“Signore vale per tutti” diceva una volta l’arbitro negli spogliatoi. Tagliava corto insomma, proprio come vorrei fare io, sorvolando sulle dovute premesse che merita una partita particolare come quella di questa sera. Assenza di pubblico, riposo passivo, un pizzico di paura e “quello che conta è il risultato che porti a casa”. Spero di non aver dimenticato niente, cosi’ da permetterci un umile cambio di prospettiva.
Ricordo la finale di Berlino contro il Barcellona, la più spensierata, quella del “ e chi se l’aspettava di arrivare fin qui?“. Guardavo Messi, Neymar e Suarez e pensavo: perché non giocano nella mia squadra? Ma soprattutto, ricordo lo sguardo di Barzagli dopo il primo gol degli avversari. Diceva a chiare lettere, “io non li ho nemmeno visti passare”. Ecco, questo illusionismo dei tre attaccanti è sempre stato uno dei miei sogni calcistici. Poi la televisione aveva inquadrato Morata, Tevez e Llorente e avevo pensato che andava bene cosi’.

Ma quella di questa sera è la prima partita dopo tre mesi. Sono seduto di fronte alla televisione e penso alla squadra avversaria. Rifletto sul risultato dell’andata e poi leggo i nomi dei tre attaccanti bianconeri e mi dico che forse Berlino non è più un sogno lontano. Partono pure bene, il rigore, il cartellino rosso. Adesso si scateneranno mi dico, Kjaer e Romagnoli non hanno scampo. Non sono mica Maldini e Baresi….
Passano i minuti, comincia la trafila soporifera dei passaggi e poi finisce il primo tempo. Osservo l’uscita dal campo dei milanisti e non sembrano affatto terrorizzati. Inaspettato, comincia a ronzarmi nelle orecchie quel fastidioso motivetto che speravo di avere dimenticato. Sospetto di assistere ancora una volta a quella coreografia ripetitiva che il mio migliore amico interista etichetta, non senza una certa eleganza, con l’appellativo di “danza della sterilità”.
E Berlino di colpo ritorna chimera. Mi rivengono in mente i pensieri più scuri, l’ultimo anno di Allegri, il commento di quel telecronista francese che definiva la tua squadra una formazione che “ama farsi malmenare”. E mi chiedo, la Juve di Sarri che cosa ama? Insediarsi nella metà campo avversaria per fare il torello? Dove sono finiti i 60 minuti di Napoli e i 90 dell’andata contro l’Inter? Perché quella progressione iniziale si è arrestata di colpo, cosa si è rotto?
Una cosa è certa. A fine anno bisognerà fare delle scelte, e saranno dolorose. Questa non è la squadra di Sarri e se gli verrà data una seconda possibilità, salteranno dei nomi importanti. Ma non bisognerà fare l’errore di sottovalutare il reparto che sembra l’ultimo dei problemi e invece è il meno sarriano di tutti. L’attacco della Juventus è per l’allenatore toscano una terra di nessuno. Dice ai giornalisti “ dobbiamo essere ordinati per 70 metri e liberi negli ultimi trenta”. Che tradotto significa: quei tre non convivono e non mi ascoltano. Lo dimostra tutta la rabbia che puo’ finalmente sfogare contro il malcapitato Bernardeschi: “decido io dove devi giocare”. Vallo a dire agli altri tre, se ne hai il coraggio.

Per disintossicarmi, domani guardero’ qualche video del Pescara di Zeman. Quello di Immobile, Insigne e Verratti. E sognero’ ancora una volta l’allenatore boemo come “responsabile della fase offensiva”. Che Sarri continui pure a lavorare sui primi 70 metri, ma lascino a Zdenĕc gli ultimi trenta. Forse lui ce la farebbe a farli convivere tutti quei campioni. Dopo le accuse di doping, le invettive contro la triade e contro le farmacie del calcio, non sarebbe il segno che finalmente qualcosa è cambiato davvero?