Nel calcio, come nella vita, ci sono delle situazioni che segnano svolte epocali che non vengono percepite nell’immediatezza del momento ma solo con il senno del poi. Questo è un bene, allorquando il cambiamento non scopre orizzonti luminosi, ma spalanca tramonti malinconici. E’ il classico punto di svolta o di non ritorno, che spesso si nasconde dietro una routinaria quotidianità per produrre invece effetti permanenti e irreversibili. Anzi, quanto più è banale in sé, tanto più determina sconvolgimenti epocali: “ Si dice che il minimo battito d'ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo”[1].

Domenica 20 gennaio 1985 è un pomeriggio freddo e grigio a Torino. Allo stadio Comunale la Juventus affronta il Como in una partita anonima e priva di particolare interesse: si celebra la 16^ giornata del campionato di Serie A, un torneo dominato dalla sorpresa Verona. I bianconeri arrancano nelle posizioni centrali di classifica, a 7 punti dagli scaligeri hanno rinunciato di fatto ad ogni ambizione di difendere il titolo. Ben altro l’obbiettivo di quella stagione: la conquista della prima Coppa dei Campioni occupa la mente e le gambe di tutto l’ambiente. Il mercoledì precedente i torinesi hanno appena assaporato un “aperitivo” di una vittoria internazionale: la supercoppa europea è stata conquistata davanti ai propri tifosi  con una brillante prestazione contro il Liverpool. Una doppietta di Boniek ha messo a tappeto gli inglesi in una finale dominata (nessuno sa ancora che i bianconeri si ritroveranno davanti gli stessi “Reds” qualche mese più tardi, nella tragica serata dell’Heysel).

In questo contesto, pertanto, la partita contro il Como assume  più che altro il significato di una “passerella” di festeggiamento: nonostante l’atteggiamento volenteroso dei lariani (che non hanno intenzione di recitare la parte dello sparring partner) al 19’ i bianconeri trovano la rete del vantaggio con Bonini. E’ questo un primo elemento a rendere particolare quel pomeriggio. La propensione al gol non era, infatti, una caratteristica del repertorio del biondo centrocampista: quella rete non solo rappresentava la sua prima prima marcatura stagionale, ma si rivelerà la terza delle sei reti totali che il mediano bianconero realizzerà nel corso delle 296 partite disputate con la maglia della Juventus.[2] Poi, al 42’, il risultato viene messo in sicurezza dal gol del raddoppio firmato da Paolo Rossi, l’eroe del Mondiale spagnolo. Ma per Rossi si tratta solo della seconda rete in campionato, dopo quella realizzata un mese e mezzo prima contro il Cagliari. In realtà il centravanti ha già smesso da un pezzo i panni dell’eroe nell’immaginario dei tifosi bianconeri. Sacrificato da Giovanni Trapattoni sull’altare della tattica, l’attaccante bianconero si è trovato sempre più relegato in un ruolo di comprimario, decentrato sulla fascia per creare spazio agli inserimenti di Michel Platini[3]. Certo, in Coppa dei Campioni le cose sono andate un po' meglio per “Pablito”: quattro le reti all’attivo fino a quel momento (una tripletta contro i finlandesi del Tampere nei sedicesimi e una rete contro il Grassophers negli ottavi ) ma la sensazione generale è che le sue prerogative siano state inesorabilmente messe in secondo piano al servizio degli interessi della squadra, al pari di un qualsiasi gregario. Una serie di circostanze, in quel gelido pomeriggio di gennaio, resero per la prima volta esplicito quel sentimento, fino ad allora solo sussurrato e/o pensato, decretando di fatto il tramonto del giocatore simbolo della vittoria mundial di tre anni prima.

