Solo Il venerdì antecedente la settimana della partita i bianconeri avevano conquistato il loro 24° scudetto con una giornata di anticipo a Bergamo, pareggiando 1-1 contro l’Atalanta. Il titolo italiano seguiva altre due vittorie prestigiose conseguite in quella medesima annata: la Supercoppa UEFA europea e la Coppa Intercontinentale.

Un ulteriore, significativo, dato confermava il carattere eccezionale della stagione: Marcello Lippi aveva appena eguagliato Fabio Capello nel record di vittorie conseguite da un allenatore in un triennio: sette. Vincendo anche la Champions League in quell’anno, Lippi avrebbe addirittura scavalcato il collega, conseguendo l’ottavo titolo del suo periodo d’oro (1995-97)[1]

Un crescendo di vittorie e trofei, dunque, aveva condotto la Juventus a quella finale di Champions League. Condannati a vincere: è la pena dei più forti. Alla Juventus questo concetto trova somma esplicitazione nella massima fatta propria dal Presidentissimo Boniperti: “Vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta”.

Tanto più che, in quella circostanza, la vittoria pareva davvero ad un passo. Mai come in quella finale di Champions League del 1997, infatti, una serie di motivazioni rendevano i pronostici praticamente unanimi. I campioni d’Europa in carica, neo campioni del mondo, nonché nuovi campioni d’Italia affrontavano una squadra che raggiungeva per la prima volta la finale: il Borussia Dortmund.

Il Ballspielverein Borussia 09 E. V. Dortmund, noto soprattutto come Borussia Dortmund[2], non aveva il “pedigree” internazionale della Juventus ed aveva vinto un solo trofeo, la Coppa delle Coppe nel lontano 1966[3]. A livello nazionale, aveva conseguito tre titoli nazionali a cavallo degli anni ’50 e ’60, ma aveva anche conosciuto la retrocessione nella serie B tedesca negli anni ‘70[4]. La rinascita ed il periodo d’oro del club si stavano realizzando proprio in quegli anni novanta, con due titoli nazionali consecutivi vinti nel 1995 e 1996, due Coppe di Germania nel 1989 e 1996, ed una Supercoppa nel 1990[5].

Già questa semplice valutazione sui “titoli” era sufficientemente eloquente per rendersi conto della differenza tra le due squadre. Ma c’erano altre due precise circostanze, oggettive, che rendevano il divario ancora più netto.

La prima si basava sugli scontri diretti. Nel corso degli anni novanta, Juventus e Borussia ebbero occasione di incontrarsi diverse volte, in competizioni differenti: su 8 confronti, la Juventus ne aveva vinti 5, conseguendo inoltre 2 pareggi ed 1 sconfitta: 18 reti realizzate e 9 subite. Una supremazia incontestabile.

Restringendo l’analisi alle gare ufficiali, il primo incrocio si era verificato nella finale di Coppa UEFA del 1992-93. I bianconeri vinsero con un netto risultato aggregato di 6-1 (3-1 a Dortmund e 3-0 a Torino), conquistando il trofeo. Sempre in Coppa Uefa avvenne il secondo confronto, questa volta durante la semifinale dell’edizione 1994-95: la Juventus si impose con un 4-3 totale (pareggio 2-2 in casa e vittoria 2-1 in trasferta). L’ultima doppia sfida si verificò invece in Champions League nella stagione 1995-96: nella fase a gironi, la Juventus all’andata inflisse ai tedeschi una sconfitta in casa loro per 3-1, mentre nel match di  ritorno a Torino furono invece i gialloneri a battere per la prima volta i torinesi 2-1. E’ importante sottolineare, però, che l’unica vittoria tedesca si concretizzò in una partita priva di stimoli per i bianconeri: la Juventus, infatti, era già matematicamente qualificata al primo posto del girone, per cui il match rappresentò una pura formalità, diversamente dai tedeschi per i quali la vittoria era invece necessaria per il passaggio del turno. E si sa che, a quei livelli, la differenza di motivazioni è determinante ai fini del conseguimento del risultato.

Inoltre, esisteva una seconda motivazione che rendeva conto della differenza nei valori delle due squadre alla vigilia di quella finale di Champion League 1997 di Monaco di Baviera.

Il Borussia Dortmund annoverava tra le sue fila diversi giocatori che avevano militato anche nella Juventus: i classici “ex”. Per una curiosa coincidenza, infatti, in quegli anni ’90 le due società avevano accompagnato agli “scontri” sul campo dei proficui “incontri” commerciali di mercato. Il trend, per la verità era stato unidirezionale: la Juventus vendeva giocatori che per vari motivi (anagrafici, tecnici, fisici o altro) non erano più ritenuti all’altezza dell’organico, Il Borussia li acquistava. Nella formazione di quella stagione 1996-97 erano ben cinque gli atleti del Borussia che provenivano dalle fila bianconere: i centrocampisti Paulo Sousa ed Andy Moeller ed i difensori Jurgen Kohler, Julio Cesar, e Stefan Reuter. Considerando che nella squadra tedesca militavano pure altri due ex giocatori che erano stati “ripudiati” dal campionato italiano (l’attaccante Karl Heinz Riedle ex Lazio e Mattias Sammer, ex Inter), l’idea del “riciclo” venne spesso associata al Borussia Dortmund: la squadra degli scarti. “Per di piu' tutti anzianotti. Come quei legionari romani, reclutati in tutte le zone dell'impero, che venivano compensati con terre fertili dopo lunghe campagne: Riedle, Sammer, Moeller, Paulo Sousa, Reuter, Kohler avrebbero dovuto godersi la meritata pensione nella Ruhr.”[6]

