Il mio primo appartamento parigino era situato in un palazzo con molti italiani e una minoranza francese. Se senti l’inno italiano devi affacciarti alla finestra mi dissero. Per testimoniare solidarietà ad un connazionale che aveva subito un torto da un altro condomino o dalla malefica portiera Georgette. Si trattava perlopiù di ragazzi che lavoravano come cuochi o camerieri, quindi la chiamata alle armi arrivava spesso a notte inoltrata, sorprendendomi in pigiama o a torso nudo. Una notte però, notai un ragazzo del secondo piano che non cantava, ma nemmeno imprecava in francese perché lo lasciassimo dormire. Decisi che lui era la mia sola speranza per disertare e una mattina gli proposi di berci insieme una di quelle brodaglie che i francesi chiamano caffè.

Mi chiamo Julien, mi disse. Gli risposi educatamente che poco importava il suo nome, dato che da quel giorno per me sarebbe stato per sempre “le Suisse”, lo Svizzero.

Da allora ci incontriamo tutti i mercoledì pomeriggio per parlare di noi e invece finiamo sempre per parlare di calcio. Prima parlavamo anche di famiglia e di donne, ma da qualche mese abbiamo smesso. Precisamente da quando Julien ha risposto alla mia domanda sul perché non volesse avere figli dichiarandomi di essere omosessuale. Ma sono due anni che parliamo di donne, gli ho detto. Lui ha sorriso intaccando per sempre la mia convinzione di avere un intuito empatico.

Per un po’ di tempo ho smesso di parlare di donne con tutti gli amici. Tranne che con Edgardo, il mio psicologo argentino, che di calcio se ne frega totalmente. Un argentino che non ama il calcio, mi sono detto. E ho cominciato a nutrire sospetti anche su di lui.

Ma Julien, dicevamo. E’ un tifoso del Marsiglia sempre in giacca di pelle e molti anelli alle dita, con ideali socialisti. Ha accettato di discutere di Juventus con me anche se odia gli Agnelli, perché si è convinto che sono un tifoso consapevole. E’ innamorato dell’Atalanta di Gasperini e quando Agnelli ha fatto quel discorso sulla Champions ho dovuto mentire perché non avevo altra scelta. Lui non conosce Lapo, quindi gli ho raccontato la vita di Lapo fingendo che fosse quella di Andrea. E lui ha capito.

Quando però è arrivata la Superlega, era chiaro che la storia delle escort non era più sufficiente. Ho fatto la muta come dice mia figlia, e da consapevole sono diventato il tifoso che si vergogna. L’avevo già interpretato per Calciopoli, ma l’esperienza non mi ha aiutato, perché ho sentito che qualcosa fra di noi si è rotto comunque. L’ho intuito, parola grossa per me ormai, quando mi ha chiesto se avessi mai guardato una partita di rugby.

Sta cercando di umiliarmi per i cucchiai di legno dell’Italia, ho pensato. In tempi migliori avrei risposto con la frase di Wilde che diceva che il rugby è una buona occasione per tenere lontani trenta energumeni dalla città. Ma era pur sempre “il giorno del cilicio”, e ho sorriso facendo no con la testa piegata in avanti.

Per fortuna tutti i giovedì incontro Gérard nei pressi del lac de Dausmenil. E’ un tifoso del Paris Saint Germain sempre in giacca e cravatta con occhiali variopinti, che vota Macron e non disdegna Le Pen. Ci siamo ripromessi di andare a vedere una partita tra la Juventus e il PSG. Ma prima loro uscivano sempre agli ottavi e adesso siamo noi che abbiamo preso Ronaldo per questo. Il suo giocatore preferito è Matuidi e dice che Deschamps non è un grande allenatore, perché va bene vincere un mondiale, ma che noia giocare così.

Odia Pogba, Benzema e Verratti, in quest’ordine rigoroso. Eppure quando sono andato a pranzo con Marco mi ha chiesto se poteva venire con me. Parleremo in dialetto abruzzese, gli ho risposto. Non potevo dirgli che l’avrei incontrato per la prima volta solo grazie al lavoro di mia moglie. E da allora odia anche lui. Passa più tempo in discoteca che in campo, dice. E di discoteche parigine, lui ne capisce davvero.

Io cerco di dare ragione un po’ a tutti. Sono fatto così. Anche a mia moglie che dice che il calcio non dovrebbe occupare una parte importante della mia giornata. Quindi la domenica mi sveglio presto per cucinare, come faceva mia nonna. Vivo una giornata da uomo maturo e responsabile. Gli amici, la cena alle 8, le storie di mia figlia, un bel film o una serie inglese. E la giornata è finita per tutti, tranne che per me. A me resta ancora la notte, la partita della Juve e un articolo all’alba.