“Non mi ricordo di essere stato in una grande squadra. L’Inter? Ma quella mica era una grande squadra, almeno come valori tecnici”. Con questa discutibile uscita, Gian Piero Gasperini è tornato a parlare per l’ennesima volta della sua demenziale e fugace avventura in nerazzurro, durata la bellezza di 5 gare ufficiali.

Ma facciamo un passo indietro: siamo nel pieno post-Triplete, si è conclusa una stagione deludente, che ha sì arricchito la bacheca dell’Inter di una Supercoppa Italiana e un Mondiale per Club, vinti con Benitez, e una Coppa Italia, vinta con Leonardo, ma che ha anche e soprattutto reso palesi gli errori gestionali di un Moratti appagato dalla conquista della tanto agognata Coppa dei Campioni. Errori che si sono tradotti in una vana rimonta scudetto nei confronti del Milan e nella batosta ai quarti di finale di Champions contro lo Schalke 04. È l'ormai lontano luglio 2011 quando Moratti dà il via libera a Leonardo per accettare la corte del Paris Saint Germain diventandone il direttore sportivo e Gasperini, quarta/quinta scelta del presidente che aveva sondato Bielsa, Villas Boas, Capello e ignorato la candidatura di Simeone reduce dalla salvezza conquistata a Catania, si ritrova così catapultato all’improvviso in un mondo nerazzurro scarico e svuotato di nuove ambizioni. La stretta del Fair Play Finanziario comincia a incombere sull’Inter, costretta a cedere Samuel Eto’o all’Anzhi Makhachkala per una cifra di poco superiore ai 20 milioni sostituendolo con Diego Forlan acquistato per 5 milioni dall’Atletico Madrid realizzando solo in seguito di averlo inserito invano nella lista Uefa dal momento che il “Cacha” aveva disputato un turno preliminare di Europa League con gli spagnoli. Così l’Inter corre ai ripari e prende in prestito con diritto di riscatto Mauro Zarate dalla Lazio. La campagna acquisti estiva condotta si rivela assurda: la richiesta esplicita del Gasp era Rodrigo Palacio (approdato a Milano un anno più tardi), per rinvigorire il tridente completato da Milito ed Eto’o, con Moratti che aveva promesso al tecnico che il camerunense non sarebbe stato ceduto. Il tecnico di Grugliasco avrebbe infatti preferito la cessione di Sneijder, al posto del quale avrebbe gradito un centrocampista di sostanza e qualità come Vidal, passato invece alla Juventus dopo un’ottima Copa America col Cile, o Nainggolan, reduce dagli ottimi inizi a Cagliari. Ma alla fine arrivò Poli. Prima di lui ecco anche Castaignos, Jonathan e Alvarez, rivelatisi uno più inutile dell’altro.

Insomma, Gasperini non si è mai trovato d’accordo sulle scelte societarie dell’epoca, né sulle idee di gioco che il gruppo dei senatori sostenuto da Moratti voleva portare avanti. Storica la diatriba sulla difesa a tre proposta dall'ex genoano (“Udinese e Napoli hanno fatto un grande campionato con questo sistema, come del resto il mio Genoa, non fossilizziamoci sui numeri ma può essere la strada giusta”), che non è mai andata giù a giocatori e presidente, il quale gli rimproverava anche le continue esclusioni di Pazzini dall’undici titolare. La verità però, e qui si torna alle recenti frasi pronunciate dall’attuale allenatore dell’Atalanta, è che i campioni che c’erano (perché c’erano), non avevano più fame di vittorie ed erano poco disposti ad accettare il sacrificio tattico che richiedevano gli schemi di Gasperini. Come già dimostrato sotto la gestione Benitez, era un gruppo di calciatori a fine ciclo che pensava di potersi autogestire, arrivando comunque al successo. E se ci si aggiunge il fatto che gli allenatori ingaggiati in quella fase storica venivano ignorati in quelle che erano le loro richieste tecnico-progettuali (era successo solo un anno prima con Benitez che chiese invano Evra o Kolarov, Mascherano e Kuyt), ecco che Gasperini ha tutte le ragioni nel guardare con rancore a un’esperienza che poteva rovinargli una carriera che ai tempi subì un brusco stop, costringendolo a ripartire lentamente dal Palermo e dal ritorno Genoa dove si era affermato sfiorando la qualificazione in Champions League nella stagione 2008-2009, stagione che peraltro ha lasciato in eredità proprio all’Inter le decisive prestazioni di Thiago Motta e Milito nel 2009-2010.

