C'è un filo rosso che lega Cagliari all'Uruguay. Lo hanno imbastito i diciotto calciatori di quel paese che hanno vestito la maglia rossoblu, i più numerosi fra i giocatori stranieri sbarcati in Sardegna. Il bilancio complessivo della loro esperienza cagliaritana è positivo, anche se non sono mancate le delusioni e se gli esordi non furono promettenti.

Il primo uruguaiano nella storia del Cagliari fu infatti quel Waldimar Victorino che, a dispetto della grande attesa suscitata dal suo arrivo - era stato il capocannoniere del Mundialito 1982 - deluse tutti, gli addetti ai lavori, i tifosi e la società. Concluse il campionato con prestazioni opache e senza segnare un solo gol, cosicché nell'estate del 1983 fu ceduto ad una squadra argentina.

Da allora, passarono quasi dieci anni prima che la passione per i calciatori uruguaiani potesse riprendere vigore. E questa volta la passione non restò delusa.

Che incanto vedere giocare il “principe” Enzo Francescoli, agile ed elegante nel portare il pallone al suo piede, difendendolo dai predatori intorno a lui. Un principe pittore, capace di tratteggiare traiettorie perfette negli assist come nei tiri in porta. Si presentò subito al meglio della forma davanti ai tifosi del Sant'Elia, in quel pomeriggio settembrino del 1991 che accolse a Cagliari i campioni d'Italia della Sampdoria. Nel primo tempo aveva messo a segno il calcio di rigore che aveva pareggiato l'iniziale gol del doriano Silas, ma Francescoli brillò più del sole della Sardegna nel secondo tempo, quando segnò su azione e pareggiò il secondo vantaggio blucerchiato, che era stato siglato da Mancini ancora nel primo tempo. Ricevette il pallone sulla trequarti di sinistra il principe, poi avanzò di alcuni metri, con un fulmineo tocco d'esterno dribblò l'avversario che lo tallonava, entrò nel perimetro dell'area di rigore e, dopo avere guadagnato abilmente lo spazio non ancora chiuso dai difensori, tirò di interno destro a girare verso il palo lontano. Quel pallone sembrava più leggero dell'aria che stava attraversando, quasi fosse una fragile libellula che qualunque soffio di vento potrebbe spostare, fare cadere, allontanare dalla sua meta. Ma no, Pagliuca potè prendere la libellula tra le sue mani soltanto dopo che quella aveva accarezzato la rete, per poi appoggiarsi sull'erbetta ai suoi piedi.

La doppietta del principe fu coronata dalla rete finale di “Pepe” Herrera, che diede la vittoria ai rossoblu. Centrocampista centrale col vizio del gol, Pepe era uomo di sostanza, “di lotta e di governo”, come si usa dire per definire il modo di stare in campo di giocatori come lui.

Come lui e come il suo connazionale Nelson Abeijon, detto Abe, arrivato in Sardegna più tardi, nel 1998. Forse dotato di minore tecnica, forse più generoso ma proprio per questo molto amato dai tifosi e capace di riamarli con la stessa intensità. Mediano classico, combattente, strappa-palloni implacabile, corridore inesauribile, pronto a portarsi in tutte le zone del campo dove si richiedesse un raddoppio, una diagonale. Costretto a trasferirsi a Como nel 2003, per incomprensioni con l'allenatore Ventura, tornò in rossoblu dopo una sola stagione, prima di essere ceduto ancora e definitivamente nel 2006. Il suo attaccamento alla maglia del Cagliari fu persino viscerale e Abe mai avrebbe voluto lasciarla. L'anno scorso è tornato in Sardegna da turista e ha rilasciato un'intervista al quotidiano l'Unione Sarda. Le sue parole, cristalline come al solito, non hanno bisogno di alcun commento: “Il Cagliari è qualcosa che ti resta dentro a prescindere. Come i figli, i genitori, i fratelli. Come un tatuaggio che porti con te ovunque. Ieri, oggi, domani, sempre. Sono andato via da dodici anni ormai, ma continuo a sentirmi un cagliaritano, un sardo. Quando lo dico ai miei amici o ai miei parenti mi prendono per matto e forse un po' lo sono. Solo io, però, so quello che ho vissuto con quella maglietta addosso, la sento ancora appiccicata sulla pelle. Le gioie, i dolori. Le tante emozioni vissute sul campo o tra la gente, gente speciale, che sa cosa significhi il sacrificio, il rispetto, la passione. Perché il Cagliari non è solo una partita di calcio, il Cagliari è tutto.

