Affermava Parmenide: "L'essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere."

A distanza di sei mesi dall'insediamento di Andrea Pirlo sulla panchina bianconera, è chiaro a tutti che la Juventus appartenga più alla categoria del non essere che a quella dell'essere.

I dubbi di inizio stagione sono ormai divenuti delle certezze, i timori delle solide realtà.

La Juventus ha perso lo scettro di predestinata e con ciò buona parte della solidità mentale che l'aveva caratterizzata fuori, ancor prima che sul campo, in questi nove lunghi anni.

La mancanza di continuità è il vero elemento contraddistintivo di questa prima parte di stagione. Una mancanza di continuità frutto di prestazioni quasi sempre al di sotto della sufficienza e in alcuni casi frutto di superficialità e distrazione da parte degli interpreti di un gioco nemmeno lontanamente abbozzato.

Insistere sui limiti del centrocampo risulta ormai quasi imbarazzante. Imbarazzante come l'insistenza - o la presunzione - del numero 7 bianconero nel voler calciare qualsiasi punizione.

Già il numero 7. Da quando Cristiano Ronaldo è approdato a Torino - nel luglio del 2018 - il club bianconero ha perso quella coralità che sin dall'anno del primo scudetto l'aveva caratterizzata.

Ronaldo ha certamente portato gol e visibilità ad un club come la Juventus da sempre attenta, oltre che ai risultati sportivi, a quelli commerciali. Tuttavia, la sua presenza ha fortemente inciso sulle dinamiche interne ad uno spogliatoio che vantava una sua storia e un suo equilibrio. 

Un equlibrio smarrito, così come quella ferocia di cui Antonio Conte era stato portatore e quella concretezza di cui Allegri era stato interprete. 

Per ripartire occorrerà umiltà. Quell'umiltà che negli ultimi tempi è troppo spesso mancata.