“Qui si farà la storia” è uno degli slogan più usati tra quelli scelti dal governo qatariota per promuovere la manifestazione più seguita al mondo, quella dei Mondiali di calcio. È infatti in Qatar che alle 17:00 (ora italiana) della giornata odierna ha avuto inizio la competizione, dove la nazionale del paese ospitante ha sfidato quella dell’Ecuador. Prima ancora del match d’apertura, si è svolta la cerimonia d’inaugurazione, fissata per le 16:00 e trasmessa dalla Rai, unica emittente in Italia a detenere i diritti del torneo.

La realtà è che la storia è già stata fatta. Ma non è una bella storia.
È una storia che inizia nel 2010, quando i mondiali vennero assegnati al paese arabo che si affaccia sul Golfo Persico. Joseph Blatter, ex Presidente della Fifa fino al 2015, commenterà questa decisione sostenendo a pugni chiusi che “la scelta del Qatar è stata un errore.”
Arrivarono subito le prime polemiche: il Qatar era un piccolo paese di appena tre milioni di abitanti e soprattutto era territorialmente inadatto ad ospitare un evento mondiale di tale portata. Desertico, privo di strutture e con un’inesistente tradizione calcistica, ma le contestazioni più importanti arrivavano, e arrivano tutt’oggi, dal versante della difesa dei diritti umani, in quanto il paese a cui era stato appena affidata la gestione dei Mondiali di calcio del 2022 era ed è noto per essere un paese dove il concetto di tutela dei diritti umani e civili non viene neanche preso in considerazione. Basti pensare alle parole pronunciate qualche giorno fa dall’ex calciatore e ambasciatore dei Mondiali Khalid Salman, che ha definito l’omosessualità “haram”, termine che in arabo assume il significato di proibito, accostandola ad una vera e propria malattia mentale.

Dal 2010 ad oggi, il Qatar appare profondamente rinnovato. L’emirato ha infatti speso oltre 220 miliardi di dollari per la costruzione e ricostruzione di stadi e infrastrutture, oltre all’organizzazione di eventi, per farsi trovare pronto per il Mondiale. È stato edificato un nuovo aeroporto, numerose strade, una linea della metro e ben sette stadi nuovi di zecca, mentre uno è stato ristrutturato, alcuni anche con sistemi di climatizzazione, per accogliere il milione e mezzo di turisti che arriveranno da tutte le parti del mondo per assistere all’evento.
Le polemiche più rumorose provengono proprio da qui: le condizioni nelle quali sono stati trattati e tenuti i lavoratori stranieri sono al centro di inchieste e nel corso degli ultimi anni sono state denunciate ben 6500 morti (dati provenienti da un’inchiesta del quotidiano britannico “The Guardian”), tra operai provenienti dal Bangladesh, dall’India, dal Nepal, Sri Lanka e Pakistan. Bisogna anche aggiungere che dall’anno dell’inizio dei lavori, il 2010, fino al 2019, ci sono almeno 15.000 morti sul luogo di lavoro, senza contare gli innumerevoli decessi non dichiarati, ma tutte associate a generici problemi cardiaci o respiratori, non concretamente riconducibili al lavoro. La Segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard, a questo proposito dichiarò:
Dati i precedenti del Qatar per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani, la Fifa sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che affidando a questo stato i mondiali di calcio, i lavoratori avrebbero corso dei rischi. Ciò nonostante, quando venne esaminata la candidatura del Qatar, non ci fu alcun riferimento a ciò e non vennero poste condizioni circa la protezione dei lavoratori. Da allora, la Fifa ha fatto ben poco per prevenire o mitigare tali rischi”.