Detto di queste circostanze attenuanti, però, Gasperini ci mise del suo: non entrò mai in empatia con l’ambiente, non fu in grado di alzare la voce in sede di mercato e attuò scelte confusionarie. Il difensivo 3-5-1-1 con Zanetti e Obi sulle fasce nel derby di Supercoppa a Pechino (a onor del vero quella squadra aveva in campo Sneijder ed Eto’o in odore di cessione, alla fine partì il secondo), Zanetti nei tre di difesa nell'esordio in campionato perso per 4-3 a Palermo gettando subito nella mischia i nuovi Jonathan, Zarate e Forlan, la virata sulla difesa a quattro con Pazzini rispolverato all’esordio in Champions perso in casa col Trabzonspor, fino ad arrivare alla disfatta di Novara con Sneijder schierato come mediano dietro a un tridente con Forlan e Castaignos esterni, i quali non videro mai palla. Proprio la sconfitta di Novara, capolinea del blitz interista del Gasp e famosa per Cambiasso che invita i compagni a ignorare le direttive dell'allenatore disponendosi a quattro dietro, con la squadra campione del Mondo in carica annientata da una neopromossa, resterà sempre tra i punti più bassi della storia dell’Inter. Un’Inter che passò in mano a Ranieri, il quale dichiarò di essere rimasto toccato dal fatto che quella stessa corazzata che gli aveva soffiato lo scudetto a Roma prima di salire sul tetto d’Europa solo poco più di anno prima avesse paura che potesse palesarsi addirittura lo spettro della retrocessione. Il tecnico romano riuscì solo in parte a dare nuova linfa a quella squadra, che dopo un filotto che la aveva portata a ridosso della Champions e la contemporanea eliminazione agli ottavi inferta dal Marsiglia, precipitò al sesto posto (e nelle mani di Stramaccioni) dopo la sciagurata sostituzione di Thiago Motta con Angelo Palombo a fine mercato di gennaio.

A posteriori, Gasperini è uscito alla grande dalla breve e surreale parentesi interista, come dimostra il superbo lavoro svolto all’Atalanta, vera e propria macchina da calcio le cui idee non dipendono dal singolo giocatore ma da ingranaggi ai limiti della perfezione al punto da offrire prestazioni eccellenti anche in campo europeo. Ed è un peccato che il Gasp non sia ancora riuscito a metabolizzare quel fallimento, perché il fallimento è stato anche suo: farsene finalmente una ragione sarebbe la conferma di una maturità da professionista che sta dimostrando sul campo. Perché non accettare i propri limiti, persistere nel giustificarsi e scaricare le responsabilità non rende vincente nessuno. Eppure Gasperini da quella esperienza ha tratto preziosi insegnamenti diventando oggi un allenatore migliore, non adatto a una piazza particolare come l’Inter, come del resto tanti altri, ma nessuno lo ritiene scarso per questo. Continuare però a rivangare il passato arrivando a sminuire i "valori tecnici" di quella squadra, oltre a essere irrispettoso nei confronti di un gruppo che veniva da logoranti successi, offende anche la sua stessa intelligenza, visto e considerato che in sede di presentazione l’ex tecnico del Genoa la pensava diversamente rispetto a quanto dichiarato di recente: “qui c’è tutto per lavorare al meglio, l’Inter ha grandi giocatori e si deve solo vincere”. A dimostrazione del fatto che Gasperini era ben consapevole che quel gruppo, senz’altro scarico e con poche cartucce da sparare, rappresentava comunque un materiale umano di spessore che poteva fungergli da trampolino di lancio. Non aver saputo toccare le corde giuste per condurre e motivare quei grandi giocatori è stato un suo limite, e questo contava più di qualsiasi (indiscutibile) preparazione tattica.

Morale: del tutto legittimo il rammarico di Gasperini per non avere di fatto avuto la possibilità di dimostrare se fosse un tecnico all'altezza di una grande squadra, ma sminuire i valori di un gruppo di indimenticabili campioni che non ha saputo, con tutte le attenuanti del caso, rinvigorire, dopo le dichiarazioni bellicose che aveva rilasciato all’epoca, è troppo facile. Ed è una fragorosa caduta di stile, molto più dei risultati negativi di quelle 5 partite la cui breve gestione resterà inevitabilmente tra le pagine più tristi della storia nerazzurra. Se Gasperini, a distanza di oltre 6 anni, rimane su questa spiacevole linea, non si sorprenda se qualche tifoso gli rinfacci di essere, ai tempi, rimasto eufemisticamente sorpreso di vedere la squadra campione del Mondo passare in un solo anno dalle mani di Josè Mourinho a quelle dell’allenatore esonerato dal Genoa.