Questo Atalanta-Milan per la squadra di Pioli e i rispettivi tifosi è stato uno spettacolo pietoso, imbarazzante e, soprattutto, preoccupante. Un dominio totale e incontrastato degli uomini di Gasperini, uomo simbolo dei successi bergamaschi osannato da cori e applausi di tutto lo stadio.   
E' difficile tracciare un piano tattico della partita in sè perchè, di fatto, non c'è stato: i nerazzurri hanno vinto qualsiasi tipo di duello: di intensità su prime e seconde palle, tecnico nell'uno contro uno e di lettura sulle marcature. 

In molti potrebbero pensare che questa sconfitta per il Milan, sicuramente deludente, appaia come un incidente di percorso dopo 4 risultati utili consecutivi, al contrario io ora tenterò di spiegare perchè la situazione sia ben più grave e meriti un'attenta riflessione.                                                                                                               I rossoneri si trovano attualmente al decimo posto dietro a Torino, Napoli, Parma, Cagliari, Atalanta, Roma, Lazio, Inter e Juventus; posizione, secondo me, pienamente meritata per tre grandi motivi: la  mancanza di un progetto chiaro da seguire a livello societario-dirigenziale, un gruppo totalmente assente privo di  leader e, infine, la grave carenza tecnica dell'intera rosa.                                                                                             

Andiamo con ordine e analizziamo passo passo i punti appena menzionati.
Ampliando il  discorso a confini che  prescindono dall'universo calcistico e vanno a toccare più quello sociale e interazionale ci accorgiamo delle prime defezioni. Paolo Scaroni e Ivan Gazidis sono rispettivamente presidente e amministratore delegato del Milan ma, di fatto, solo figure di raccorto tra la squadra e il fondo Eliott, proprietario del club. Mediazione che, finora, si sta rivelando fallimentare in quasi tutta la sua linea.      
L'imprenditore vicentino si è interessato quasi esclusivamente all'ambito economico-aziendale della società dimenticando spesso gli spettacoli, tutt'altro che esaltanti , del campo. Senza scomodare il paragone con l'approccio estremamente diretto e, a dirla tutta, negli ultimi anni leggermente invasivo, di Berlusconi c'è da dire come un pizzico di cognizione in più di causa da parte di Scaroni ci vorrebbe eccome. Per lo più poi la pluricitata questione stadio, fulcro di ogni uscita mediatica del presidente rossonero e chiave per l'incremento dei guadagni del club, resta ancora un complicato nodo da sciogliere viste le difficoltà di trovare un compromesso con Comune e Inter.                                                                                                                                   Spostandoci invece sull'esperto manager ex Arsenal possiamo evidenziare come egli abbia, da subito, imposto una politica basata sullo smaltimento di ingaggi onerosi che gravano sul bilancio, puntando sull'acquisto di giocatori giovani da valorizzare e far rendere al meglio ma con uno, massimo due, anni a buon livello alle spalle. Posizione che si scontrò, alla fine della scorsa stagione, con quella dell'allora allenatore rossonero Rino Gattuso. Quest'ultimo fece notare come l'età media della rosa fosse già tra le più basse del campionato e mancassero degli innesti di esperienza. Disparità di vedute che si concluse con l'esonero dell'allenatore calabrese nonostante un cammino di tutto rispetto concluso a un solo punto dalla quarto posto, valevole per un posto in Champions. Seguendo il dogma dell'ex Gunners però, da gennaio dello scorso anno, sono arrivate quasi solo delusioni: ad eccezione di Hernandez, proveniente non a caso dal Real Madrid, calciatori come Paquetà, Piatek, Leao e Bennacer, risultano ancora terribilmente acerbi a vestire maglie gloriose come quella del Milan e a calcare palcoscenici di caratura mondiale come San Siro. Appaiono spesso impacciati e spaesati , immersi in una realtà più grande di loro che li fa sprofondare sempre di più ad ogni errore.  
Le colpe di questo drammatico momento milanista sono da addossare, in parte, anche all'area tecnica: a cominciare dalla scelta dell'allenatore. Maldini e Boban, consapevoli di non poter puntare a grandi nomi visto l'obbligo di contenere al massimo i costi, dopo mesi e mesi di studio e valutazioni hanno individuato in Marco Giampaolo il tecnico adatto a esprimere un'idea di calcio fondata sul bel gioco e il dominio dell'avversario, valori di Sacchiana memoria.    
Decisione che si è rivelata sbagliatissima sotto tutti i punti di vista: tattico, motivazionale e dei risultati con giocatori svogliati e fuori ruolo e una squadra relegata tra i bassi fondi della classifica. 
La scelta degli acquisti
su cui puntare non è stata poi, di certo, più fortunata; fatte tutte le attenuati di ambientamento del caso possiamo dire con certezza che i cinquantasette milioni spesi per i giocatori sopracitati potessero essere impiegati in maniera, di gran lunga, migliore. Un esempio lampante lo troviamo nell'Atalanta, basti pensare che i cinque marcatori del match odierno, apparsi come dominatori incotrastati sugli uomini di Pioli sono costati meno della metà di quelli rossoneri.

