Sono ormai passati quasi due mesi da quel colpo di testa di Matias Vecino che, di fatto all’ultimo pallone dell’ultima giornata, ha portato l’Inter di Spalletti in Champions League a oltre sei anni dall’ultima partecipazione.
Sei anni di lacrime e sangue scanditi da caos societario, scelte dirigenziali e sportive eufemisticamente discutibili e infine due cambi di proprietà con le inevitabili scosse di assestamento del caso. Nel mezzo, arrivava una qualificazione in Europa League (poi abbandonata due volte agli ottavi e una ai gironi) alternata nell’ordine a nono, ottavo e settimo posto in classifica con annesso mancato accesso alle coppe europee.
Così, in questo vortice infinito di “anni zero” o “anni di transizione” che dir si voglia, ecco apparire la figura di Luciano Spalletti nelle vesti di deus ex machina fin dall’annuncio ufficiale del suo incarico come allenatore dell’Inter nel giugno dell’anno scorso. Il tecnico reduce dalla sua seconda esperienza romana è infatti l’architetto della ricostruzione nerazzurra sfociata nel tanto atteso “anno uno”, colui che ha raccolto i cocci residui ripartendo dalle poche certezze di una squadra spenta e depressa assumendo il ruolo di vero e proprio taumaturgo in grado di recuperare giocatori persi alla causa e portarli a raggiungere, seppur con estrema fatica, l’obiettivo stagionale dopo anni di puntuali fallimenti.

Oggi, con il ritiro precampionato alle battute iniziali, è possibile tracciare le cinque linee guida del percorso di progressiva crescita disegnato da Spalletti, coadiuvato da Ausilio e Suning:

  1. IL PROGETTO, ANNO DUE (dalla ricostruzione alla stabilità): quel colpo di testa di Vecino, dicevamo. Inutile dire che senza quel colpo di testa il prossimo futuro avrebbe avuto contorni meno rosei sotto l’aspetto della credibilità di un progetto, quello cinese, che a due anni dalla sua partenza ha stentato fin troppo ad attuare l’impennata. Ma andiamo con ordine: il primo anno di Suning, il 2016-2017, quello che possiamo definire come l’ultimo degli ennesimi anni zero, si è rivelato quello del traumatico approccio al calcio italiano ed europeo a causa dell’erronea convinzione di poter replicare con successo il modello del calcio cinese in mano ai procuratori (ogni riferimento a Kia Joorabchian è puramente casuale). Da lì una serie di errori a cascata, come il conferire poteri esorbitanti a un socio di minoranza in possesso del 30% delle quote che spingeva per sostituire Mancini con il suo pupillo De Boer a neanche due settimane dall’inizio del campionato, con la logica conseguenza di mandare all’aria una stagione ancor prima che cominciasse e ritrovarsi poi a dover ripiegare su un Pioli senza contratto neanche tre mesi più tardi. Risultato: quarto posto precedente trasformato in settimo con tanto di imbarazzante campagna europea terminata all’ultimo posto di un girone con Southampton, Sparta Praga e Hapoel Beer Sheva. Il secondo anno di Suning, inaugurato con l’avvento di Walter Sabatini nel ruolo di coordinatore capo dell’area tecnica di Inter e Jiangsu, seguito dalla scelta di Spalletti come nuovo allenatore, è quello delle ormai celebri “promesse non mantenute”, degli errori di comunicazione misti a un mercato che da pirotecnico che era stato presentato si rivela prudente in ossequio ai principi dell’autofinanziamento. Il mercato di gennaio è solo un’appendice di quanto accaduto in estate, al punto da spingere Sabatini alle dimissioni. Nonostante tutto però, l’Inter ottiene una qualificazione Champions che per stessa ammissione di Spalletti nella conferenza stampa di fine stagione rappresenta traguardo a cui nessuno ha mai smesso di credere ma tutt’altro che scontato in relazione a quanto messogli a disposizione dalla società. E così, il gol di Vecino contro la Lazio sembra gridare “abbiamo sofferto, ma questo è stato l’anno uno, da qui si riparte con rinnovata ambizione”. Infatti, l’accesso al prestigio della Champions League e dei suoi ricchi ricavi unito al sempre ottimo lavoro di Suning nell’ambito degli accordi commerciali e