«Albertosi è il miglior portiere del mondo...» aggiungendo beffardo «... me lo tengo stretto anche se ha tutto quello che non posso sopportare in un calciatore professionista: beve, fuma, fa tardi la sera, è pieno di donne e scommette ai cavalli!».
Queste le parole del "Paron" Nereo Rocco, il mitico allenatore del Milan.
Considerato uno dei migliori portieri italiani di sempre, Enrico Albertosi, da tutti chiamato Ricky, è nato a Pontremoli (Massa Carrara) il 2.11.39, giorno dedicato ai defunti ma nessuno è mai stato così amante della vita come lui, e verrà annoverato tra i più forti portieri europei del XX secolo posizionandosi alla 32a posizione della graduatoria mondiale.

Ricky Albertosi compirà 83 anni il prossimo 2 novembre: «Sono nato nel giorno dei morti, ma mi sento vivo più che mai». 
Nel 2004 superò brillantemente, grazie al suo fisico temprato come fosse di acciaio inox, un infarto cardiaco. Come un giovane guascone, arrivò all'età di 19 anni dallo Spezia alla Fiorentina, dove militava tra i pali il portiere della Nazionale Giuliano Sarti: «In Viola, all'inizio, partii in panchina. Sarti è stato un maestro che ho superato. Dai e dai il titolare diventai io. Credo che in cuor suo Sarti abbia sempre pensato che sarebbe finita così...».
In una intervista rilasciata in occasione del suo 80mo compleanno, Ricky parlò gonfiandosi il petto senza timori reverenziali. Per molti verrà in quegli anni considerato come il portiere italiano più forte di tutti i tempi. Vederlo al lavoro tra i pali era un puro spettacolo, con i suoi voli plastici ad arpionare la sfera di cuoio, piuttosto che le sue uscite a testa bassa fino a toccare la punta dello scarpino velenosamente armato dall'attaccante fiondato a rete. Negli allenamenti amava molto parare a mani nude, senza l'uso dei guanti. E quelle dita senza coperture sotto sotto ipotizzavano la metafora di un uomo libero, spavaldo, pane al pane e vino al vino, mai prigioniero di false ipocrisie, e questo persino nel 1980 quando si trovò praticamente ingabbiato nel ciclone scandalo del calcio-scommesse... 
«Maledetto quel Lazio-Milan - racconta Albertosi alla stampa - mi misero in mezzo per una telefonata ricevuta da quelli della Lazio di cui mi feci portavoce, ingenuamente, col mio presidente. L'ipotetico accordo prevedeva - in cambio di 80 milioni, poi scesi a 20 - la vittoria del Milan all'Olimpico. Tutti sapevano. Ma io ero il perfetto capro espiatorio. Il mondo mi crollò addosso. E saltò pure il contratto con i Cosmos dove avrei dovuto chiudere la carriera insieme ad altri campioni ingaggiati per esportare il soccer negli Usa»....e prosegue duramente il nostro Ricky... quasi a voler vuotare tutto il sacco della sua vita... «Se in partita commettevo un errore, non lo ammettevo subito, preferivo dare la colpa al difensore... o al «pallone troppo leggero», come accadde in quel maledetto Milan-Porto del '79 che eliminò dalla Coppa dei Campioni il Milan del presidente Felice Colombo ed allenato da Massimo Giacomini e messo in ginocchio da una punizione calciata da 40 mt. (ora, dopo tanti anni, può ammetterlo perfino Ricky: «Tutt'altro che imparabile!»)...ma si trattava del piede velenosissimo di un certo José Francisco Duda, alla destra brasiliana al Porto per 5 stagioni dove realizzò 40 reti.

Attualmente Albertosi vive a Forte dei Marmi circondato da figli, nipoti e da Betty, la sua seconda moglie con la quale gestì per anni il ristorante Tatum a Milano vincitore di alcuni premi culinari ma... «Ma i migliori bucatini alla amatriciana della mia vita li ho mangiati in carcere, cucinati da un compagno di cella» (durante la brutta avventura del Calcio-scommesse nell'80 a Regina Coeli). 
Ricky il calcio continuò a seguirlo, ironicamente come quando frequentava il bar «Gattullo» a Milano in compagnia di Bruno Pizzul, Beppe Viola ed Enzo Jannacci tra canzoni, stecche di Marlboro e bottiglie di buon vino: "Oggi i portieri hanno numeri assurdi dietro le maglie, guadagnano milioni ma commettono gravi errori di impostazione, enormi!" (a Donnarumma certamente fischieranno le orecchie!).

