Partiamo col dare uno sguardo alla situazione all’estero. Come esempi virtuosi, di questo tipo di modello, mi vengono subito in mente inglesi e americani. I primi sono riusciti a creare, grazie anche agli investitori stranieri, un sistema che vede lo stadio come un luogo di divertimento a 360°, avvicinando nuovamente al calcio le famiglie, gli appassionati di ogni età e anche i tifosi occasionali che vogliono passare una domenica diversa. Negli Stati Uniti lo sport è parte integrante della cultura americana. Ogni tipo di evento sportivo, indipendentemente dallo sport praticato (basket, football, baseball etc.) diventa un vero e proprio evento sociale, che coinvolge milioni e milioni di appassionati. Pubblicità, concerti di grandi star internazionali, spettacoli. Un evento nell’evento. E in Italia? Tutto questo sarebbe possibile? Di getto mi verrebbe da dire che è una questione piuttosto complicata. La mia squadra del cuore, la Juventus, attualmente, insieme al Sassuolo con il Mapei stadium, possiede uno stadio di proprietà. Diversamente dal Sassuolo, però, è l’unica ad aver applicato un tipo di stadio su modello straniero. All’interno ci sono ristoranti, musei, sale giochi, e i tifosi, dai più accaniti ai bambini, hanno modo di intrattenersi e divertirsi nelle più svariate modalità. Tralasciamo il discorso complesso sugli stadi di proprietà, che potrebbe essere analizzato in altra sede, e sulle difficoltà ad attuarli legate alla nostra burocrazia. Mettiamo il caso che, magicamente, da domani ogni squadra di Serie A avesse a disposizione uno stadio di proprietà da gestire in piena autonomia. Il risultato sarebbe lo stesso dell’estero? Gli stadi, a quel punto, potrebbero diventare, nuovamente, un ritrovo domenicale per le famiglie, un luogo d’incontro per i giovani durante la settimana e dare la possibilità, ad alcuni mariti, di assistere tranquillamente alle partite mentre le mogli, se non interessate, si dedicano allo shopping. Oppure diventerebbero un’occasione per gli ultras delle varie squadre di avere più possibilità, nonché luoghi, per vandalizzare, distruggere e sfogare la propria rabbia? Dobbiamo stare molto attenti a queste considerazioni. Quando si progettano cambiamenti così strutturali e grandi, non basta porsi degli obiettivi immediati e perseguibili, bisogna essere sempre un passo avanti rispetto a ciò che si stabilisce all’inizio. Prevedere già come gestire eventuali situazioni di rischio o conseguenze inaspettate. Le squadre italiane sarebbero capaci di gestire imprevisti del genere? In Inghilterra ci sono riusciti ma, come sappiamo bene, la situazione nostri stadi è differente. Il rischio è ritrovarsi con delle polveriere difficili da tenere sotto controllo. Con un conseguente dispendio eccessivo di energie e risorse economiche per la sicurezza che, probabilmente, porterebbero al fallimento, di questo tipo di modello, nel giro di pochi anni. Specialmente negli stadi gestiti da realtà medio-piccole. Come si può evitare tutto questo? Come possono le società italiane dirigersi verso una strada virtuosa della fan experience? Il primo passo sarebbe adottare un punto di vista che sia il più possibile adattabile a diversi livelli. Le società non dovrebbero guardare agli stadi né come potenziali miniere d’oro né al semplice edificio che ospita partite agonistiche. Dovrebbero guardare allo stadio come un luogo d’incontro sociale all’interno di un determinato contesto, di una determinata città, con le proprie caratteristiche. Promuovere lo stadio come un vero e proprio polo sociale di sviluppo, in grado di fornire, a tutta la città, occasioni di svago, d’impiego e di crescita. Sganciarsi dalla logica che vede il calcio uno sport solo per tifosi accaniti e fedeli. Provare ad attirare, tramite un nuovo modo di concepire il divertimento, i tifosi occasionali, attirati da eventi paralleli al calcio, e le famiglie, ormai sempre più lontane dai nostri stadi. In finale pensare allo stadio come un edificio in grado di attirare qualsiasi tipo di persona, tifosi e non, come una grande piazza, un grande locale d’intrattenimento a 360°. Per attuare un modello del genere, il nostro movimento calcistico dovrebbe sfruttare al meglio le risorse, le capacità imprenditoriali e la creatività sia degli investitori stranieri che si stanno affacciando sul nostro mercato, sia dei nostri imprenditori. Ultimamente gli Internazionali di tennis di Roma hanno ricevuto il premio “fan experience” del circuito Atp per il relativo evento parallelo, il Ballroom festival, un grande festival di musica elettronica che si è svolto durante le notti della kermesse tennistica, attirando migliaia di persone anche poco interessate allo sport in questione. Perché non pensare a iniziative simili anche durante il campionato? Durante le partite principali? Ricordiamoci che, anche se magari all’estero la politica e l’economia sono più organizzate della nostra, restiamo un popolo di straordinaria creatività, capace di adottare modelli stranieri e migliorarli. Ricordiamoci che creare è la strada migliore per cambiare.