delle sponsorizzazioni, non può che rappresentare un trampolino di lancio per le ambizioni dell’Inter, sepolte dal settlement agreement siglato con l’UEFA nel 2015 cui dovrà sottostare per un ultimo anno. L’UEFA ha infatti deciso di non concedere una via d’uscita anticipata all’Inter che ha sì rispettato con successo le imposizioni sul pareggio di bilancio ma non è riuscita ad abbassare il costo degli ammortamenti (la situazione è anzi peggiorata e, in questo senso, le sanguinose e demenziali operazioni Joao Mario-Barbosa targate Kia non hanno certo aiutato) e vanno inquadrati in quest’ottica i dialoghi per i rinnovi di contratto a cascata per molti calciatori in rosa. Ma la strada ora sembra davvero quella giusta, senza più disperati all-in come quello del 2015 ai tempi di Thohir e Fassone o investimenti folli come quelli del 2016, è quello della logica il sentiero sul quale adesso sta camminando la nuova Inter in questo terzo anno di Suning: l’anno della programmazione e della stabilizzazione, per affermarsi sul livello della Champions League senza che rappresenti solo il casuale exploit di una stagione.
  2. IL CALCIOMERCATO (una campagna di rafforzamento, per chiarezza di idee e tempestività, seconda solo a quella dell’estate 2009, in attesa di conferme nell’ultimo mese di trattative): ormai è risaputo, il mercato dell’Inter in regime di settlement agreement prevede la caccia sfrenata alla plusvalenza entro il 30 giugno e il ruolo del tifoso al giorno d’oggi richiede di indossare i panni dell’avvocato, del commercialista, dell’economista per non perdere di vista le questioni tecniche e sportive della propria squadra del cuore. Da questo punto di vista, se l’anno scorso la dose di fantasia elaborata pur di non dover rinunciare a Ivan Perisic direzione Manchester United aveva, tra le altre operazioni, portato alla “restituzione” di Banega al Siviglia dopo solo un anno dal suo arrivo a parametro zero e soprattutto la cessione di Caprari collegata all’acquisto di Skriniar (è bene sottolinearlo e dare i giusti meriti a Piero Ausilio), quest’anno il DS nerazzurro ha provveduto alle cessioni di svariati giovani della Primavera il cui successo come ormai noto non è la promozione di calciatori pronti in prima squadra ma la funzione di salvadanaio da rompere in caso di “emergenza UEFA”. Oltre ad aver raggiunto il tetto di plusvalenze necessario a rientrare negli accordi, le operazioni di “taglia e cuci” hanno prodotto un risultato ben al di sopra delle aspettative: con la cessione di Odgaard al Sassuolo è arrivato Matteo Politano, con la cessione di Zaniolo alla Roma è arrivato Radja Nainggolan, l’oggetto dei desideri di Spalletti che ha ottenuto il suo regalo per la qualificazione in Champions. Se Politano si aggiunge alla scarna batteria di esterni offensivi con caratteristiche diverse dagli altri quali la rapidità palla al piede e l’abilità a tagliare dentro il campo partendo da destra col piede mancino, è il “Ninja” il grande colpo di giugno. Per qualità, tempra e costanza di rendimento è quel colpo che all’Inter mancava da una decina d’anni, una sintesi di quei Lampard, Mascherano e Yaya Tourè che Mourinho, Benitez e Mancini hanno provato in tutti i modi a portare con sé a Milano rispettivamente nel 2008, 2010 e 2015. Ausilio si era inoltre mosso in anticipo assicurandosi a parametro zero le prestazioni di Stefan De Vrij, roccioso ed elegante difensore goleador della Lazio, e Kwadwo Asamoah, duttile jolly di fascia sinistra della Juventus, non prima del blitz in Argentina per strappare Lautaro Martinez (sulle cui qualità non resta che confidare nell’investitura di Diego Milito) all’Atletico Madrid. Se a tutto ciò si aggiunge che, dopo anni di difficoltà ataviche a liberarsi degli innumerevoli esuberi in rosa, Ausilio è riuscito a inserire Santon nell’operazione Nainggolan e a cedere definitivamente Nagatomo al Galatasaray ecco lì che la sua quinta stagione da DS dell’Inter può nascere sotto una buona stella a differenza delle precedenti quattro. Come se non bastasse, la consorella cinese