Di rado nella storia del calcio era accaduto che una differenza di valori fosse così nettamente accreditata a favore di uno dei contendenti. Certo, spesso una contesa era stata caratterizzata dalla presenza di un favorito a scapito di un rivale ritenuto più debole. Ma quasi mai si era manifestata una tale abbondanza di elementi oggettivi tutti concordanti nell’assegnare una posizione di supremazia esclusivamente ad uno dei due avversari.

Tutto ciò appariva ben chiaro e lampante nelle analisi dei commentatori. Su tutti Giorgio Tosatti, per il quale la previsione della vittoria della Juventus costituiva un semplice esercizio di razionalità: “Sul piano logico, la sfida tra la numero uno del mondo e la terza del campionato tedesco non dovrebbe riservare sorprese: se il calcio è razionale, la Juve fa Slam”.[7]

Lunedì 26 maggio 1997, alle ore 19.00, la Juventus si imbarcò su un volo privato con destinazione Monaco di Baviera.[8]

Ad animare le discussioni ed i pensieri dello staff bianconero in quella vigilia furono le condizioni di due giocatori: Alen Boksic e Alex del Piero si contendevano il ballottaggio per il posto di attaccante da affiancare a Christian Vieri, la rivelazione dell’ultimo scorcio di stagione e l’unico sicuro del ruolo di titolare. Entrambi erano reduci da infortuni di lunga degenza: il completo recupero fisico costituiva pertanto la pre-condizione necessaria prima di ogni valutazione di natura tecnico tattica. La partita si preannunciava molto fisica, uno scontro tra colossi: “Il Borussia vince in centimetri d'altezza complessivi (2.907 contro 2.897) ma perde in chilogrammi di peso (1.222 contro 1.231). Sostanzialmente, pero', il giocatore medio delle due squadre e' uguale: alto 1,81 per 76 kg.”[9] In un contesto del genere, fu subito chiaro che, a parità di condizione fisico-atletica, il prescelto sarebbe stato il gigante croato (1,87 mt per 81 kg), meglio adatto a far breccia nella difesa “vecchiotta, un pò logora ma potente”[10] del Borussia Dortmund.

Il giorno della partita le sensazioni della vigilia furono confermate: come un Robocop hollywoodiano, Alen Boksic avrebbe costituito l”arma letale”[11] scelta da Lippi per far saltare l’impianto difensivo dei tedeschi oppure, più prosaicamente, “l’apriscatole umano che insieme a Vieri proverà a spostare dal proprio asse i pachidermi del Borussia”.[12] La chiosa di Maurizio Crosetti si concludeva però con un ultimo ammonimento di carattere generale: “ma attenti a giudicarli solo una banda di vecchi ricordi.”[13]

Per il resto, la formazione della Juventus confermava le previsioni della vigilia: Peruzzi in porta, difesa a 4 composta da Porrini, Ferrara, Montero e Juliano, centrocampo a 4 con Di Livio, Deschamps, Zidane e Jugovic, Boksic e Vieri coppia di attacco. 

Nessuna sorpresa nemmeno sul fronte dei gialloneri tedeschi, la squadra “di mezzi rotti”[14]:  Il modulo 3-5-2 scelto da Hitzfeld prevedeva davanti al portiere Klos 3 difensori: Kohler, Sammer e Kree (quest’ultimo preferito a Feiersinger e nella perdurante assenza dell’infortunato lungo degente Julio Cesar); a centrocampo Reuter, Lambert, Paulo Sousa, Moeller e Heinrich; in attacco Chapuisat e Riedle.

Nel profluvio di informazioni e dichiarazioni che precedettero l’inizio dell’evento - che sarebbe stato seguito in televisione da 500 milioni di persone in 202 paesi del mondo incluse le Maldive[15] - probabilmente rimasero sotto traccia due notizie. La prima riguardava l’arbitro della partita: l’ungherese Sandor Puhl, internazionale, aveva diretto la finale mondiale Italia – Brasile del 1994. La sua designazione venne giudicata con favore: “diresse la seconda finale Uefa ’93 in cui la Juve batté il Borussia: un buon portafortuna”[16] .

