"De ennyi időbe telt? Szégyen!!" (Ma tutto questo tempo ci è voluto? Vergogna!!)
Come ingabbiato in una tetra caverna con un'ascia descrivente un arco oscillatorio al fianco di una fune imbracante un prigioniero dell'Inquisizione spagnola, responsabile di alcuni crimini non specificati e rinchiuso in una cella completamente buia e scivolosa.
Il pover'uomo i cui canapi venivano via via sempre più assottigliati dall'inarrestabile moto di un pendolo omicida, fino ad essere reciso totalmente  causandone il suo totale distacco con la conseguente caduta del corpo,
ormai maciullato dai morsi degli insaziabili ratti, nelle gelide acque di un pozzo infernale; questo è quanto divinamente descritto in uno dei racconti più paurosi ed adrenilizzanti vergati dal grande saggista di Boston ed autentico autore dei primi trilling della storia, lo statunitense Edgar Allan Poe ne: "Il pozzo e il pendolo". 

Massimo 48 ha trascorso un quarto d'ora interminabile e per molti versi simile all'incresciosa agonia descritta da E.A.Poe. 
In una soleggiata, tiepida mattinata di fine Maggio in quella che doveva essere un'allegra scampagnata con i nipotini sulle rive del bel Danubio blu, esattamente a Dunakeszi, ridente paesino ad una ventina di km a Nord Est di Budapest, un accadimento tanto casuale quanto malefico è venuto a turbare la bella settimana trascorsa in terra magiara assieme alla famiglia, al figlio maggiore e alla coppia di nipoti gemelli che solo due giorni prima avevano ricevuto la prima Comunione.

"Nonno Massi, andiamo a dar qualcosa da mangiare a quelle papere sulla riva del Danubio?"
"Certo Matteo, ma non vedo il venditore di mangime, sarà perché è un martedì, e allora cosa diamo loro da smangiuccare?"
"Non preoccuparti, la mamma ha preparato diversi panini e ci sono tante fette di pane in più! Dai, mentre io gliene sbriciolo qualcuna, tu mi riprendi... vero?" 
"Ok Matteo! andiamo pure!".


Trascorriamo un quarto d'ora spassoso con questi simpatici anatroccoli dal piumaggio splendido, poi ci attraggono un paio di pescatori, uno dei quali è alle prese con il mulinello della sua canna da pesca che ha appena arpionato una stupenda carpa di un buon mezzo metro di lunghezza.  Subito dopo a pochi metri sulla nostra sinistra ci incuriosiamo nell'osservare la singolare postura a gambe incrociate stile yoga di una giovane donna che con gli occhi chiusi, lo sguardo fisso verso il sole, ambo le mani rivolte in alto con indice e pollice congiunti mostra di essere in una sorta di karma contemplativo, mentre un barboncino bianco, probabilmente di sua proprietà, scorrazza intorno alla sua persona.
Ma la ragazza ed il cane visti dalla nostra prospettiva non sembravano essere sulla terraferma, ovvero la riva ghiaiosa del fiume, bensì avvicinandoci, constatiamo la presenza di una piattaforma metallica galleggiante adatta all'attracco delle piccole imbarcazioni e formante una grande T sviluppante grosso modo mt. 3x6, dove il congiungimento tra l'elemento verticale e quello orizzontale lascia uno spazio tragicamente vuoto di circa 10/12 cm. e che chiunque si trovasse a superarlo camminando in avanti avrebbe giocoforza dovuto regolare il proprio passo per non finire con un piede dentro al bel Danubio blu...
Ma proprio in quell'istante, transita un bateau mouche carico di turisti e la sua notevole stazza immersa nella maestosità del fiume, il cui corso d'acqua completamente navigabile con i suoi 2850 km di lunghezza ed i 9 stati attraversati ne rappresenta il più grande dell'intera Unione europea, determina giocoforza un movimento ondoso lungo centinaia di metri e di conseguenza l'innalzamento dell'acqua gorgogliante sotto quella maledetta piattaforma, che proprio nell'attimo in cui mi giro lateralmente per osservare la poppa e la scia d'acqua lasciata dal battello, avverto un terribile strattone, come se un pescecane mi avesse di colpo azzannato la gamba sinistra, la cui coscia dopo aver ricevuto un abrasivo e stridente contropelo dalle lamiere rimane imprigionata nella fessura tra i due segmenti metallici, di fatto privi di una pur minima copertura elastica di protezione, ed allora un urlo agghiacciante lacera la serafica quiete nel parco di pioppeti del lungo Danubio di Dunakeszi...

