Colpi di sole? Troppo presto per l'estate. Amnesie alcoliche? Troppo tardi, le feste sono già passate.

E allora cosa c'è dietro alle innumerevoli quisquilie, alle banali stoltezze e alle più variegate pinzillacchere che in questo particolare momento dell'anno si moltiplicano come funghi tossici dopo una pioggia nucleare di inutilità in forma scritta?

Noia? Frustrazione? Oppure una convizione distorta di una realtà che non esiste?

1- “Con quella squadra avrei vinto anche io”: è forse la più gettonata delle ultime ore, ma più in generale è un must have dell'intera esistenza di molti, troppi tifosi. Della serie, se i calciatori sono forti l'allenatore è completamente rilevante. Praticamente uno a caso tra Ferrara, Maifredi o Del Neri avrebbe vinto come e quanto Allegri con questa Juventus, a mani basse. Del resto che ci vuole? CR7 davanti, Douglas Costa e Cuadrado sulle fasce... e via, dai, scudetto già vinto ad Agosto.

Il “Calciatorismo”, che vede appunto i giocatori come epicentro unico e solo della galassia dei risultati stagonali, è un credo molto in voga da parte dei Memoriacortiani, esseri provenienti da un pianeta di cui non ricordano il nome. Il problema reale è che se una squadra di giovani promesse semi-sconosciute con ingaggi irrisori come l'Ajax sfiora la finale di Champions eliminando le pretendenti al titolo, è proprio Ten Hag ad essere osannato dagli stessi fautori di teorie insensate. Non i giocatori: il messia stavolta sta seduto in panchina ed ha un cognome esotico, dettagli che vanno a nozze con chi vive di soli slogan e preferisce sbattere la testa dappertutto piuttosto che usarla.

Le capacità nella gestione del gruppo, nella coesione tra giovani e campioni, tra vecchi e nuovi volti in una squadra, creando un'amalgama prezioso dentro e fuori dallo spogliatoio, sono tutti particolari francamente inutili per il calcio digitale della Playstation, esattamente al pari del sostegno dei tifosi nei momenti decisivi, la presenza della società, le motivazioni dei singoli, gli infortuni e tutti gli imprevisti possibili della vita reale. Credo di aver detto tutto.

2- “La Serie A non è un campionato allenante”: credetemi, stavo ridendo quando l'ho pensata, non sono riuscito a trattenermi nemmeno sul punto di scriverla. Siamo al pari della Terra piatta, una convinzione talmente disarmante che dovrebbe far piangere anziché procacciare seguaci.

E si torna subito con la mente all'Ajax, al campionato olandese, decisamente più allenante nel rispetto di questa geniale teoria. Oppure al campionato greco, a quanto pare più performante della Serie A, del resto il 3-1con il quale l'Olympiacos ha sbattuto fuori il Milan dall'Europa League parla da sé. O che ne dite del campionato tedesco, di cui la massima esponente “Eintracht” di Francoforte ha mandato a casa l'Inter?

In pratica, chi vince fa parte di un campionato allenante e chi perde no, solo che detta così è troppo svilente, non c'è poesia. I sostenitori di questo culto folle sono gli stessi che osannano e sbandierano la Premier League, il rischio che possano ubriacarsi ulteriormente nel vedere quattro finaliste inglesi tra Champions ed Europa League è altissimo, proviamo a fermarli con parole semplici: due finaliste sono passate dai gironi per la sola differenza reti. Se non fosse sufficiente a spiegarmi, basterà il terzo punto dello Stupidario.

3- “La Juventus vince solo scudetti, ma in Europa perde sempre”: tralasciando il dato di fatto, che è inequivocabile ed inattaccabile, va sottolineata l'accezione polemica, quella che sottintende tutt'altro che i semplici risultati di campo. Lasciando perdere i sani sfottò, i provocatori seriali e gli under 14 – legalmente incapaci di intendere e di volere – resta un'ampia fetta di evocatori di fantasmi, scopritori di cupole e messaggeri del losco che si fanno vivi a tornacomodo, spargitori di sospetti ad intermittenza, come tante lampadine rotte. Semplice errore arbitrale per le altre squadre, sistema truccato se invece si tratta della Juventus. Per loro non vale la pena spendere tempo. Parliamo di altro, come delle differenze Scudetto/Champions.

La “forza” di una squadra nel concetto più completo e puro, si vede e si sviluppa nell'arco di un campionato, mentre la circostanza favorevole che circonda e ricopre un torneo ad eliminazione diretta vive di una sacralità a parte, in equilibrio precario tra il caso fortuito e il merito vero. Un cammino tanto epico quanto irripetibile, tentare di misurare il valore reale di una squadra con la sola vittoria di un torneo ad eliminazione diretta, così pieno zeppo di variabili, è un'analisi surreale, da fantacalcio o da centro scommesse, centri di aggregazione nel tripudio della cabala. Basta un palo, un rigore, un fuorigioco non fischiato, si parla di centimetri e di pochi secondi, istanti che non puoi incasellare perennemente nella colonna del merito e del giusto. Nei campionati vince sempre il più forte in senso assoluto, nelle competizioni ad eliminazione (Coppa Italia inclusa) vince chi si trova più spesso nella condizione più favorevole, a tutto tondo, nei momenti clou. Per informazioni chiedere all'Italia del 2006.

E per unire le tre sciocchezze in una domanda sola: che valore diamo al Mourinho allenatore, al calcio italiano nell'anno del Signore 2010, e alla forza dell'Inter campione d'Europa?

Ai teorici del nulla l'ardua sentenza.