La seconda notizia era invece una dichiarazione dell’attaccante tedesco Karl Heinz Riedle, il giorno prima della partita: “La Juve è favorita, ma datemi dei palloni alti e ci divertiremo”[17]. Entrambe le informazioni avrebbero avuto ben altra rilevanza, lette con il senno del giorno dopo, a match terminato. Nel frattempo, Juventus e Borussia Dormund fecero il loro ingresso in campo: la squadra italiana, plurititolata della stagione, si contendeva la 42^ finale della Champions League con una neofita tedesca. In televisione, anche a livello estetico, un particolare sembrò rimarcare immediatamente il divario tra le due squadre: le magliette dei giocatori bianconeri (per l’occasione con i colori da trasferta giallo blu) recavano sulla schiena il nome dei protagonisti. Le divise del Borussia, invece,  ne erano prive, alla stregua di una qualsiasi, anonima, compagine di dilettanti...

Gli sviluppi del calcio d’inizio parvero costituire il primo magnifico segnale di conferma di tutte le previsioni della vigilia, quasi un’anticipazione di come Golia avrebbe divorato il povero Davide: la palla fu battuta dal Borussia Dortmund e immediatamente indirizzata indietro verso Kree. Sul malcapitato difensore si avventarono come due bisonti imbizzarriti Vieri e Boksic, i “panzer”d’attacco juventini. Kree non fece neanche in tempo a rinviare la sfera perché subito il piedone di Boksic, con un contrasto potente, smorzò il lancio in fallo laterale. Un boato trionfale dei tifosi bianconeri accompagnò l’azione di disturbo dell’attaccante croato, una sorta di preavvertimento di quello che sarebbe accaduto alla squadra tedesca da lì a breve. La Juventus, in quei momenti iniziali, sembrava davvero una furia e pressava l’avversario nella sua metà campo. Era ben diversa dalla squadra timorosa e impacciata che aveva disilluso le speranze dei tifosi bianconeri a Belgrado ed ad Atene.

Che cosa mai avrebbe potuto cambiare una tale inerzia verso lo storico trionfo?

“Il più grande inganno che il diavolo ha fatto al mondo è stato quello di fargli credere che non esiste”[18]. 

Forse solo Roger “Verbal” Kint, protagonista del celebre film “I soliti sospetti”, avrebbe potuto capire cosa sarebbe accaduto quella notte a Monaco di Baviera, in cui tutto appariva predestinato e già stabilito.

Una prima avvisaglia dell’impossibile si manifestò già al 3’. Di Livio dalla metà campo juventina lanciò Vieri sulla fascia destra. L’attaccante juventino raggiunse a grandi falcate il pallone, lo portò avanti per poi crossarlo a centro area per l’accorrente Jugovic. Il centrocampista serbo si avventò sul pallone con uno scatto esplosivo, ma la sua corsa fu interrotta dal difensore tedesco Reuter che letteralmente franò addosso al giocatore juventino atterrandolo in piena area di rigore, tra il boato di indignazione del pubblico bianconero. “Un rigore abbastanza evidente”.[19] L’arbitro Puhl, il “portafortuna”, non solo non ritenne l’azione fallosa ma addirittura si indispettì quando Jugovic glielo fece osservare[20]. La mimica del direttore di gara ungherese fu inequivocabile: si rivolse al giocatore juventino minacciandolo di espellerlo dal campo qualora avesse simulato un altro fallo. Il sorriso di Jugovic, tra l’incredulo e il sarcastico, campeggiò sui teleschermi negli istanti successivi, quasi volesse chiedere all’arbitro: “ma se non è rigore questo, quando mai lo fischierai?!”.

Rigore o meno, la partita riprese come prima, e la Juventus continuò ad aggredire l’ avversario attraverso un pressing alto effettuato a cominciare dagli attaccanti, che costringeva i difensori gialloneri a calciare in malo modo il pallone in fallo laterale o in calcio d’angolo. Proprio dal primo corner battuto da Zidane, Juliano - trovatosi libero in area di rigore tedesca - mancò clamorosamente il pallone in tuffo di testa, fallendo una potenziale palla – gol.