Nei migliori anni della sua carriera Ricky non dettò legge solo tra i pali, ma anche nel settore della moda: la sua maglia blu o rossa ai tempi del mitico Cagliari scudettato del '70 fece epoca, come anche la gialla nelle fila del Milan nell'anno della Stella. La sua  geniale idea riuscì a frantumare il cupo e secolare grigiore dei portieri solennemente sempre in nero.

Il suo trasferimento al Cagliari avvenne nell'anno antecedente alla conquista del secondo scudetto della Fiorentina (1968-1969) guidata da Bruno Pesaola. Tuttavia il nostro Ricky divenne campione d'Italia con la squadra sarda di Gigi Riva nel 1970, stabilendo l'invidiabile record del minor numero di reti subìte in un campionato a 16 squadre (solo11 gol). Rimarrà al Cagliari per cinque stagioni, prima di essere ceduto al Milan. La Sardegna, isola zeppa di tanti ricordi per il baffuto portierone toscano tra i quali ama ricordarne uno in particolare: « Ero a Cagliari, guidato da quel filosofo che era Manlio Scopigno. Eravamo in ritiro. Ogni notte giocavamo a poker. Nella stanza la visibilità era azzerata dalle sigarette. Il mister bussò alla porta, si affacciò sull'uscio e, tra la nebbia impenetrabile delle Marlboro, chiese educatamente: Scusate, disturbo se fumo? Grandioso!».

Il 1970, fu un anno memorabile per Ricky perché fece parte della leggendaria «partita del secolo» in Messico: «Posso dire di fare parte di quel 4 a 3 contro la Germania entrato ormai nella leggenda dell'Italia». Per lui si trattava del suo terzo Mondiale. Il grande Pelè al termine della finale persa col Brasile gli disse scherzando: «Ricky! E' inutile che ti impegni, ti farei gol anche in amichevole...».

Ci sarebbe anche stata l'occasione per disputare il quarto mondiale del '74 in Germania, ed infine anche un quinto nel '78... «Bearzot mi aveva assicurato che avrei fatto parte della spedizione in Argentina, ma alla vigilia della partenza il mister mi chiamò dicendomi che Zoff con me in panchina non si sentiva tranquillo. E quindi era meglio se fossi rimasto a casa». Un tradimento che provocò un certo attrito tra i due portieroni Azzurri. Dino e Ricky resteranno convinti di essere l'uno più forte dell'altro se pur con stili e caratteri completamente diversi. Nella realtà sarà un match alla pari, ma loro pur sapendolo non riusciranno ad ammetterlo mai. Da una parte Dino, friulano, freddo, quasi glaciale ma regolare. Dall'altra Ricky, toscano, caldo, quasi scottante, magnifico e spettacolare nelle uscite spesso al limite dell'irregolare tanto da accettare, per il morboso attaccamento al campo di calcio di terminare la sua carriera nell' Elpidiense, compagine di serie C.  Pervaso dalla gioia di essere stimato anche sui campi lontani dall'erba curata, profumata ed ora offuscata dalla polvere fastidiosa sollevata dal vento. Ma per un uomo, un portiere come Ricky anche quei campi spelacchiati sprigionavano... pura poesia!... Poesia permeata di calcio, come quando afferrava con le sue manone il pallone... e per centinaia di volte... fino... all'ultima partita.
E nel tempo libero, chissà quante volte Ricky avrà riletto le parole che Niccolò Carosio, teleradiocronista, gli dedicò dopo l’esordio in A sul campo neutro di Livorno, in un Roma-Fiorentina terminata senza reti. Era il 18 gennaio ’59.

“L’ottimo Albertosi – scrisse Carosio sul Calcio Illustrato – ci ha fatto provare emozioni, vertigini e stupore. Il portiere appare come uno qualunque al termine di una comune giornata lavorativa. Non emozionato e per nulla commosso, guarda stupito tutta quella gente che si occupa di lui, che lo festeggia, facendogli auguri a non finire per una brillantissima e proficua carriera”.
E fulgida e vibrante carriera fu!
Un grazie di cuore, caro Ricky, da tutti i tuoi affezionati tifosi di qualunque fede calcistica possano essi essere. La classe, si sa, non è acqua!... E tu ne hai avuta e come!!... Tanta, tantissima!!... Una cascata infinita!!

Massimo 48