MODELLO STRANIERO. Non vorrei dilungarmi molto sull’analisi dei modelli stranieri per quanto riguarda i giovani. In particolare del tanto acclamato modello spagnolo o tedesco. Per carità, entrambe le nazioni hanno messo su un impianto gestionale, delle squadre giovanili, invidiabile, che ha dato e sta dando i frutti sperati. L’unico problema è che, per attuare questo tipo di politiche, servano due componenti imprescindibili: il denaro e il tempo. Due caratteristiche che, ahimè, dobbiamo ammettere scarseggino in Italia (non solo quella calcistica, n.d.r.). Di squadre che possano permettersi importanti investimenti nel settore giovanile, ce ne sono pochissime, forse due o tre, e di tempo per aspettare che questi eventuali cambiamenti diano il loro frutto, cioè tra cinque - dieci anni (così è stato all’estero), non ce n’è. Siamo sempre stati abituati al tutto e subito calcistico. TERZO INGREDIENTE. C’è, per fortuna, una terza caratteristica, oltre al denaro e al tempo, sulla quale, però, si può lavorare. La mentalità. Quando parlo di mentalità ne parlo coinvolgendo tutti gli addetti ai lavori. Giornalisti, allenatori, giovani calciatori, genitori, procuratori. Purtroppo l’Italia è diventato un paese che tende a ostacolare la crescita dei giovani e il calcio non fa differenza. Quello che osserviamo, a mio avviso, non è tanto l’assenza di piedi buoni o di giocatori promettenti nel panorama italiano, ma la grande difficoltà che questi calciatori hanno, dopo essersi magari mostrati in prestito, nell’approcciare a panorami più importanti. Calciatori che in serie B, serie C, o nella stessa serie A lottando per la salvezza, fanno sfracelli. Per poi perdersi nel momento in cui ottengono il tanto agognato salto di qualità in società più blasonate. Cosa c’è dietro quest’apparente incapacità di reggere determinate pressioni e determinati ritmi? Un problema di mentalità, di mancata crescita psicologica del calciatore, che ha radici nel passato e non viene gestita nel presente. I nostri ragazzi vengono cresciuti attraverso la crescita personale, fisica e sportiva a 360°? Oppure sono spinti, dagli allenatori delle giovanili, dai genitori e dai giornalisti, alla prestazione, all’obiettivo finale, all’ottenere il più possibile nel minor tempo possibile? Quest’ultima serie di atteggiamenti può avere, come principale conseguenza, l’arrendersi alle prime difficoltà, il non essere preparati al sacrificio. E il sacrificio è uno degli elementi indispensabili per fare il salto di qualità. DA DOVE INIZIARE? Verrebbe facile dare la colpa agli allenatori. Questo meccanismo, per essere interrotto, ha bisogno di tanti piccoli interventi capillari in ogni fase di crescita dei giovani calciatori. I tecnici delle giovanili sono psicologicamente preparati? Si punta molto sulla crescita personale del ragazzo, oppure solo sulla crescita fisica e tecnica? Purtroppo in Italia molti professionisti dello sport, come psicologi, coaching motivazionali, sono guardati con una certa riluttanza (cosa che non avviene all’estero). Quello che sembra è che i giovani non riescano a reggere psicologicamente, o che non siano abituati a farlo, determinate pressioni. D’altra parte sono pochissimi gli allenatori capaci di lanciare un giovane o aspettarne la crescita. Alla domanda, “perché si preferisce lo straniero strapagato e sopravvalutato?”, la risposta sembrerebbe essere proprio quella che spesso, quello straniero, è abituato comunque a giocare a certi livelli. Sembra che gli allenatori non abbiano il tempo, la pazienza di fare quel lavoro di crescita personale che qualcun altro avrebbe dovuto fare prima di loro. Sembrerebbero puntare sui giovani qualche partita e poi basta, “se non va, non va”. Anche sul calcio sembra aleggiare quella tanto fastidiosa frase che in molti si sentono dire, “cerchiamo giovani con esperienza”. Un paradosso che tanto fa arrabbiare. I giovani vanno coccolati, cresciuti, stimolati e lasciati liberi di esprimersi. Anche educati al rispetto e allo spirito sportivo. Questo processo dovrebbe avvenire, nel modo più condiviso possibile, in tutto l’arco di crescita del ragazzo. Dalle giovanili, fin al passaggio nelle squadre professionistiche. Dovrebbe esserci uniformità nel tipo di educazione e crescita che si vuole insegnare a questi ragazzi, per prepararli al meglio ad affrontare il proprio futuro calcistico. I giovani hanno il dovere d’impegnarsi, ma hanno il diritto di fare esperienza.