Fu sugli sviluppi dell’azione successiva, invece, che l’irrealizzabile tornò, sinistramente, ad apparire fugacemente come il fantasma vestito da pagliaccio di un altro film famoso. La rimessa dal fondo del portiere del Borussia Klos venne intercettata nella metà campo juventina da Chapuisat. Sull’attaccante del Borussia andò a contrasto Ciro Ferrara, ma il difensore juventino scivolò malamente a terra sullo scatto del tedesco che si involò, solo, sulla fascia sinistra, per poi convergere verso il centro e, dopo aver raggiunto il limite dell’area di rigore juventina, effettuò un passaggio preciso al compagno di squadra Karl Heinz Riedle. Quest’ultimo all’interno dell’area piccola calciò il pallone a botta sicura, con un tiro che sarebbe finito sicuramente in rete se non fosse stato stoppato in maniera provvidenziale da Mark Juliano, il quale con una diagonale difensiva efficace intercettò il pallone facendo da scudo con il proprio corpo. Stavolta un brivido freddo e intenso percorse le schiene dei tifosi juventini assiepati sugli spalti e probabilmente anche dei giocatori in campo: una “sensazione di disagio”[21], breve perché i bianconeri ripresero a fare il loro gioco: “immediata la risposta della Juve al 6' con un'azione lampo che fa gridare al gol: Zidane in verticale, Boksic tocca di testa e Vieri spara prepotentemente in porta. Si ha l'impressione della palla in rete”[22]. Invece fu un effetto ottico, in quanto il tiro di sinistro dell’attaccante juventino andò a gonfiare l’esterno della rete all’altezza dell’incrocio dei pali alla destra del portiere Klos. Un’altra occasione mancata di un soffio: un boato di frustrazione dei tifosi italiani assiepati proprio alle spalle dell’estremo difensore tedesco accompagnò la traiettoria del pallone. Ma la squadra c’era, lottava e correva: “Boksic è straripante, anche se è impreciso nell'ultimo tocco, Zidane si muove con intelligenza, Di Livio e Deschamps sono inesauribili, solo Vieri non riesce a essere servito a dovere”[23]. Il fiducioso convincimento di tutti era che, prima o poi, la rete sarebbe arrivata: “...E forza Juve facci un gol!” urlavano ritmicamente i supporters bianconeri. “Al 25' Juve vicina alla porta del Borussia: punizione di Di Livio, testa di Zidane per l'accorrente Jugovic che viene fermato all'ultimo momento dal portiere”. Fu questo l’ultimo tentativo della Juventus  di dare una svolta a proprio favore alla partita. Dopodiché i fantasmi del calcio decisero che era giunto il momento di intervenire per rendere concreto ciò che fino a quel momento non era stato neanche immaginato. Il loro sibilo sinistro si materializzò nell’"ooooh" con cui i tifosi del Borussia Dortmund accompagnarono l’esecuzione di un calcio d’angolo al 29’ del primo tempo: “corner di Moeller da sinistra, Peruzzi allunga la traiettoria ma poco, debolmente, rilancia da destra Lambert, Porrini salta male, palla a Riedle che controlla e segna di sinistro.”[24]

Juventus - Borussia Dortmund 0-1: un boato devastante accompagnò la corsa di Karl-Heinz Riedle, a braccia allargate e pazzo di gioia e di incredulità, verso la bandierina del corner, subito sommerso dall’abbraccio dei compagni.

Per i bianconeri fu davvero un brutto colpo: non si aspettavano di andare in svantaggio dopo quello che avevano prodotto in campo fino a quel momento. “Invece della scarica elettrica che ridesta, è il colpo che tramortisce.”[25] Passano solo 5’ minuti ed un Borussia galvanizzato si trova a battere un nuovo calcio d’angolo. La telecamera inquadra per un momento Marcello Lippi: è in piedi, ai limiti dell’area tecnica, lo sguardo molto preoccupato.

“Datemi dei palloni alti e ci divertiremo”. Chissà se l’allenatore bianconero fosse al corrente di quella dichiarazione rilasciata ai giornalisti da Karl Heinz Riedle il giorno precedente.

Moeller effettuò un cross teso verso il centro area di rigore juventina affollata di giocatori: su tutti svettò proprio Riedle, che rubò il tempo al suo marcatore diretto Ferrara e con un’elevazione esplosiva colpì il pallone di testa con precisione. Peruzzi rimase come impietrito e poté solo guardare la sfera che gonfiava la rete alla sua destra: Juventus Borussia Dortmund 0-2. Una nuova, fragorosa esplosione di esultanza accompagnò l’azione: la macchia gialla di tifosi tedeschi che occupava proprio la curva alle spalle di Peruzzi era un vulcano in eruzione.

Nel giro di 5 minuti, la squadra campione del mondo, d’Europa e d’Italia si ritrovò in svantaggio di due reti: “Due azioni da palla ferma e due gol. Il Borussia quasi non ci credeva e la Juve neppure “.[26] Una vera e propria “mazzata” che in quel momento avrebbe stroncato le velleità di qualsiasi squadra. I bianconeri, invece, non si diedero per vinti e, con incrollabile forza d’animo, si ributtarono in avanti. Per tutta quella prima mezz’ora di partita, del resto, era sempre stata evidente l’impressione che la squadra bianconera avrebbe potuto segnare un gol in qualsiasi momento. E l’istante agognato parve giungere al 42’: Zidane ricevette palla, da fermo, all’altezza del vertice destro dell’area del Borussia. Fece un paio di passi in avanti convergendo verso il centro per poi effettuare un tiro rasoterra, non forte ma preciso verso l’angolino basso alla destra di Kloss: la classica “rasoiata”, sulla quale il lungo portiere tedesco, distesosi in tuffo, non riuscì ad intervenire, mentre la curva juventina seguiva con le braccia alzate quel pallone che si dirigeva verso la porta ormai sguarnita.

