all'attenzione di tutti l'importanza dei colori sopra la vanagloria di un'annata qualunque.

Un terzo posto vale davvero la faccia e l'autostima di un popolo?