Con i bar che son chiusi noi italiani, popolo di allenatori, ci siamo riconvertiti in una schiera di giornalisti. Ma così tanti articoli creano una straordinaria complessità nella mente, carica di contraddizioni. Qualcuno mi ha detto, devi immaginare frasi che potrebbero non essere state scritte da nessuno. Come se scrivere fosse soprattutto capire di cosa tacere, quello che sarebbe meglio dimenticare.
“Dopo il secondo gol di Chiesa eravamo sicuri di farcela. Poi quel tiro sulla traversa, quasi allo scadere. E noi che non eravamo più sicuri di niente. “
Mi sembra di non poter scrivere nient’altro.
Sarebbe inutile discutere degli episodi, perché una partita non è fatta di episodi. Li contiene. E in una partita come quella di martedì, c’è molto altro. Forse è meglio affidarsi alle parole di chi ne sa.

“Siamo sicuri che Paratici e Nedved siano così bravi?”
Ho sempre pensato che il compito di una società sia quello di mettere a disposizione del proprio allenatore una squadra con cui giocarsela fino in fondo. La squadra migliore possibile, non la più forte in assoluto.
Kulusevski, Arthur, McKennie, Morata, Chiesa.
Siamo d’accordo, non è il 2001 (Buffon, Thuram, Nedved, Salas, Amoruso), ma in un anno così difficile, quasi tutte le grandi squadre non hanno comprato nessuno. E i prestiti di Douglas Costa, Rugani ed altri solo perché gli pagassero lo stipendio, qualcosa significherà. Non è una Mercedes, ma una Ferrari amaranto, che se “le lasci sciolta un po’ la briglia” con il Porto e con l’Inter non parti sconfitto.

“Basta dire che bisogna vincere la Champions!”
Purtroppo dirlo o non dirlo non cambia la sostanza. Gli occhi della vecchia guardia parlano da soli. Perché tutto quello che Buffon, Chiellini e gli altri vorrebbero, o avrebbero voluto, era chiuderlo per davvero questo benedetto ciclo dei nove scudetti. Si trattava di vincere la Champions o perdere il primo scudetto, altre strade non ce n’erano. E così Platini e Vialli saranno sempre ad un gradino più alto. La coppa è stata per “gli invincibili” la balena bianca che gli ha tranciato una gamba. Cristiano lo spacciavano per Achab, e invece era soltanto il primo ramponiere.

“La Juventus scelga un allenatore che abbia un’idea di gioco”
Pirlo ha un’idea di gioco, ma è la stessa di Osho, il mistico indiano. Osho sosteneva che i genitori con le loro regole corrompono la naturale evoluzione dei bambini, la purezza della loro consapevolezza. “Vi lascerò in una totale confusione” diceva ai suoi discepoli.
Pirlo è stato un fuoriclasse e i fuoriclasse quando allenano non trasmettono ai giocatori “il fardello delle risposte”. Perché le urla di Conte ti impediscono di ragionare con la tua testa, e se Allegri non getta il cappotto a terra devi imparare a svegliarti da solo.

Ecco allora le formazioni che cambiano ogni domenica, la teoria della fluidità e i primi tempi timidi e confusionari. Quando Milinković-Savić è arrivato quasi davanti alla porta di Szczęsny chiedendosi perché nessuno lo ostacolasse, Pirlo continuava ad incitare i suoi giocatori. Batteva le mani, come avrebbe fatto Zidane. E Rabiot si è svegliato, dico Rabiot !

“È folle discutere Cristiano Ronaldo.”
Non è folle ammettere di non avercela fatta. È inutile scervellarsi se siano stati più i suoi compagni o gli anni che contrastano meglio dei difensori avversari. Forse Cristiano non ha cambiato la Juve, ma temo soprattutto che la Juve non abbia cambiato Cristiano. Anche questa è una piccola sconfitta. Vuole sempre il pallone, allarga la braccia per lamentarsi, non incita i compagni a provarci al posto suo. Gli consiglierei nel mio piccolo, di andare ad un concerto di Paolo Conte. Per vederlo suonare su un lato del palco, come un semplice pianista di pianobar. Alla fine di ogni canzone chiede ad un suo musicista di alzarsi. “ Il mio sassofonista” dice, e gli applausi si piegano verso di lui.

“Martedì sera c’erano le emozioni ma non c’era il gioco.”
Ad un certo punto del secondo tempo mi sono accasciato sul divano perché il mio cuore batteva forte. Mia figlia di cinque anni mi ha visto e mi ha chiesto: papà perché è importante? Avrei dovuto raccontarle di un sogno riflesso proprio mentre quel sogno, per chi lo inseguiva davvero sul campo, stava scomparendo. Non ho saputo spiegarglielo. E anche se per pochi giorni, o forse per poche ore, dietro un sorriso di imbarazzo, quella sconfitta ha lasciato una piccola ferita.