Ma i fantasmi, nuovamente, riapparirono per ribadire il loro NO, e il pallone terminò la sua traiettoria schiantandosi contro il palo. Questa volta non ci fu tempo per lo scoramento, i bianconeri erano in “forcing” e conquistarono un calcio d’angolo alla sinistra della porta del Dortmund. Era il 43’. La parabola di Zidane, respinta dalla difesa tedesca, venne raccolta al limite dell’area di rigore da Juliano che, di controbalzo, batté al volo: il pallone si infranse verso il mucchio di giocatori che affollavano l’area di rigore e carambolò, come in un flipper impazzito, su Christian Vieri, smorzandosi a terra. L’attaccante bianconero fu lesto a girarlo immediatamente in porta: e stavolta non ci fu né parata del portiere, né palo che impedirono alla sfera di entrare in rete. La palla oltrepassò effettivamente la linea di porta, ma intervenne di nuovo l’arbitro Puhl, il “portafortuna”. Il braccio alzato, la postura marziale, il direttore di gara ungherese annullò il gol per un tocco di mano di Vieri: secondo il regolamento dell’epoca, un fallo di mano involontario[27], ma anche “sfuggito ai più”[28]. I giocatori in campo erano allibiti, lo stesso Lippi che batteva le mani cercando di incoraggiarli sembrava sotto schock: “Per chi crede ai segnali premonitori ce n’era abbastanza per leggervi la fine di qualsiasi sogno”.[29]

Nell’intervallo, in un estremo tentativo di governare gli eventi, l’allenatore bianconero operò una modifica nello schieramento della squadra juventina: il difensore Sergio Porrini restò negli spogliatoi per cedere il posto ad un altro attaccante. Era giunto il momento di Alex Del Piero. Ciro Ferrara scalò nella posizione di terzino sulla destra, Juliano affiancò Montero al centro della difesa mentre Di Livio arretrò sulla linea di difesa, come terzino sinistro. Del Piero-Vieri-Boksic avrebbero costituito il tridente d’attacco della speranza.

La prima azione da gol del secondo tempo fu opera del Borussia: “Al 8' Riedle in tuffo di testa su punizione con palla che finisce di poco a lato”[30]. Poi la Juventus ricominciò il suo estenuante monologo. In rapida successione: al 54’ Jugovic , da fuori area, costrinse Kloss al tuffo sulla propria sinistra per deviare in calcio d’angolo un insidioso tiro rasoterra; al 55’ un nuovo, dubbio contatto in area tra Reuter e Del Piero: il fuoriclasse juventino cadde a terra “ma con Puhl ci vuole ben altro”[31], e l’azione proseguì tra le proteste dentro e fuori dal campo; al 56’ Vieri girò in porta un pallone che, sul contrasto con un difensore tedesco assunse una strana parabola che si sarebbe conclusa in rete senza il provvidenziale intervento di Kloss che “smanacciò” il pallone sulla traversa e poi in calcio d’angolo.

E finalmente, all’ennesimo tentativo, il lume della ragione emerse ed un lampo di razionalità squarciò la tenebra che avvolgeva quella notte stregata. Al 64’ Boksic, innescato da un preciso lancio di Zidane, entrò in area di rigore e appoggiò il pallone sul primo palo per l’accorrente Del Piero. Il giovane campione juventino, pur marcato e volgendo le spalle alla porta, riuscì ad arrivare sulla sfera colpendola nell’unica maniera possibile: di tacco. Un colpo da fuoriclasse autentico.

Juventus – Borussia Dormtund 1-2. Stavolta fu la curva bianconera a esplodere: una gioia potente, liberatoria. A bordo campo, il battimani di incitamento di Lippi ai suoi apparve più energico e convinto, mentre Del Piero gridò semplicemente a Boksic che lo stava abbracciando: “DAI!”.  Sugli spalti, ricominciò con rinnovato vigore il coro dei fans juventini: “E forza Juve facci un gol!”, mentre i tedeschi erano ammutoliti. Una sensazione di “punto di svolta” pervase l’animo di tutti i presenti allo stadio, giocatori e tifosi. Finalmente l’incubo pareva finito ed i più forti, dopo una serie di peripezie, sarebbero riusciti ad avere la meglio sull’avversario: come la vista della volpe braccata all’orizzonte galvanizza i cani da caccia moltiplicandone le forze e, all’opposto, l’abbaiare trionfante degli inseguitori scoraggia la preda consegnandola ad un crudele destino. E’ una regola non scritta, che si evince semplicemente dall’analisi dei comportamenti e delle situazioni di gioco che animano, normalmente, le partite di calcio. L’euforia di una parte corrisponde, inesorabilmente, allo scoramento dell’altra.

Ma quella notte, abbiamo già detto, ogni normalità risultò bandita. Nessuna previsione fondata sulla logica deduttiva trovò riscontro. I fantasmi tornarono a far sentire il loro mormorio, stavolta in maniera inesorabilmente definitiva.