Volendo oltrepassare gli orizzonti segnati da dati e statistiche e ponendo maggiormente lo sguardo al campo ci rendiamo conto di come questo Milan sia lontanissimo dall'essere 'squadra'. Quest'ultimo è un concetto tanto astratto quanto importante nel calcio come nello sport in generale. Esso non nasce da una formula fissa, non ha parametri esatti e inconfutabili ma scaturisce dalla componente umana consistente che gli individui mettono in gioco nella collettività in cui sono inseriti. Valori morali che creano un senso di aggregazione e sostegno che va oltre il risultato e la prestazione. Tutte caratteristiche carenti in maniera netta nella rosa rossonera, ne è un esempio lampante la partita di oggi: una squadra in costante balia degli undici di Gasperini dal primo al novantesimo minuto che nemmeno dopo il quinto gol subito ha avuto un sussulto di orgoglio nel tentare di rialzarsi.

Per completare il quadro horror della stagione milanista poniamo sotto la lente di ingrandimento ciò che anche al tifoso 'occasionale' e più disattento risulta evidente: ponendoli a confronto con i calciatori dei club che li precedono, escluso il Torino di Mazzarri che fa della fisicità il suo punto di forza, i giocatori rossoneri presentano una preoccupante insufficienza tecnica. Lunghissima è ormai la lista degli errori banali e rari a questi livelli, commessi da Kessiè, Calabria, Musacchio e Conti che già di per sè non fanno della tecnica la loro maggiore qualità. Questi primi cinque mesi di Serie A hanno poi rilevato come i vari Suso, Paquetà, Calhanoglu, Biglia, Bennacer e Leao, elementi teoricamente di spicco dal punto vista tecnico, presentino in realtà grossi limiti. E' chiaro come sia complicato ambire a obiettivi prestigiosi come la qualificazione in Europa se si palesano frequenti delle sciocche ingenuità che il più delle volte possono costare punti preziosi.

In conclusione appare come il Milan sorregga, per l'ennesima stagione, il proprio destino su basi tutt'altro che solide e affidabili immerso in un contesto dove il caos e la disorganizzazione regnano sovrani; emblematica la frase di Massara di qualche giorno fa "Siamo già forti così". Una condizione ai confini della realtà che ci rimanda, per esempio alla leggenda folkloristica, ripresa poi dai romanzi Salgariani, della nave fantasma.
La compagine rossonera risulterebbe come un vascello fantasma, che solca i mari in eterno senza un scopo preciso e a cui un destino avverso impedirebbe di tornare a terra. Visione catastrofista forse questa, ma c'è da dire come in 120 anni di storia, celebrati con grandi proclami solo una settimana fa, la 'terra' non è quasi mai stata così lontana.