dello Jiangsu ha versato nelle casse dell’Inter una cifra tra i 5 e i 6 milioni per Eder (che andrà ad occupare lo slot di quel Ramires tanto accostato all’Inter e ormai separato in casa dalle parti di Nanchino) contribuendo a raggiungere la somma di quasi 20 milioni per le cessioni di esuberi storici come appunto l’italo-brasiliano, Nagatomo e Santon (ceduto alla Roma per un valore di 9,5 milioni che aumenta sì la valutazione di Nainggolan a 38 milioni totali ma contribuisce a permettere all’Inter di inserire nuovi giocatori in lista UEFA a seconda di quanto incassato dai “superstiti” dell’ultima lista consegnata nel 2016 come da imposizione del settlement agreement). Doveroso però, rimarcare una grave macchia tra le operazioni di mercato 2017-2018: più che il mancato riscatto di Rafinha, profilo non completamente congeniale a Spalletti che ha preferito riavere con sé Nainggolan e quindi avvenuto per scelta, quello di Joao Cancelo, nel frattempo divenuto come ampiamente previsto un calciatore della Juventus che lo aveva già seguito e aveva necessità di reperire un terzino destro di un certo livello. Ecco, i quasi 40 milioni che sarebbero serviti per confermarlo all’Inter saranno stati anche una cifra eccessiva per le casse nerazzurre, certo è che averne spesi oltre la metà per Dalbert non fa che accrescere il rimpianto per aver lasciato andare il miglior terzino del dopo-Maicon che l’Inter aveva trovato (quasi per caso, nell’ambito della cessione di Kondogbia al Valencia) e plasmato per il campionato italiano grazie al lavoro di Spalletti e Martusciello. L’impressione è quella di un’opportunità di mercato nata per caso e come tale colta con l’animus di un prestito secco, sfruttata al massimo per ottenere l’obiettivo sportivo nel breve termine ma che da ultimo direziona il guadagno su Valencia (Kondogbia e 40 milioni) e Juventus (Cancelo). Accettare condizioni di riscatto a cifre così alte entro il 31 maggio, sapendo di non avere margini di manovra nonostante il contestuale riscatto di Kondogbia non è stata certamente operazione da grande squadra, e scenari del genere non dovranno più verificarsi se l’Inter ambisce ad affermarsi a certi livelli. D’altronde il reparto dei terzini è un tallone d’Achille della recente storia dell’Inter, lo dimostra un’altra, ex post, negativa operazione del 2016 come il mancato riscatto di Alex Telles a 7,5 milioni dal Galatasaray per prendere dal Genoa un Ansaldi trentenne e soggetto a infortuni a una cifra addirittura superiore (perché comprensiva del cartellino di Diego Laxalt) insieme a Caner Erkin, rispedito in Turchia neanche un mese più tardi. Morale della favola: oggi Alex Telles è del Porto, ambito da Bayern, PSG, Chelsea e Liverpool a cifre di poco inferiori a quella di Cancelo. Una macchia grave, si diceva, retaggio del passato che condiziona le valutazioni ma non intacca il bilancio positivo del mercato fin qui condotto nel 2018. 2010: mancati ingaggi di Mascherano, Kolarov e Cavani. 2011: addio a Eto’o per Forlan e Zarate. 2012: Cassano, Silvestre, Mudingayi, Gargano, Alvaro Pereira a oscurare Handanovic e Palacio. 2013: Taider anziché Nainggolan, Wallace, Campagnaro e Belfodil a oscurare Icardi. 2014: Dodò, Medel, M’Vila, Osvaldo, Vidic. 2015: Jovetic anziché Salah o Dybala, Kondogbia e Felipe Melo anziché Yaya Tourè, Montoya, Ljajic e Biabiany a oscurare Perisic e Miranda. 2016: Candreva, Ansaldi, Banega, Joao Mario e Barbosa. 2017: Vecino e Borja Valero l’usato sicuro, la scommessa Karamoh, il flop Dalbert anziché Kolarov e l’exploit Skriniar a rendere il bilancio sufficiente. Sì, il 2018 ha decisamente grosse possibilità di rivelarsi il mercato migliore (non che ci volesse granché, in effetti) dai tempi dell’epico 2009 con Milito, Thiago Motta, Sneijder, Lucio ed Eto’o. Con tutte le dovute proporzioni del caso e in attesa dell’ultimo, decisivo, mese di trattative che può ancora riservare un altro paio di rinforzi (un terzino destro e un centrocampista in primis) e altrettante cessioni (prima fra tutte quella dello sciagurato Joao Mario).
