"Eppur si move...". Dopo tre mesi di stop forzato in uno Stadium deserto è tornato a rotolare il pallone, quel pallone che tanto era mancato a milioni di tifosi, costretti a stare in casa in questi lunghi mesi di pandemia. 
Si è ripartiti con un classico del calcio italiano: Juventus e Milan di fronte in quella che era la semifinale di ritorno della Coppa Italia. Una semifinale che, nonostante lo 0-0, non ha di certo mancato di riservare emozioni.
Ciò che però più conta è che per 90 minuti si è riusciti a mettere da parte le preoccupazioni e le difficoltà che il virus ha portato con sé, tornando a rivivere l'attesa per una partita, la gioia per un rigore, il rammarico per un'occasione in quello che non è e che non potrà mai essere un semplice gioco.
Quello che vorremmo è che il calcio rappresentasse oggi un segnale, oltre che uno stimolo, per il nostro Paese. Un segnale di rinascita, di ripartenza, di coraggio. Sì, il coraggio di rialzare la testa, di guardare avanti, di tornare ad essere una grande nazione, così come abbiamo dimostrato di essere nei momenti di maggiore difficoltà.
Tornare alla vita di prima non sarà semplice né immediato. Ma ciò che non deve mai venir meno è la convinzione di potercela fare, la determinazione nel voler superare gli ostacoli - spesso innumerevoli - che la vita ci pone dinanzi, la consapevolezza di poter trarre dalle difficoltà degli insegnamenti. 
Il calcio cui, da qui in avanti, assisteremo non sarà uguale a quello cui eravamo abituati, se non altro per l'assenza del pubblico - vero motore trainante di questo sport - sugli spalti. Ma è sicuramente un punto di partenza. Un punto dal quale cominciare a tracciare un nuovo sentiero, possibilmente impervio ma capace di portare alla meta.
Ecco allora che, in attesa che il virus molli definitivamente la presa, il calcio lancia un messaggio chiaro: ripartire è possibile. Basta crederci.