Era il 10 settembre 2018. La nostra nazionale (sperimentale per la verità, vista la presenza in campo di giocatori come Caldara, Gagliardini, Zaza e altri) aveva appena perso 1-0 un incontro di Nations League in casa di un Portogallo anch'esso molto rimaneggiato. Una sfida a senso unico che solo alcune ottime parate di Donnarumma avevano mantenuto in qualche modo aperta fino alla fine.
Ricordo di aver discusso brevemente con gli amici con cui avevo visto la partita e di aver pensato che la nostra nazionale non avesse un futuro. Io, per lo meno, non ero in grado di intravedere alcun bagliore di ottimismo in un cielo che si prevedeva cupo in vista degli europei del 2020.

Roberto Mancini si era appena seduto sulla panchina azzurra dopo una esperienza allo Zenit San Pietroburgo finita in modo deludente e noi tifosi non ci eravamo ancora ripresi dallo shock dell'eliminazione mondiale per mano della Svezia. Non ricordo precisamente lo stato dell'opinione pubblica all'epoca, ma non penso che il mio pessimismo fosse un eccezione.
Io considero quella partita il vero inizio del ciclo di Roberto Mancini come CT della nostra nazionale. Un ciclo che, per quanto io tenda a oppormi a questo tipo di approccio e a cercare analisi più dettagliate, sono certo che passerà (o è già passato) alla storia come diviso in due parti: pre e post-Wembley.

I tre anni successivi della nazionale italiana sono stati qualcosa che quella sera di settembre non avrei neppure potuto immaginare: una serie di 37 partite senza sconfitte, culminata con la vittoria dell'europeo. Non stento a definire il lavoro di Mancini in questo periodo come il migliore fatto da qualunque commissario tecnico della nostra storia moderna (Pozzo potrebbe competere, ma è troppo indietro nel tempo per avere termini di paragoni credibili).
Certo... Bearzot e Lippi ci hanno portato un mondiale a testa, ma al contrario di Mancini potevano contare su rose di caratura ben superiore e non dovevano ricostruire una nazionale dalle macerie di una mancata qualificazione mondiale. Indubbiamente il successo europeo è arrivato con una buona dose di fortuna e con il contributo di circostanze uniche dovute a una stagione senza precedenti, ma attribuire tutto il merito della vittoria alla buona sorte è nella migliore delle ipotesi pigro, se non ignorante, fazioso o revisionistico.

Innanzitutto una striscia di imbattibilità come quella non può essere soltanto un caso, così come non era un caso che all'inizio dell'ottavo di finale contro l'Austria la nostra nazionale non avesse subito gol per 10 partite consecutive. E non erano un caso la qualità del gioco espresso dall'Italia di Mancini e la coesione del gruppo. Sicuramente in tutta la fase a eliminazione diretta abbiamo avuto sfide equilibrate che sono andate a nostro favore quando un paio di episodi avversi ci sarebbero costati il passaggio del turno, ma questa è semplicemente la natura dei tornei internazionali ed è completamente irrealistico pensare di poter dominare tutte le sfide, specialmente contro le migliori nazionali europee. Sicuramente la Spagna fece decisamente meglio di noi e avrebbe meritato di vincere la semifinale, ma se vogliamo giocare a questo gioco vi sfido a criticare Lippi per aver vinto ai rigori una finale mondiale in cui la Francia ci fu superiore oppure Zoff per la semifinale con l'Olanda e via dicendo.

Insomma, a partire dall'amichevole con L'Ucraina (la partita successiva a quello con il Portogallo, con il debutto di Barella nel trio di centrocampo con Jorginho e Verratti che ha fatto le fortune di Mancini) il nostro ormai ex CT ha fatto un lavoro eccezionale e ha meritatamente conquistato un meraviglioso titolo europeo.

Da lì in poi però le cose sono cambiate radicalmente e Mancini ha continuamente dato l'impressione di faticare a trovare idee chiare. Capisco che affidarsi a nuove leve in partite decisive per la conquista del pass mondiale non sia facile, specialmente senza amichevoli di mezzo per inserire i nuovi, ma era evidente ben prima del disastro di Palermo contro la Macedionia che serviva un cambio di passo che gli eroi di Wembley non sembravano essere in grado di offrire. Da lì in poi il CT si è dato alla sperimentazione, ma ha talvolta dato l'impressione di affannarsi a cercare soluzioni astruse (vedi le convocazioni di Pafundi e Retegui o il caso Piton) piuttosto che valorizzare il materiale umano presente come aveva fatto nella parte iniziale del suo mandato.

Va comunque detto che Mancini, al contrario della maggioranza dei suoi predecessori, non ha mai lavorato con una ricchezza di talento a disposizione né in termini della presenza di grandi giocatori né in termini di una significativa profondità della rosa.
È proprio nei termini di quanto appena scritto che leggo la clamorosa disparità nei risultati ottenuti dalla nostra nazionale durante l'era Mancini: il grande merito del CT è stato quello di riportare entusiasmo e partecipazione da parte dei giocatori nei confronti della nazionale. Dopo Wwmbley, però questi aspetti sono venuti meno e Mancini ha fatto fatica a trovare soluzioni alternative al gruppo iniziale, composto da pressochè tutti i giocatori italiani in grado di offrire le qualità tecniche e temperamentali per giocarsela con il top del calcio europeo.

Fateci caso: nei primi tre anni della gestione Mancini i giocatori arrivavano sani in ritiro e davano il massimo per la causa azzurra: il mister ha quindi potuto lavorare con continuità e sviluppare un gioco che potesse adattarsi alle qualità degli effettivi a disposizione. Negli ultimi due anni invece le defezioni non si contavano, i giocatori sembravano più interessati a evitare di non infortunarsi in vista degli impegni di club e la necessaria continuità è venuta meno. Mancini ci ha sicuramente messo del suo, ma mi sembra evidente che le condizioni che avevano permesso l'impresa europea erano venute meno già da tempo prima delle impreviste dimissioni.

La grande sfida del nuovo CT azzurro sarà proprio quella di riportare entusiasmo verso la maglia azzurra, oltre che integrare i talenti delle nazionali giovanili che hanno avuto un buon successo quest'estate. Spalletti è sicuramente il nome che mi convince di più, anche se non sono sicuro che avrebbe il tempo di lavorare nel modo migliore in vista degli europei.

Per quanto riguarda Mancini, voglio credere che lasci la nostra nazionale in condizioni leggermente migliori rispetto a quella sera di settembre e che il suo mandato sulla panchina azzurra sia stato complessivamente positivo. Sicuramente è stato un CT con gravi mancanze, ma anche con enormi meriti, primo tra tutti quello di essere stato in grado di comprendere e soddisfare la necessità di dare un gioco moderno alla nazionale italiana.
Spero che il suo successore raccolga questo segnale e conduca in questo senso la nostra nazionale verso un europeo che, voglio provare a crederci, possa essere indimenticabile come l'ultimo.