  3. IL RITIRO D’ALTRI TEMPI, APPIANO GENTILE BASE STRATEGICA: se Spalletti sta avendo non poca voce in capitolo sul mercato, lo stesso è accaduto in tema di programmazione estiva ben prima del termine della scorsa stagione. Infatti, il tecnico di Certaldo ha chiesto e ottenuto di evitare le lunghe e controproducenti trasferte transoceaniche a cui si erano dovuti loro malgrado piegare Mazzarri, Mancini e lo stesso Spalletti l’anno scorso. Luciano ha spiegato come restare alla casa base di Appiano potrà produrre maggiori frutti di quanti non ne abbia prodotti negli anni scorsi il prestarsi a gravosi spostamenti in piena fase di preparazione con le annesse problematiche relative al mercato. Come dimenticare infatti quando l’Inter di Mancini nel 2016 era costretta a girare per gli Stati Uniti per disputare sfide di cartello contro PSG, Bayern Monaco e Tottenham collezionando palloni in fondo al sacco e schierando esuberi misti a giovani della Primavera con tanti saluti a una preparazione mirata alla stagione da affrontare. Insomma, una strategia perdente in partenza che non faceva che infondere malumori in tutto l’ambiente. Oggi serve quella logica e condivisione di idee che mancarono colpevolmente due anni fa quando erano più teste a decidere le sorti dell’Inter. Oggi, come allora, c’è il triplo impegno da fronteggiare e Spalletti sa che un mese di intenso lavoro tra le mura domestiche non potrà che giovare a vecchi e nuovi. C’è un gruppo da plasmare, meccanismi da assimilare o perfezionare, calciatori da accogliere e preparare al meglio. Appiano ospiterà quindi i nerazzurri anche per tutto il mese precampionato, nerazzurri che, dopo la prima uscita inaugurale della stagione vinta contro il Lugano con rete di Lautaro Martinez e doppietta di Karamoh, si sposteranno dal proprio quartier generale solo per alcune tappe amichevoli del summer tour quali Sion, Pisa contro lo Zenit, Sheffield, Nizza contro il Chelsea, Lecce contro il Lione e Madrid contro l’Atletico. Nel mentre, Spalletti e il suo staff si prepareranno ad accogliere i reduci dal Mondiale in Russia: Miranda e Vecino eliminati ai quarti con Brasile e Uruguay, ma soprattutto Brozovic e Perisic, vicecampioni del Mondo con la Croazia e autori di prestazioni di livello assoluto, con la convinzione che sapranno trasferire a tutto il gruppo aria di vertice. Insomma, lavori in corso in quel di Appiano Gentile: tutti agli ordini del capocantiere Spalletti che, dopo le ferie trascorse in relax a Forte dei Marmi sorseggiando caffè, leggendo quotidiani sportivi e telecomandando Piero Ausilio al telefono in attesa di notizie, freme dalla voglia di cimentarsi in una stagione che si preannuncia stimolante.