Il sinistro brusio echeggiò nuovamente al 68’, quando Del Piero cadde in area di rigore tedesca sul contrasto di Rambert ma, per la terza volta, il “portafortuna” Phul non ritenne l’intervento sanzionabile con il rigore. Una decisione “inconcepibile”.[32]  Questa volta il sarcasmo prevalse sulla rabbia, ed i tifosi juventini continuarono ad incitare i loro beniamini a raggiungere la rete del pareggio. Probabilmente nessuno fece caso a ciò che avvenne, pochi minuti dopo, nei pressi della panchina tedesca. Tra i giocatori di riserva che stavano effettuando il riscaldamento, uno di essi cominciò a togliersi la tuta, segnale inequivocabile che ne preannunciava l’ingresso in campo.

Il suo nome era Lars Ricken.

Nato a Dortmund il 10 luglio 1976, rappresentava il classico giovane di belle speranze prodotto dal vivaio locale. Il Borussia lo fece esordire giovanissimo in Bundesliga, a soli 17 anni: per molto tempo ciò costituì un record [33]. Centrocampista con vocazione offensiva, il ragazzo per la verità era già balzato agli onori delle cronache della Champions League l’anno precedente: sua era stata la rete decisiva realizzata nella partita della fase eliminatoria, quando il Borussia aveva sconfitto 2-1 la Juventus  a Torino. Il fatto che nessuno lo ricordasse era un’ennesima riprova che quella partita già citata avesse rappresentato una sfida senza motivazioni per i bianconeri.

Quell’anonimato era destinato a cessare di lì a poco, con effetti devastanti per i tifosi bianconeri. Il resoconto di ciò che accadde è rimasto impresso in maniera indelebile nella mente del blogger Gianluca Lorenzoni che assisteva alla partita in TV:

“Il ragazzino entra nell’inquadratura dal basso, corricchiando verso la trequarti bianconera. Nessuno ci fa caso, il pallone è vicino alla linea laterale, in alto sul teleschermo. Paulo Sousa lo conquista con la solita eleganza e con un palleggio volante lo serve lateralmente verso Möller. L’ex numero 7 della Juve trapattoniana vede un corridoio e di prima lancia un compagno nello spazio. È Ricken, appena entrato. Montero prova ad accorciare ma è in ritardo. Siamo a trenta metri dalla porta, Ricken rincorre il pallone senza ancora averlo toccato, poi con il piattone destro disegna una parabola che sembra dover concludere la propria corsa sulla sterminata pista di atletica dietro la porta, la stessa che vide il primo bronzo olimpico di Mennea nel ’72. E invece si abbassa, con Peruzzi pietrificato 4-5 metri fuori dai pali che non può che girare il collo. E sperare, invano.”[34]

Al 71’ Juventus Borussia Dortmund 1-3.

Erano trascorsi 16 secondi dal suo ingresso in campo. Di più, quel pallone calciato nella porta di Peruzzi costituiva il primo toccato dal giovane calciatore tedesco. Ancora di più, quel gol rese Ricken “il più veloce calciatore ad aver segnato in una finale della massima competizione europea”.[35] 

Era lui il predestinato. I fantasmi del calcio avevano scelto Lars Ricken come demolitore dei sogni della Juventus e dei suoi tifosi in quella finale.

Lars Ricken nel 1997 come Felix Magath nel 1983 e Johnny Rep nel 1973.

Sì, è vero: la rete del centrocampista tedesco era stata preceduta dalla doppietta del suo compagno Riedle. Ma solo quel terzo gol aveva reso certa una doppia, opposta, sensazione: quella dei tedeschi di vincere la partita, e quella degli italiani di perderla. In tal senso si può definire Lars Ricken l’uomo del destino, il “match winner” dell’incontro, come Magath e Rep. Ma ci sono ulteriori, inquietanti, analogie che rendono inevitabile l’accostamento del gol di Ricken con quelli dei suoi predecessori. La traiettoria del pallone, innanzitutto, che si alza per poi scendere improvvisamente ed infilarsi sotto la traversa. La stessa parabola è ravvisabile nel tiro di Magath ad Atene e nel colpo di testa di Rep a Belgardo. Inoltre, la reazione del portiere, che rimane del tutto sorpreso, quasi impietrito, e non accenna all’intervento. Così Peruzzi, fermo sulle gambe, che alza la testa per vedere il pallone infilarsi in rete replica lo stordimento di Dino Zoff che, sempre immobile, si inginocchia per seguire con lo sguardo il pallone scagliato da Magath ad Atene, e ancora Zoff che osserva la sfera depositarsi in rete per poi franare rovinosamente a terra sul colpo di testa di Rep a Belgrado. La dinamica dell’azione, cambiati gli interpreti, pare rinnovarsi nel tempo. E le posture dei portieri, i loro mancati movimenti sono indice di una sorpresa totale: Peruzzi, come Zoff, aveva ritenuto impossibile che potesse accadere ciò che effettivamente avvenne.

