C'è una locuzione che qualche tempo fa, qualcuno dotato di poco cervello ha coniato per etichettare i cori rivolti contro i tifosi napoletani (ma non solo) e che auspicano una pronta eruzione del Vesuvio: discriminazione territoriale. Quello che è un vero attacco razziale che esula dal normale sfottò, è stato declassato a discriminazione territoriale. Se ci pensate è strano: anni fa si dava del razzista a chi bollava qualunque ITALIANO nato sotto il Tevere come meridionale o peggio terrone. Oggi con questa formula abbiamo consentito a barbari che nulla hanno a che fare con lo sport di cavarsela con quello che non suona nemmeno come un leggero insulto se pronunciato: Te sei proprio un discriminatore territoriale Razzista no, quello no. Discriminatore territoriale si. Questa gentaglia ringrazia ed anzi rilancia verso quell'antica pratica di bollare le persone in base alla propria provenienza, che soltanto con un buon turnonver generazionale stavamo riuscendo a debellare. Ma c'è uno stato in cui la sostituzione nell'immaginario comune del cittadino semplice con una immagine negativa, va avanti da decine di anni ininterrottamente senza accennare ad alcun genere di cambiamento: la Colombia. Tanti di voi in questo preciso istante staranno pronunciando tra se e se la parola "cocaina". No: non siete brutte persone nè razzisti nè discriminatori territoriali. E' "normale". Le vicende del cartello di Medellìn capitanato da Pablo Escobar suonano ancora attuali e la serie girata da Netflix sulla figura del padre della droga bianca, ha rivitalizzato la stretta connessione tra Colombia e cocaina. E' simpatica la coincidenza temporale che si è verificata qualche giorno fa. Nello stesso giorno in cui Netflix annunciava il giorno dell'inizio della seconda serie nel mondo, la nazionale di calcio colombiana guadagnava l'accesso alla fase ad eliminazione diretta della Coppa America che si sta disputando negli Stati Uniti. Il primo che in Italia accese i riflettori sulla nazionale colombiana, fu qualche anno fa Ivan Ramiro Cordoba, storico difensore dell'Inter. E' la più forte selezione che la Colombia abbia mai avuto. Più forte di quella di Asprilia Higuita e Valderrama. Credetemi: sono davvero forti. Quando David Luiz prende sotto braccio James Rodriguez e lo indica come il più forte giocatore di quell'edizione dei mondiali, il mondo si accorge che le parole di Cordoba non erano per niente campate in aria. Quei mondiali hanno appena vissuto l'uscita per mano del Brasile padrone di casa, di una delle più forti pretendenti alla vittoria finale dopo Germania ed Argentina. E' la Colombia di James si, ma anche di Cuadrado, Guarin, Ospina, Jackson Martinez, ma anche orfana del suo indiscutibile leader, fermato da un infortunio al ginocchio che non ce lo riconsegnerà più ai livelli di quell'anno: Radamel Falcao. Ad andare a trovare Radamel Falcao in ospedale ci andrà anche il capo di stato colombiano Juan Manuel Santos, in una visita che commuoverà l'intera nazione. La Colombia non sfigura ed esce ai quarti di finale. Nell'aria però c'è la sensazione che il bello possa e debba ancora arrivare. La CONMEBOL nel 2012 annuncia l'edizione della coppa America del Centenario che scatta qualche settimana fa negli Stati Uniti. Ai nastri di partenza ci sono 16 squadre. 4 sono le nazioni che hanno una chance di arrivare in fondo. Il resto sono cenerentole della manifestazione, nemmeno comparabili con il blasone ed il valore tecnico di Argentina, Brasile, Cile e Colombia. Il Brasile a dir la verità è davvero molto debole e complice una svista arbitrale vola subito fuori. Restano l'Argentina, che nel suo girone ha battuto il Cile che comunque riuscirà a qualificarsi secondo e ad avanzare alla fase finale, e la Colombia. Allenati da José Pekerman, che da quelle parti siede nella scala delle divinità giusto un gradino sotto Dio e Marcelo "El Loco" Bielsa, i colombiani si presentano alla manifesazione ancora più forti sulla carta, rispetto ai mondiali del 2014. C'è Murillo che ok, non ha fatto una stagione esaltante, ma sostituisce Yepes al centro della difesa. C'è Carlos Bacca che nel frattempo ha vinto un'Europa League da assoluto protagonista ed ha chiuso la prima stagione al Milan forte di 18 trimbri, e ci sono James Rodriguez al secondo anno di Real Madrid e Juan Cuadrado che dopo essersi perso al Chelsea, è tornato in Italia contribuendo sensibilmente ai successi della Juventus. Il resto sono tanti profili poco chiacchierati ma che guidati da Pekerman, finiscono per formare un'assoluta macchina a trazione offensiva capace di creare occasioni ad un passo quasi vergognoso visto il periodo dell'anno e che soltanto a qualificazione incamerata, allentano la pressione perdendo l'ultimo match del gironcino, alcuni diranno per andare nella parte bassa del tabellone ed incontrare l'Argentina favorita forse solo in finale. La sensazione è che, complice la distanza da casa che potrebbe far giocare la squadra con molta meno pressione addosso rispetto ad una competizione ospitata da uno stato del sud verso il quale migrerebbero le fiumane di colombiani che notoriamente affollano gli stadi dove la selezione gioca, QUESTA è l'occasione giusta. L'occasione storica. L'occasione che un popolo attende per riscattare la propria immagine agli occhi del mondo. L'occasione per dimostrare al mondo che la Colombia non è Pablo Escobar, non è attentati presidenziali, non è cocaina, non è morti per strada per faide di droga, ma il luogo in cui, come recita l'inno nazionale: nei solchi del dolore il ben germina già.