  4. MARTUSCIELLO E L’IMPREVEDIBILITÀ TATTICA: una notizia che non ha attirato le attenzioni che avrebbe meritato è senza dubbio la permanenza di Giovanni Martusciello nel suo ruolo di tattico di Luciano Spalletti. Portare con sé a Milano l’ex allenatore dell’Empoli è stata una delle sue prime mosse da allenatore dell’Inter e i risultati si sono potuti presto apprezzare nel corso della stagione. Figura preziosa nello staff di Spalletti, Martusciello si occupa soprattutto della fase difensiva e se l’Inter ha esibito quasi sempre prestazioni difensive sopra la media gran parte del merito è ascrivibile a lui: Miranda e Skriniar sono stati tra le migliori coppie di centrali del campionato, Joao Cancelo è passato da essere un terzino scadente in fase difensiva da impiegare quasi come ala a regista difensivo di un’Inter che da quando ha cominciato ad adottare la c.d. difesa a tre e mezzo nella parte finale del campionato è uscita dalla crisi invernale. Con Maurizio Sarri al Chelsea, Martusciello sembrava destinato a tornare a fare il suo vice come ai tempi di Empoli, ma così non è stato. La sua permanenza è di fondamentale importanza anche per conservare e consolidare quel “fil rouge” di continuità che troppe volte è venuto a mancare in casa nerazzurra: con l’inamovibile Skriniar e l’importante innesto di Stefan De Vrij, si attende infatti solo la notizia della conferma di Joao Miranda per almeno un’altra stagione (in caso di rinnovo diventerebbero due), notizia che sembra sempre più imminente dal momento che il capitano del Brasile ha chiesto e ottenuto di cambiare numero di maglia e passare dal 25 a al 23 lasciato libero da Eder e indossato ai tempi dell’Atletico Madrid con cui ha vinto Liga, Europa League, Copa del Rey e Supercoppa di Spagna. Che sia di buon auspicio per un’Inter che deve tornare a sollevare trofei. Con un pacchetto di difensori centrali di questo livello, Spalletti potrà anche optare per la difesa a tre in determinate partite a seconda delle caratteristiche dell’avversario, e chi meglio di Martusciello può affinare l’intesa dei tre difensori? Certo, tutti e tre hanno il destro come piede preferito, quindi qualcuno risulterà sacrificato sul centro sinistra all’occorrenza, ma la difesa a tre con tutti centrali di ruolo sarà solo una delle variabili tattiche della nuova Inter. Non va infatti dimenticata la difesa a tre e mezzo con un terzino sulla linea dei centrocampisti e l’altro come terzo difensore, scenario che potrà verificarsi schierando un 3421 con Nainggolan nel ruolo di incursore dietro a Icardi o un 3412 qualora si voglia partire dal primo minuto con Lautaro in appoggio a Icardi. Tutte variabili rispetto a quel 4231 di base che consentono all’Inter di presentarsi meno prevedibile rispetto alla scorsa stagione e più camaleontica anche all’interno della stessa partita.
  5. CHIAREZZA DI OBIETTIVI: si riparte dal triplo impegno settimanale, i ranghi di partenza collocano l’Inter in quarta posizione in campionato e in quarta fascia in Champions League. Alla larga da voli pindarici tipici delle torride estati di calciomercato, il primo obiettivo di stagione è quello di centrare nuovamente la qualificazione in Champions attraverso il campionato e farlo con maggiore tranquillità rispetto alla passata stagione: è ragionevole chiedere a Spalletti di tenere dietro la Lazio, superare la Roma e avvicinare il Napoli. Un terzo posto, per quest’anno, sarebbe risultato soddisfacente. Fondamentale però restare nel gruppo delle prime quattro senza mettere mai in discussione l’accesso in Champions League. Il secondo obiettivo è disputare un girone di Champions più che dignitoso, in considerazione del fatto che il rischio di trovarsi in un girone di ferro al primo anno di partecipazione è alto: qualificarsi agli ottavi sarebbe importante per ricavi e bilancio ma scendere ai sedicesimi di Europa League e superare più turni possibili sarebbe risultato ugualmente ottimo. Da ultimo, quella Coppa Italia che aveva avviato il ciclo vincente 2005-2011: con la Juventus inarrestabile sul binomio Scudetto-Coppa Italia da ben 4 anni sarebbe un graditissimo quid pluris tornare a vincere un trofeo, intanto già solo disputare una finale valida per farlo sarebbe un traguardo che certificherebbe che l’Inter adesso c’è ed è pronta a tornare competitiva.