Per nulla sorpreso del tiro fu invece l’autore stesso del gol, chiamato in seguito a spiegare quel gesto tecnico pazzesco: “Dalla panchina avevo visto Peruzzi spesso fuori dalla porta. Appena entro ci provo, ho pensato.”[36]

Un Lars Ricken ebbro di gioia scavalcò di corsa i tabelloni pubblicitari per andare a ricevere l’abbraccio dei compagni della panchina e, soprattutto, di Hotmar Hitzfeld, per la prima volta anche lui euforico. E’ facile immaginare cosa possa aver pensato l’allenatore tedesco mentre cingeva a sé l’autore del terzo gol: abbiamo trovato il nostro Magath.... Ciò che invece nessuno poteva sapere in quel momento era che la suddetta prodezza avrebbe rappresentato il punto più alto della carriera di Ricken. Negli anni successivi, infatti, diversi infortuni ne condizionarono fortemente il rendimento, sia nel Borussia che nella nazionale tedesca, con la quale partecipò ai mondiali del 2002 in Corea e Giappone senza tuttavia mai entrare in campo. Addirittura e sempre a causa dei problemi fisici, nel 2007 l’eroe della finale di Monaco venne retrocesso in seconda squadra dall’allenatore Doll per rendimento insufficiente[37]: fu il preludio al mesto ritiro, annunciato l’anno dopo, nel 2008[38]. La stella di Ricken raggiunse dunque l’apogeo nel momento stesso del suo lancio nel firmamento: una classica meteora. Ma quei sedici secondi di celebrità furono sufficienti per affossare definitivamente il sogno “millenario” bianconero.

L’annichilimento tra le file bianconere stavolta fu devastante: il match praticamente terminò lì, anche se mancavano ancora 19 minuti al 90’.

L’avvocato Agnelli abbandonò la tribuna d’onore in largo anticipo sulla fine e l’immagine divenne il simbolo della delusione di tutto il mondo bianconero: “quando le telecamere inquadrano Gianni Agnelli allontanarsi solitario prima del fischio finale, si ha il senso di un verdetto accettabile solo in termini di destino avverso”[39].

Sul versante opposto, Jurgen Kohler, abbracciato agli altri ex juventini, festeggiò la Coppa indossando al collo una sciarpa bianconera[40]: un’ immagine tanto sconclusionata quanto beffarda, per quanto il gesto dello stopper tedesco fosse animato esclusivamente da un intento nobile, quello di salutare i suoi tifosi di un tempo.

Ma quella notte, si è visto, fu costellata da tanti episodi illogici e ricorrenze inquietanti, che determinarono una disfatta bruciante.

“Alla fine gli invincibili si scoprono vinti”[41], “i più forti si sentono all’improvviso deboli”[42]: le analisi del giorno dopo cercarono ovviamente di capire che cosa avesse determinato una sconfitta “fuori dalle logiche di quel che c’era stato prima”[43]. La condizione non ottimale della squadra venne individuata come uno dei fattori della debacle: la Juve “si è presentata al giorno decisivo con le batterie scariche.”[44] “Gli eroi erano stanchi (Di Livio, Deschamps) o comunque non al massimo (Zidane, Boksic, Del Piero)”[45], “erano spenti, diversi dal solito, distanti”[46]. Le statistiche della partita, però, non paiono suffragare tale argomentazione. La Juventus ebbe un possesso palla ben superiore del Borussia Dortmund (62% contro il 38%) e tirò di più in porta (13 tiri contro 8)[47]. Dati inequivocabili, che certificano una squadra propositiva che aggredì l’avversario creando occasioni da gol. Se poi si considera, che i 13 tiri in porta produssero anche un palo ed una traversa allora si capisce come la disamina debba spostarsi sui singoli episodi e sui dettagli: quella sera tutti gli eventi “girarono” sistematicamente a sfavore della squadra bianconera. E la successione degli eventi negativi comprende sia fatti tecnici che ebbero protagonisti i giocatori (il palo di Zidane, la traversa di Vieri), che accadimenti che coinvolsero l’arbitro: in tutte e tre le situazioni dubbie in area del Borussia, il direttore di gara non ravvisò mai gli estremi per concedere il calcio di rigore alla formazione italiana. Egli, inoltre, annullò alla Juventus una rete che ai più era sembrata regolare. “Hanno fatto 3 tiri e 3 gol”[48]: la disamina di Angelo di Livio va corretta solo parzialmente. Perché se è vero che i tiri complessivi del Borussia furono 8 e non 3, è altrettanto vero che i primi due tiri in porta dei tedeschi - dopo ben 29’ di partita- si tramutarono in altrettante reti: una botta terrificante per chiunque. Insomma, quella sera tutto andò storto per la Juventus e nulla accadde secondo quanto ci si sarebbe atteso. Come tentare di capire e di spiegare, allora?

“In un mondo in cui niente è quel che sembra devi guardare oltre”[49]. Ancora una volta, forse il film di Brian Singer può aiutare a fornire la chiave di interpretazione.

