La giornata dell'11 novembre ricorda per noi tutti il popolare detto legato all'estate di San Martino, con il celebre episodio risalente al rigido autunno del 335 quando il futuro Santo, allora arruolato nell'esercito romano operante in Gallia, venne una notte chiamato di guardia, "circitor", con il compito di essere di ronda all'accampamento nonché alla sorveglianza notturna delle guarnigioni.
Durante una di queste ronde avvenne l'episodio che gli cambiò la vita e che ancora oggi è quello più ricordato e più usato dall'iconografia che lo vede  ritratto al taglio del suo mantello in due metà alla visione di un mendicante infreddolito e seminudo. 
Ma, oltre a questo lodevole episodio, nella regione del Veneto si suole ricordare questo Santo dedicandogli nel giorno della sua morte, avvenuta l'11 novembre a Tours in Francia, una particolare festa, una sorta di capodanno contadino con tanto di copiose abbuffate. E l’animale tipico che domina questa ricorrenza è l’oca.
Difatti alcuni secoli fa l’allevamento delle oche era molto diffuso in tutta la regione, essendo l'oca ricca di grasso e quindi di estrema importanza per il suo alto contenuto calorico, specie con l'arrivo del primo freddo. Da qui ne nacque un proverbio in dialetto veneto “Chi no magna oca a San Martin, no’l fa el becco de un quatrin”.
Inoltre una leggenda pare che narrasse di un Martino, allora solo prete, che non volesse diventare Vescovo e per sfuggire alle ricerche si nascose in una stalla piena di oche, ma il crescente starnazzamento degli animali rivelò il suo nascondiglio, è così fu costretto a tornare in parrocchia proseguendo il cammino che lo porterà alla sua santificazione. 

Questa appena scritta è quanto la storia ci ha trasmesso nel ricordo indelebile di una inusuale giornata novembrina che, come per magia, tutti gli anni paia dissolvere le prime grigie brume autunnali a beneficio di alcuni tiepidi e rassicuranti raggi di sole... ed è quello stesso sole di un sessantennio fa che sembra magicamente, come un vivido flashback, riapparire mostrando le prime luci del giorno rischiarare i tetti umidi ed accarezzare il verde viale dei profumati tigli prospicienti l'atrio della Basilica di San Paolo Fuori le Mura e costeggianti per circa 400 mt. la Via Ostiense, fino a confluire con le colonne dell'edificio in stile liberty ove trovava sede la Scuola Elementare Niccolò Tommaseo (attualmente facoltà Economia e Commercio dell'università Roma Tre) dove il sottoscritto ha frequentato i primi 5 anni di scuola e dove tutti gli anni in quella data ogni scolaro portava da casa un cartoccio di caldarroste che nell'ora della ricreazione vedeva riunite nel suo cortile tutte le classi a sbucciarle insieme ai rispettivi insegnanti...

Ed ancora a dispetto del tempo intercorso ed al solo suo pensiero avverto nelle nari quel delicato, soave ed inebriante effluvio delle caldarroste sbruciacchiate e cotte di buon mattino dalle mani di mamma Ofelia, in un vecchio fornellino a legna con le gambe in metallo che, mezzo arrugginito, conservo ancora tra le mille cianfrusaglie di vecchi ricordi in una ammuffita ma più che mai  "viva... vivissima" cantina!

"La memoria è come un fuoco, se spengi il fuoco si spenge la vita!"     
(Gianrico Tedeschi) 

Massimo 48