Innanzitutto la reazione dei tifosi: il tocco sotto misura con cui Rossi spinse la palla in rete sul cross di Tardelli (“una palla che non potrebbe sbagliare nemmeno un ex  calciatore in pensione da anni”[4]) venne accompagnato da un boato grottesco, quasi di scherno: non vi era gioia in quel grido, bensì quasi un liberarsi da un malcelato fastidio: “Finalmente ce l’hai fatta a mettere la palla dentro!” pareva il pensiero dei supporters bianconeri. La rete faceva seguito, infatti, ad una clamorosa doppia palla gol fallita proprio dal centravanti juventino qualche minuto prima: “E' quasi divertente, il  centravanti della nazionale, quando al 40' si trova sui piedi una palla che Ottoni pare aver riaggiustato su misura nel  tentativo di intercettare un tiro di Briaschi da sinistra: perde tempo per prendere la mira e dà a Giuliani il tempo di  tornare tra i pali e respingere alla meglio; Briaschi ributta in mezzo dove il numero 9  mondiale è tutto libero e solo.  Questa volta calcia come quando giocava nel Como e Bagnoli lo lasciava fuori squadra: non tocca palla e fa un giro su sé stesso abbastanza ridicolo”[5]. Il cronista del “Corriere” pare perpetuare (forse anche esagerando i toni) l’indignazione beffarda dei tifosi presenti allo stadio. Un secondo dettaglio faceva diventare la scena singolare: Paolo Rossi non potè nemmeno festeggiare il punto tanto agognato perchè - a seguito del movimento per depositare il pallone in rete- si scontrò con il portiere comasco Giuliani e rimase a terra dolorante. Quella rete senza festeggiamenti contribuiva a rendere la situazione malinconica e grottesca anzichè gioiosa. Infine, l’accostamento di Rossi a Bonini nel tabellino dei marcatori della partita costituiva il culmine di una situazione quasi paradossale: non era Massimo Bonini, onesto cursore dai piedi grezzi ad innalzarsi all’altezza di Paolo Rossi, bomber mundial, bensì Pablito ad essersi abbassato al livello di un gregario qualsiasi quale Bonini era. Il significato evocato da quella strana coincidenza non poteva sfuggire al tifoso juventino per eccellenza, il numero uno: l’Avvocato Gianni Agnelli, richiesto di un parere sul ritorno al gol di Rossi commentò sferzante: ” Era adirato. Aveva fatto la stessa media gol di Bonini finchè poi non ha segnato”. Le sue parole furono seguite dallo scoppio di una fragorosa risata in tribuna da parte dei giornalisti che attorniavano il Presidente Onorario[6]. Quella frase tagliente di un freddo pomeriggio invernale decretò, come una fatwa, la fine della carriera di Paolo Rossi nella Juventus. In realtà la battuta dell’avvocato non era da intendersi come una scomunica: semplicemente, esplicitò ciò che più o meno nascostamente stava emergendo in quella stagione: Paolo Rossi non costituiva più  un elemento importante nel progetto Juventus. Dopo quella partita, in campionato il centravanti bianconero segnò un altro gol un mese dopo a San Siro contro il Milan, che peraltro non servì ad evitare la sconfitta della Juventus contro i rossoneri (3-2). Anche in Coppa dei Campioni il suo bottino si incrementò di una sola rete, nei quarti di finale contro lo Sparta Praga a Torino, in quello che costituì l’ultimo acuto di Pablito in maglia bianconera. Anche l’analisi delle presenze rivela indirettamente la marginalità di Rossi nelle dinamiche di squadra, o meglio la sua acquisita dimensione di gregario. Prima del match contro il Como, Paolo Rossi aveva disputato 12 partite, venendo sostituito in 4 occasioni (di cui una, contro l’Inter, a seguito di infortunio). Nei successivi 14 incontri invece, il centravanti tornò anzitempo nello spogliatoio in ben 9 circostanze: “mi sembrava una scelta fatta a tavolino, ci restavo male”[7]. Il divorzio dalla Juventus a fine stagione fu una conseguenza inevitabile.

L’annata successiva Pablito cercò di rilanciarsi nel Milan del suo mentore antico Giussy Farina, ma l’operazione nostalgia non ebbe gli effetti desiderati: 20 presenze e 2 sole reti all’attivo, entrambe realizzate in un rocambolesco derby terminato 2-2. Quindi un altro trasferimento, questa volta in provincia, a Verona.
Nel mezzo, il mondiale 1986: Enzo Bearzot sembra credere ancora in lui e lo convoca nel gruppo dei 22 della disastrosa spedizione azzurra in Messico, ma Pablito questa volta non entra mai in campo e assiste mestamente all’eliminazione dell’Italia al primo turno dalla panchina. La stagione di Verona (20 presenze e 4 reti, di cui solo una  però su azione e 3 calci di rigore) pone fine alla carriera di Rossi ed al suo inesorabile declino. L’eroe che aveva fatto piangere il Brasile e sognare gli italiani nelle caldi notti del mondiale spagnolo è stanco. Proprio lui, che durante la notte della finale di Madrid aveva implorato il tempo di fermarsi -“Guardavo la folla, i compagni e dentro sentivo un fondo di amarezza. Non avrei più vissuto un momento del genere”[8]- non si era accorto che il battito d’ali della farfalla era scoccato in un gelido pomeriggio di gennaio, a Torino, in una tranquilla partita contro il Como.

 

[1] “The Butterfly effect”, 2004

[2] https://www.myjuve.it/giocatori-juventus/massimo-bonini-32.aspx

[3] Anche grazie a quella mossa  il fuoriclasse francese potè sprigionare al massimo le sue potenzialità vincendo 3 classifiche marcatori e tre Palloni d’Oro a metà degli anni ottanta, diventando uno dei primi 3 giocatori al mondo

[4] Sergio Gabaglio “Il Como corre ma Platini vola”, Corriere della Sera, 21 gennaio 1985;

[5] Sergio Gabaglio, cit.;

[6] https://www.youtube.com/watch?v=OSB2p0M1omw

[7] https://storiedicalcio.altervista.org/blog/paolo_rossi_biografia.html

[8] https://storiedicalcio.altervista.org/blog/paolo_rossi_biografia.html