Per esempio, guardando oltre al campo di gioco quella sera, sulle gradinate dell’ “Olympiastadion” si sarebbe visto un soddisfatto Felix Magath presenziare alla disfatta bianconera. Proprio lui, l’artefice dell’ultima sconfitta in Coppa dei Campioni della Juventus nel 1983, era stato appositamente invitato dai dirigenti del Borussia Dortmund. Non era una rievocazione di un fantasma, era proprio lui lì, in carne e ossa...

E la Juventus perdeva di nuovo.
 

[1] Salvatore Lo Presti, “Lippi ci fa entrare nel romanzo Juve”, “La Gazzetta dello Sport”, 25 maggio 1997;

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Ballspielverein_Borussia_09_Dortmund;

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Ballspielverein_Borussia_09_Dortmund;

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Ballspielverein_Borussia_09_Dortmund;

[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Ballspielverein_Borussia_09_Dortmund;

[6] Franco Arturi, “E l' Avvocato volta le spalle alla sfortuna...”. Gazzetta dello Sport, 29 maggio 1997;

[7] Giorgio Tosatti: “Germania forte in nazionale”, C.d.S, 28 maggio 1997;

[8] “Borussia con Magath porta fortuna”, C.d.S,  26 maggio 1997;

[9] Sergio Di Cesare, “Juve e Borussia danno i numeri“, La Gazzetta dello Sport, 28 maggio 1997)

[10] Marco Ansaldo, “C’è Sammer, che vantaggio per la Juve”, La Stampa, 27 maggio 1997;

[11] Fabio Vergnano, “Robocop Boksic, arma letale”, La Stampa, 28 maggio 1997;

[12] Maurizio Crosetti, “Un’altra notte per dire Juventus”, La Repubblica 28 maggio 1997;

[13] Maurizio Crosetti, “Un’altra notte per dire Juventus”, cit.;

[14] Claudio Giacchino,“ Riedle: io, stampella del Borussia”, cit.;

[15] Sergio Di Cesare, “Juve e Borussia danno i numeri“, cit.;

[16] “Con Puhl, Italia Brasile”, La Stampa, 28 maggio 1997;

[17] Claudio Giacchino,“ Riedle: io, stampella del Borussia”, cit.;

[18] “I soliti sospetti”, 1995, di Brian Singer;

[19] Gianni Mura, “La legge del più debole”, La Repubblica, 29 maggio 1997;

[20] Lodovico Maradei, “Juve stregata, La Gazzetta dello Sport, 29 maggio 1997;

[21] Maurizio Crosetti, “Juve, cuore spezzato”, La Repubblica, 29 maggio 1997;

[22] Lodovico Maradei, cit.;

[23] Lodovico Maradei, cit.;

[24] Maurizio Crosetti, cit.;

[25] Maurizio Crosetti, cit.;

[26] Marco Ansaldo, “Non basta la magia di Del Piero”, La Stampa, 29 maggio 1997;

[27] Maurizio Crosetti, cit.;

[28] Lodovico Maradei, cit.;

[29] Marco Ansaldo, cit.;

[30] Lodovico Maradei, cit.;

[31] Lodovico Maradei, cit.;

[32] Lodovico Maradei, cit.

[33] https://en.wikipedia.org/wiki/Lars_Ricken; consultato il 26-10-2017;

[34] https://zonacesarini.net/2016/09/23/lars-ricken;

[35] https://it.wikipedia.org/wiki/Lars_Ricken;

[36] Pierfrancesco Archetti, “Avevo già sognato tutto” La Gazzetta dello Sport, 29 maggio 1997;

[37] https://en.wikipedia.org/wiki/Lars_Ricken, cit.;

[38] https://en.wikipedia.org/wiki/Lars_Ricken, cit.;

[39] Franco Arturi, “E l’Avvocato volta le spalle alla sfortuna”, La Gazzetta dello Sport, 29 maggio 1997;

[40] http://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/Juventus/23-02-2015/anni-90-moller-kohler-altri-quando-dortmund-riciclava-vincendo-juventus-borussia-dortmund-champions-1001000356220.shtml, cit.;

[41] Luigi Garlando: “Bettega, rabbie e accuse”, La Gazzetta dello Sport, 29 maggio 1997;

[42] Gianni Mura: “La legge del più debole”, La Repubblica, 29 maggio 1997;

[43] Candido Cannavò: “Un gioiello in tanta collera”, La Gazzetta dello Sport, 29 maggio 1997;

[44] Gianni Mura, cit.;

[45] Roberto Beccantini: “Juve, Europa amara”, La Stampa,  29 maggio 1997;

[46] Maurizio Crosetti: cit.;

[47] “Un film di gol e di illusioni”, La Repubblica, 29 maggio 1997;

[48] Fabio Vergnano, “La rabbia del Talentino”, La Stampa, 29 maggio 1997;

[49] /it.wikiquote.org/wiki/I_soliti_sospetti;