Nel 2017, il Paese per difendersi dalle centinaia di critiche e accuse provenienti da tutti il mondo, decide di intraprendere una collaborazione con l’International Labour Organization, un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite. Questo ha portato, due anni dopo, all’entrata in vigore del salario minimo e all’abolizione del sistema della kafala.
Questo sistema, diffuso in diversi paesi arabi, in particolare l’area del Golfo, Giordania e Libano, è a tutti gli effetti un fenomeno di sfruttamento formalizzato e quindi di una forma neanche troppo velata di schiavismo. È una forma di reclutamento di manodopera immigrata da impiegare nei settori della pastorizia, agricoltura e del lavoro domestico, dove gli operai non sono tutelati né gli sono riconosciuti e garantiti anche i più elementari diritti umani: per esempio non è previsto un giorno di riposo né l’obbligo di stabilire un salario minimo e frequenti sono le ripetute violenze fisiche e psicologiche che i “datori di lavoro” possono infliggere ai loro lavoratori, che vivono in una situazione così degradante e disumanizzante che si ricorre al termine “schiavitù moderna” per descrivere la gravità e la portata di questo fenomeno così diffuso. In particolare, nella kafala, il lavoratore si lega a un kafeel, una sorta di “sponsor” che teoricamente ha il compito di garantire per il lavoratore, ma di fatto detiene un potere pressoché assoluto sul dipendente. Non sono rari, chiaramente, episodi di suicidio tra i lavoratori migranti o i tentativi di fuggire da questa vita lavorativa alienante, che purtroppo si concludono spesso in maniera drammatica e con conseguenze tragiche. Potremmo dire di aver aver assistito ad una piccola vittoria se non fosse che nel 2020 le denunce di Human Rights Watch hanno dimostrato che la condizione degli operai sia rimasta invariata.

Il dissenso, per fortuna, è presto arrivato. Molte istituzioni, aziende, squadre di calcio, calciatori e celebrità del mondo dello spettacolo hanno preso le distanze dalla decisione di organizzare un evento internazionale, in cui tra l’altro è insito nella sua natura un incontro tra diverse culture, usanze e tradizioni.
Si ricorda la nazionale di calcio della Danimarca, che dopo il divieto ricevuto dalla Fifa di indossare delle casacche da allenamento con la frase “Human Rights for all”, scenderà in campo con il marchio della Hummel oscurato, il logo attenuato e una terza maglia nera, colore del lutto, per inviare un messaggio sulla scarsa attenzione che c’è sul tema dei diritti umani in Qatar e di conseguenza la nota casa che produce divise non vuole accostare in alcun modo il suo nome a questo Mondiale.
C’è poi la scelta di otto squadre, sulle trentadue che partecipano al torneo, di indossare durante le partite una banda arcobaleno sul braccio. Il capitano e portiere della nazionale tedesca Manuel Neuer, da sempre legato alla difesa e alla tutela della comunità LGBT+, ha dichiarato proprio oggi durante la conferenza stampa di apertura della competizione, che non si farà problemi di alcun tipo ad indossare la fascia da capitano color arcobaleno, lanciando un importantissimo messaggio di inclusione e diversità, che assume ancora più valore considerando il contesto in cui questo tipo di dichiarazioni viene pronunciata.
“Metterò in Qatar la fascia da capitano arcobaleno. La mia è una dichiarazione a favore dei diritti umani. Se dovessero esserci multe sono pronto a pagarle.”
Interessante e commovente è anche l’iniziativa dell’azienda Pantone, intitolata “Colors of Love”, che permetterà di aggirare i divieti del governo, introducendo negli stadi bandiere bianche con i codici dei colori scritti sopra, a riprodurre quello arcobaleno.

Spostandoci dal lato dei tifosi, già partire dalla scorsa estate e in particolare nell’ultimo mese, i tifosi tedeschi hanno esposto diversi striscioni chiedendo il boicottaggio dei Mondiali durante le partite di campionato. Sono d’esempio i tifosi del Borussia Dortmund, che durante Borussia-Bochum, esposero un lungo striscione dove invitavano esplicitamente a boicottare Qatar 2022. Inoltre, si legge anche “Mehr tote als spielminuten”, ossia “Più morti che minuti giocati”. Sulla stessa lunghezza d’onda, i tifosi del Bayern Monaco, in trasferta a Berlino, hanno srotolato uno striscione che recitava, in tedesco, “15mila morti per 5760 minuti di gioco. Vergognatevi.”

