Chi è Jürgen Klopp e cosa ci fa in finale di Champions League? Il quesito che alberga nella mente dei seguaci del movimento risultatista, dedito alla concretezza e ad un calcio decisamente poco spettacolare. Il suo esatto contrario - o quasi - prende il nome di Gegenpressing, stile di gioco (ri)portato alla ribalta proprio dall'attuale allenatore del Liverpool.

Partiamo dalla definizione basilare: il Gegenpressing non rientra nel concetto di pressing tradizionale, in quanto il team che lo applica pressa un attacco in fase di transizione, in contropiede per intenderci, e non una manovra impostata da parte dell'avversario. Un modo di fare calcio che affonda le sue radici nell'indimenticabile Olanda degli anni '70 - l'Ajax di Michels ne è un emblema - ma che si distanzia, per alcuni aspetti, dal celebre calcio totale nato e praticato nei Paesi Bassi, da cui nasce anche il tiki taka di natura guardiolista, differente non tanto per metodi quanto per ritmi dal Gegenpressing.

Klopp ha ripreso quelle nozioni di recupero palla immediato e le ha applicate ad ogni sua rosa a disposizione, facendole evolvere in un qualcosa di inedito per il calcio moderno. Sin dai tempi del Borussia Dortmund, e ancor prima nel Mainz, è possibile percepire le modifiche cucite splendidamente sull'XI schierato in campo: i "suoi" gialloneri attaccavano in modo costante il portatore di palla sfruttando un singolo giocatore, mentre bloccavano in massa ogni linea di passaggio marcando gli eventuali appoggi, anzichè gli spazi (modus operandi di Guardiola); in questo modo l'avversario era (ed è) costretto a tergiversare, magari optando per vie laterali ove il campo di costruzione diminuisce notevolmente, o a rilanciare lungo, perdendo di conseguenza il possesso.

Fondamentale è il ruolo delle mezz'ali, un essenziale sostegno alle ali pure qualora, una volta recuperata la sfera, il gioco si sviluppi sulle fasce. Di fatto, il Gegenpressing elargisce a chi ne fa uso il dono dell'imprevedibilità: l'attuale Liverpool trova la via del goal sia per vie centrali che tramite l'apporto dei terzini. Si pensi all'infaticabilità di Keïta o Milner oppure a Robertson ed Alexander-Arnold e alla quantità di assist forniti nella stagione in corso per Manè-Firmino-Salah, il trio delle meraviglie che miscela tecnica e velocità, due qualità essenziali per il gioco di Klopp.

Come ogni allenatore di livello internazionale, il tedesco unisce la dottrina calcistica praticata sul campo a fattori di tipo psicologico: è un gran motivatore, capace di tirar fuori il meglio da ogni elemento presente in rosa. Georginio Wijnaldum - ottimo giocatore ma certamente non un fuoriclasse - ne è un esempio. Klopp intende lo spogliatoio come una famiglia, fa gruppo, scherza con la stampa mai negando un sorriso. Insomma, un professionista impeccabile a cui non piace prendersi troppo sul serio e che vive la sua passione per il calcio in maniera sorprendente.

Sorprendente come i suoi antagonisti, che si tratti di colleghi oppure di opinion leader dal giudizio negativo facile. Bollato troppo frettolosamente come perdente, Klopp - che in bacheca custodisce gelosamente due Deutsche Meisterschale, 1 Coppa di Germania e 2 Supercoppe tedesche vinte con il rockeggiante Borussia Dortmund - ha finalmente l'opportunità di far ricredere l'universo del pallone, in primis vendicando le due finali di Champions perse per colpe non sue e in secundis tentando di riportare il titolo in casa Reds dopo ben 29 anni. Un'impresa che, va detto, resta ardua a causa dello straripante Manchester City targato Guardiola.

Questo è Klopp, l'uomo dei record, dei potenziali 97 punti in campionato, delle tre finali di Champions League e delle esultanze inzaghiane sotto la Kop. Dunque, la domanda corretta da porsi è un'altra: riuscirà il Tottenham di Mauricio Pochettino (in formato Portogallo ad Euro 2016) a neutralizzare il Gegenpressing di Klopp? Comunque vada you'll never walk alone, Jürgen.