"Oddio!!!... Aiuto!!!... Aiutooo!!! ... Presto fate presto!!!... Non sento più la mia gamba... è incastrata e non la posso sollevare!!...
Oddio!!!... Presto, correte... aiutatemi!!!"

Ho sicuramente vissuto i quindici minuti più tristi della mia vita!
Mai, nemmeno in una straziante colica renale di alcuni anni prima avevo così sofferto!
Ecco perché mi è riecheggiato nella mente l'orrore descritto nel racconto de "Il pozzo e il pendolo" tanto è stato il terrore e la vera "strizza" di morire guardando ed assistendo pressoché impotente a quello che sarebbe potuto divenire l'orrendo epilogo dovuto ad una banale svista.
Alle mie implorazioni, vista l'impossibilità di estrarre la mia gamba tesa prigioniera dall'implacabile morsa, figlio, moglie e nuora si affannano istantaneamente a chiamare i soccorsi, chi ambulanza, chi pompieri, chi polizia fluviale, mentre i miei nipotini esterefatti con le lacrime agli occhi gridavano: "Nonno! nonno!! resisti, resisti!!... dai che ce la fai!!!"
Passano una decina d'interminabili minuti e la mia gamba stretta tra le due lamiere, esattamente un paio di centimetri sotto il ginocchio, comincio a non sentirla più. Il paio di jeans lunghi nella disgrazia ha attutito lo sfregamento nel momento dell'impatto, ma ora il tessuto con i movimenti dell'acqua cominciava a logorarsi e l'ampia escoriazione iniziava a vedersi e sanguinare.
Poi il mio sguardo, ormai piegato dal dolore prossimo ad abbandonare qualsivoglia visione terrena, incrocia quello rasserenante e fiducioso di mia moglie che ordina a mio figlio, da anni in Ungheria e padrone della lingua, di andare a chiamare alcuni operai che poco prima transitando nel parco stavano allestendo un palco per un prossimo concerto.
Idea più geniale di questa la mia Angela non avrebbe mai di certo non potuto avere!
Passò un'altra manciata di minuti in cui le intense fitte di dolore non si limitavano alla sola gamba, ma tutto il mio corpo iniziò a tremare avvertendo un improvviso freddo tremore nonostante la tiepida temperatura primaverile.
Ho visto nella mente, in quei strazianti minuti, come tante diapositive in dissolvenza tra di loro, di cose brutte, infernali, inenarrabili... mi sentivo prossimo a spirare... e non mi lagnai più quasi assopendomi in un sonno vuoto e senza fine... quando: "Szabad vagy fiú!" (Sei libero ragazzo!)

Un operaio montatore con una tuta grigia avvolgeva il mio busto con un braccio mentre con l'altro afferrava la coscia sinistra e mentre un suo collega piuttosto robusto faceva leva con il suo peso sul tratto verticale della piattaforma, quest'ultima si apriva nell'interstizio vuoto di un paio di centimetri quel tanto sufficiente a tirar fuori la mia povera gamba!
Abbracciai il mio salvatore con le lacrime agli occhi mentre tutti gli astanti applaudivano.
Seduto su di una panchina e confortato da tutto il parentado abbiamo atteso i soccorsi e dopo circa tre quarti d'ora un'ambulanza a sirene spiegate è arrivata prestando professionalmente tutti i medicamenti e gli accertamenti del caso...
"Ma tutto questo tempo ci è voluto! Vergogna!".
Questa le parole usate da un signore che aveva pazientemente assistito a quell'agonia fortunatamente dal lieto fine, grazie ad un semplice operaio di nome Gabor, per me vero eroe e salvatore magiaro!

Anche la storia narrata da E. A. Poe finisce con la salvezza del protagonista per parte dei conquistatori francesi. Sarà il generale Lasalle, a riuscire a prendere quel prigioniero un attimo prima che cadesse nelle acque del pozzo.

Quelle acque di quel pozzo sono equivalse all'acqua del bel Danubio blu... ma per un solo giorno per me è stato più che blu... nero, anzi nerissimo!!
Ma la sorte volle l'arrivo del Salvatore LaSalle per lo spagnolo, e quello di Gabor per l'italiano! 
Alle volte quando il proprio destino appare segnato, arriva un qualche cosa di inspiegabile, di mistico... a salvarci!
Ed è come se avessimo fatto un brutto sogno! Ed al mattino una piccolo quadretto appeso sopra il comodino sembra che ci strizzi l'occhio... è tutto dipinto di azzurro, è il nostro, e troppo spesso dimenticato...
il nostro Angelo Custode!

Massimo 48