Nel paese della più grande nazionale assente ai mondiali, l’Italia, le cose hanno iniziato a smuoversi un po’ dopo: la prima azione concreta è arrivata a ottobre da una trentina di club dilettantistici, appartenenti alla rete del calcio popolare, che hanno promosso un boicottaggio del Mondiale. A novembre, i tifosi del Pisa hanno esposto uno striscione contro il Mondiale durante una partita di Serie B contro il Cosenza, ed è stata la prima azione all’interno del calcio professionistico italiano. Qualche settimana prima, in realtà, il gruppo Lazio & Libertà – un’associazione di sostenitori della Lazio contro le discriminazioni – aveva provato a portare uno striscione di protesta all’Olimpico per una partita di Serie A, ma la Questura di Roma ha negato l’autorizzazione, nonostante la società sportiva della Lazio si fosse dichiarata particolarmente favorevole. Fortunatamente le cose sono cambiate proprio nell’ultimo turno di campionato, quello appena prima della sosta per il Mondiale: sabato 12 novembre, è toccato ai tifosi del Cosenza esporre, di nuovo in B, uno striscione sui diritti umani in Qatar, e finalmente, anche in serie A, proprio nella stessa giornata, i sostenitori del Bologna espongono uno striscione che recita: “Contro il business del calcio. Boycott Qatar’22. F**k pay-tv”, venendo poi seguiti il giorno dopo da quelli della Roma: “Migliaia di lavoratori morti, devastazione ambientale. Qatar 2022 vergogna mondiale.”

Tra le celebrità dello spettacolo che si sono schierate apertamente contro il mondiale, troviamo il noto show-man e conduttore televisivo Fiorello, che nel corso della sua striscia mattutina ha deciso di non usare molti giri di parole per commentare la situazione in Qatar. “Si dovrebbero ritirare tutti da questo mondiale. Un paese dove tutti gli abitanti hanno scritto sul loro zerbino ‘diritti umani’, così da poterli calpestare ogni giorno.” Particolarmente rilevante è la polemica contro la Rai, che il conduttore decide di non risparmiare, sottolineando come non si sia fatta scrupoli a spendere “200 milioni per prendere i diritti di questi Mondiali”.

Nel mondo della musica, Rod Stewart e Dua Lipa, non hanno intenzione di contribuire o di accostarsi a questo mondiale del terrore. Il primo, tra le rockstar più grandi di sempre, rivela in un’intervista al Sunday Times di aver rifiutato un’offerta di oltre un milione di dollari per esibirsi in Qatar. Egli non ha tentennato e ha prontamente rifiutato, perché “non sarebbe stato giusto andarci.” La celebre cantante pop, invece, ha pubblicato una storia su Instagram dove mette a tacere le voci su una sua possibile partecipazione al mondiale: “Al momento ci sono molte speculazioni sul fatto che mi esibirò alla cerimonia di apertura dei Mondiali. Non lo farò e non sono mai stata coinvolta in alcuna trattativa per farlo. (…) Quando il paese avrà adempiuto a tutti gli impegni presi in materia di diritti umani, visiterò il Paese.”

Appare dunque ovvio, purtroppo e per fortuna, che tutto l’entusiasmo che ha da sempre caratterizzato la tanto attesa dei Mondiali dello sport più seguito e amato al mondo, sia stato totalmente oscurato da problemi e questioni decisamente più importanti, e nonostante nessuno sia riuscito effettivamente a boicottare o fermare questo triste e vergognoso capitolo della storia del calcio, l’indignazione, le proteste e la rabbia espressa in questi mesi è stata così forte e predominante da lasciare comunque un segno, sotto forma di speranza e di positività nei confronti delle prossime decisioni che verranno prese in questo campo, che si spera saranno incentrate in funzione di un rispetto di diritti e valori etici e umani di tutti, in particolare delle classi sociali già discriminate in partenza, che piuttosto sul versante di un mero ed egoistico arricchimento economico, ed è commovente vedere come l’attenzione e la dedizione di tutti a gettare le basi di questo futuro, forse non troppo utopistico, è sempre più diffusa e condivisa e lo sarà ancora di più con le prossime generazioni, che non hanno paura ma solo coraggio di alzare la propria voce, anche contro qualcuno di molto più grande di loro.

Dedicato a tutte le vittime e alle loro famiglie.