Se guardo indietro alla mia infanzia, mi risulta abbastanza chiaro capire perché il calcio sia lo sport più popolare del mondo. Anche ascoltando i racconti di mio padre e di mio nonno, mi rendo conto che nei nostri pensieri, nei nostri ricordi, il calcio assume dei contorni mitici, quasi sovrumani. Le gesta dei grandi campioni del passato sembrano quasi sovrapporsi a quelle degli eroi della mitologia greca. Ed è indubbiamente questa retorica, questa narrazione, che ci ha fatto innamorare di questo magnifico sport: quello che più di ogni altro riesce a incarnare i valori di rivalsa, di coraggio, di vittoria, ma anche di sconfitta. E così Platini contro Maradona, Ronaldo contro Weah somigliano tanto a Achille contro Ettore. Cristiano Ronaldo e Messi sono solo gli ultimi umani assurti a questo Pantheon riservato solo ai più grandi, a chi a suon di gol, di record e di grandi gesta ha fatto sognare il mondo intero.

Eppure in questo 2021, nel bel mezzo della peggiore pandemia della storia, un evento tanto drammatico da riportare sulla terra quasi ogni velleità, i due più grandi protagonisti del pantheon, con una preoccupante contemporaneità, vedono il loro piedistallo infrangersi come cristallo e tornare con i piedi sulla molto più semplice terra. Ronaldo non è più quel semidio di Achilliana reminiscenza e i tifosi juventini, ma non solo, lo guardano ormai con fredda indifferenza. Certo delusi, ma incuranti del suo destino. Messi, ultimo araldo del mito intramontabile delle Bandiere, con un pasticcio Beckettiano, nel giro di un anno è passato dall’essere Godot a diventare Mattia Pascal, e per di più (s)vendendosi al Circo Barnum PSG: da “più che un club” a “più che uno stipendio”: l’antitesi dei valori del vessillo fino a quel momento rappresentato.

Improvvisamente il fango fra le dita dei loro piedi si fa nero e sporco e sui loro volti le rughe sembrano crepe come su antichi vasi, pregiati, ma delicati e ai nostri occhi frangibili come mai fino ad ora.

Ma lo scricchiolio del tempio dorato non riguarda solo la generazione degli 11 palloni d’oro, anche i prossimi in linea di successione hanno ceduto al disincanto: da Haaland che chiede al Chelsea cifre fuori dal mondo per sé e per il suo agente (non è ancora chiaro chi il Chelsea avrebbe ingaggiato dei due) a Mbappe che con un tira e molla stucchevole, resta invischiato nel peggiore dei calciomercati, pilotato dalla poca “eleganza” di Florentino Perez che prima frigna per la necessità di una Superlega per appianare i debiti, poi offre 160 milioni per l’attaccante francese dopo averne buttati oltre 200 per Hazard e Jovic e non afferrando che se non utilizzasse le finanze come fossero noccioline, forse la crisi la sentirebbe meno.

In questo scenario resto convinto che il calcio della mia infanzia e di quella di mio padre non sarà nemmeno paragonabile a quello di mio figlio che è parte di una generazione ormai più interessata al calcio sulla PlayStation che negli stadi. E mi rendo conto che il mio, il nostro calcio, se non è morto, deve quantomeno rivedere il suo modello dalle radici.
Non so se la Superlega sia la soluzione, ma di certo le fondamenta sotto il Pantheon non sono più tanto solide.