Dopo 3 anni alla guida del Napoli, Maurizio Sarri potrebbe esportare la sua filosofia di gioco all’estero.
Erano gli anni ’70 quando la stratosferica Olanda di Johan Cruijff deliziava le platee calcistiche di tutto il mondo, la stessa epoca in cui il comunismo – in Italia – veniva definito come «una bella idea che non funziona».

Quella nazionale Orange, nonostante la classe immensa che caratterizzava i suoi talenti, non vincerà alcun titolo; al contempo il comunismo (di stampo italiano) non governerà mai il Belpaese: due facce metaforiche della stessa medaglia, accomunate da un principio di rivoluzione che contraddistingue le grandi filosofie di pensiero. Il sarrismo, corrente calcio-ideologica nata all’interno della sfera sportiva italiana, è l’emblema di una trasformazione di quel cosmo tattico che tanto garba al popolo tricolore.

Cosa c’entra la rappresentativa calcistica dei Paesi Bassi con Maurizio Sarri? A tutto c’è una risposta, in questo caso: la bellezza. L’amore per la bellezza rende gli uomini incompiuti. Succede persino ad un proletario come Sarri, uomo dal carattere zemaniano ma verosimilmente logorroico, il quale dovrebbe anteporre la proverbiale concretezza del lavoratore alla maniacale perfezione del prodotto, divenuta, tuttavia, suo cavallo di battaglia durante il triennio trascorso alle falde del Vesuvio.

Napoli ha sognato “la presa del Palazzo”. Napoli ha amato, ama ed amerà sempre il suo Comandante, autore di un’innovazione tecnico-tattica ispirata al famoso tiki-taka firmato Guardiola, che a sua volta affonda le radici nella ragnatela della prima Roma di Liedholm. Un’innovazione che dunque non introduce nulla di particolarmente “nuovo”; la rivoluzione in quanto tale consiste nell’aver introdotto quel modello così spagnoleggiante nelle trame di un campionato celebre per la fase difensiva, in cui il catenaccio fatica ad essere archiviato tra le cartelle della sezione “vintage”. L’averlo fatto, inoltre, con calciatori sì di spessore internazionale ma essenzialmente umani, rende il tutto ancor più… rivoluzionario.

Una poesia in movimento che, suo malgrado, difficilmente riesce a scavalcare gli ostacoli che le si pongono dinanzi. Trovare una rima per ogni strofa appare complicato nello schema sarrista, rigido e complesso nel suo fascino, incapace di innovarsi e rinnovarsi con una certa continuità. Un paradosso. 1) L’invidiabile testardaggine nel puntare perennemente sui titolarissimi; 2) l’utilizzo regolare – e di conseguenza prevedibile – di un unico modulo; 3) quel turnover accantonato ma che tanto avrebbe fatto comodo tra le fila partenopee, apparso agli occhi dei più come un concetto astratto (12 pedine e mezzo non bastano per trasformare l’armonia in un trofeo). Limiti su cui il buon Sarri dovrà necessariamente lavorare lungo il corso della sua carriera.

Una carriera che sembra dover proseguire lontano dalla sua Napoli. La romantica sigaretta con cui è solitamente raffigurato è pronta ad impossessarsi di Stamford Bridge. Sarà grigio fumo di Londra? O grigio come il cielo nevoso di San Pietroburgo, chissà. Chissà se sarà ribattezzato Maurizio SIRri o Maurizio ZARri. L’unica certezza che non rimanda ad alcun dubbio sarà il suo gioco, l’eleganza di un’espressione calcistica “bella” (ma purtroppo non vincente) che definire calcio champagne apparirebbe piuttosto riduttivo.

In poche parole, grazie mister Sarri, artefice di una comunicazione vecchio stampo e di un calcio spumeggiante. Grazie, nonostante la mancata conquista del potere che quest’anno sembrava essere davvero a portata di mano, perché diciamolo: fare 91 punti e non vincere lo Scudetto è un qualcosa di totalmente illogico ed incomprensibile.
Grazie, perché hai riempito il cuore dei napoletani e degli amanti del calcio di una gioia, sì effimera, ma magnificamente inaudita. Come accadde in Olanda, con Cruijff, più o meno 50 anni fa.