Storie d'amore, quelle tra gli Uruguayos e Cagliari, ma anche di amore-odio. Daniel Fonseca, enfant prodige dalla personalità decisa e spigolosa, fu coinvolto in un rapporto breve e burrascoso con l'ambiente rossoblu. Era la punta veloce accanto al principe e i suoi gol, frutto di un mix esaltante di forza, caparbietà e tecnica avevano suscitato l'entusiasmo dei tifosi. La sua bravura era pari alla sua ambizione e Daniel, forse ancora un po' acerbo, mentre dichiarava che non avrebbe lasciato Cagliari, in realtà non intendeva affatto dire di no al Napoli. Quando i giochi furono fatti, non spese un momento di riflessione, non cercò di lenire la gelosia degli amanti rossoblu. Andò via e basta, lasciando un'impressione di “tradimento” che, a torto o a ragione, non gli fu perdonata. Quando tornò al Sant'Elia da avversario, fu osteggiato dai supporter cagliaritani e lui rispose con un gesto poco carino, per usare un eufemismo, al loro indirizzo. Di recente, però, Fonseca ha dichiarato di tifare sempre per il Cagliari, che - ha detto - è rimasta la sua “squadra del cuore”. Cantava Venditti: “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”. Chissà.

Altri uruguaiani hanno vestito la maglia del Cagliari. Certo, alcuni di loro (proprio come il capostipite Victorino) hanno attraversato il cielo sardo come meteore appena percettibili. Così, ad esempio, l'insicuro portiere Fabian Carini e l'evanescente centrocampista Marcelo Tejera. Ma, nella maggior parte dei casi, hanno lasciato di sé un ricordo positivo. Fu così per il talentuoso centrocampista latino di origine irlandese Fabian O'Neill, che giocò nell'isola fra il 1995 e il 2000, e fu così per il funambolico attaccante Dario Silva, rossoblu dal 1995 al 1998, che dovette chiudere drammaticamente la sua carriera calcistica nel 2006, a 33 anni, mentre era un giocatore del Portsmouth, in seguito ad un incidente stradale che gli costò l'amputazione di una gamba. Poi, come dimenticare Diego Lopez, difensore quasi insuperabile e anche capitano ascoltato e rispettato, una delle bandiere del Cagliari, con cui ha disputato ben dodici campionati (1998-2010). E altri nomi ancora si potrebbero fare.

Oggi tocca ai nuovi arrivati mantenere viva la tradizione: Christian Oliva, giunto con tante belle speranze nello scorso febbraio e Naithan Nandez. Per il primo però non si prospetta un periodo particolarmente prospero. Maran, per dirla con chiarezza, non ha mai avuto vera considerazione per l'uruguaiano di Ciudad del Plata. Eppure garantivano per lui Lopez e Abeijon, che non hanno mai dato l'impressione di essere persone abituate a parlare a vanvera; anzi, proprio sulla limpidezza comunicativa avevano costruito il loro carisma nello spogliatoio e la stima di cui godevano fra i tifosi. Insomma, c'era da fidarsi e, fuori uso per un bel po' di tempo l'infortunato Birsa, Oliva sarebbe potuto essere l'asso nella manica di Maran.

Oliva dice di sé di essere un centrocampista centrale capace di fare le due fasi, difensiva e offensiva, ma in quel ruolo Maran ha sempre preferito schierare il poco convincente Bradaric, almeno fino a quando si è infortunato. Poi, nel rispetto delle gerarchie, è toccato a Cigarini, anche se quest'ultimo non godeva (e continua a non godere) della piena fiducia dell'allenatore. Col rientro di Barella, dopo l'infortunio, sono del tutto svanite le speranze di vedere Oliva in campo, almeno come subentrante. Cosicché durante l'ultimo campionato non è stato possibile capire se il Cagliari, al di là del dato numerico, potesse davvero contare su un uomo in più.

E adesso che, giocando un buon precampionato, ha potuto finalmente dimostrare di sapere stare in campo, Oliva potrebbe anche essere ceduto. Certo è poco fortunato, perché se anche restasse, dovrebbe contendere un posto a gente come Nainggolan, Rog e il suo connazionale Nandez.

Nandez, l'ultimo arrivato dall'Uruguay, un calciatore di cui si dice un gran bene, tanto che il Cagliari non ha esitato, pur di aggiudicarselo, a spendere la cifra più alta della sua storia. A lui, dunque, l'onore e l'onere di continuare a tessere quel filo rosso che ha regalato tante belle soddisfazioni ai tifosi cagliaritani.