Oggi per la prima volta in due anni di utenza mi trovo alle prese con un articolo. Movente: feroci critiche ad un Balotelli insospettabilmente misurato nelle dichiarazioni. Bene, allora, mi butto a capofitto in questa attività a me estranea dai tempi scolastici ormai lontani, il giornalismo. Ormai, pronunciare il suo nome, "Balotelli", porta con sé un "apriti cielo". Se un piccolo ingenuo tifoso del Nizza chiedesse ad un italiano... exempli gratia, interista: "Com'è Mario?". Hai voglia, ce n'è da dire. Scellerato sull'erba verde e fuori, mediatico, irascibile, irritante nei comportamenti fuori e dentro il pitch, campo da gioco ed ora sarà persino terrain de football, egocentrico, insopportabile, fortunatissimo nella vita. Aiutatemi voi. E se il suddetto bambino rossonero (bei colori, bravo, peccato per la nazionalità) chiedesse ad un Citizen? Traducete tutto in inglese, ho un attacco di pigrizia. Insomma, irrecuperabile. Oggi quindi mi pongo la domanda: "e se chiedesse a me?". Ebbene, trovo che le vicende meritino un approfondimento. Io ho visto due Balotelli diversi. Uno che avete ben presente. È descritto sopra. È quello della maglia dell'Inter, in cui militava, gettata a terra. Quello dell'espulsione rimediata nonostante la richiesta insolita, rara ma esplicita di evitare che succedesse da parte di Mourinho. Quello dei complimenti di una escort londinese per le prestazioni sul letto da gioco (campo da gioco non è, 90'+recupero sono tanti...). Quello delle risse in discoteca. Non c'e bisogno che renda l'idea. L'altro è molto recente, meno tendente a comportamenti estremi. Fatta conoscenza con la figlioletta Pia in precedenza non riconosciuta, ha messo su finalmente un po' di coscienza: nessuna macchina incendiata, niente freccette o petardi lanciati dalla finestra per strada, risse in discoteca o simili. Il "Why always me?" sembra essere solo il ricordo di una vecchia casacca azzurrina a scritte bianche, una di quelle che probabilmente potrebbero essere vendute insieme alle immancabili "I love NY"&co. Toh, un incidente qualche giorno dopo aver sottoscritto una clausola anti-balotellate, ma quello può succedere anche a me (tocco ferro). L'ego, invece, da smisurato è rimasto comunque decisamente importante: saranno passati forse due mesi da quando ha dichiarato di essere da pallone d'oro. Pallone gonfiato d'oro, scrissi, prima che qualcuno in redazione avesse la mia stessa idea (ci tengo a difendere il mio umile talento giornalistico). Questo per quanto riguarda la persona. Il calciatore, invece? L'utente con cui discutevo, soffermandosi sul talento dei due nonché sulla tendenza a girovagare per l'Europa, mi aveva proposto un confronto con Ibra, covergendo sul fatto che è impietoso per Mario. Al di là delle differenze di ruolo (Ibra seconda punta equivale alla morte del calcio e dell'allenatore, la seconda per mano dello stesso svedese), l'ex Målmoe-Ajax-...("completa la sequenza", nuovo giochino per bambini appassionati di calcio) ha più fisico, potenza, classe e soprattutto professionalità. Balotelli 1.0 non era neanche lontanamente un professionista serio, bensì viveva del suo talento. Ergo, di rendita e mai riconoscente nei confronti di nessuno. Neanche di quel Mancini che lo aveva portato in prima squadra, lanciato in A e, dopo che Mourinho lo tenne decisamente in considerazione benché con carota e bastone, portato alla top of the table della Premier in un anno finito di diritto nell'album dei migliori ricordi sportivi ("Aguerooooooo!", cit.) insieme alla finale di Eurolega tra CSKA Mosca ed Olympiakos Pireo, summa summarum del basket, che si tenne la sera stessa (che giornata incredibile). Ecco, persino con quel Mancini ogni tanto litigava. Inezie. Alla prima esperienza con il Milan, cui giunse dopo un glorioso Tapiro d'Oro e la bufera per aver accettato con un sorriso smagliante la maglia rossonera con il 45 (colui che per viltade non fece il gran rifiuto), vidi col tempo qualcosa di diverso. Anche solo perchè tifoso, cominciò ad invertire la rotta, a dedicarsi di più al suo lavoro (lavoro, sì, beato lui), ma era ancora, a tratti -non infrequenti-, uno splendido Balotelli 1.0, fiammante quanto le sue auto. E così, lasciando una tifoseria spaccata sul suo addio con l'emblematico ricordo di una rete incredibile al Bologna in un match giocato per il resto in maniera quasi irritante per un cuore rossonero come il mio, nuova avventura oltremanica: Reds. L'eredità pesantissima del cannibale Suárez -viva le polemiche sul sapore di Chiellini. Imparare il professionismo da sua maestà Steven Gerrard. Non camminerai mai da solo. Iniziò con una rete difficilissima ai gironi di Champions contro una squadra ampiamente alla portata in casacca verde. Ludogorets, forse. Come Brendan Rodgers sia riuscito a faticare fino all'81' non si sa, ma questa è un'altra storia. Poi? Niente, svanì. Qualche infortunio, ma soprattutto cadde sotto i colpi dell'indolenza (sicuramente avrete sentito Gerrard spiegare che Balotelli non sapeva e non voleva difendere in occasione dei corners). Alla terza militanza a Milano, quella città che con le 5 famose giornate di ribellione agli Austiaci nel marzo 1848 diede il via al Risorgimento di cui fu protagonista il valnisotto Garibaldi (sotto la cui egida Balotelli stesso si è posto proprio ieri, ipse dixit... ma tutto torna), sembra che sia evaporato molto del suo talento. Non è salito più di tanto alla ribalta mediatica, non si è distinto per un eccesso di visite alle discoteche, non ha incendiato nulla. Un ragazzo d'oro, diciamo. Eppure, nonostante il patrocinio e le difese da parte del serbo Mihajlović disposto a rilanciarlo ma mai astenutosi dal richiedere severamente applicazione, abnegazione e ripiegamenti difensivi per quanto possibile, nell'anno in cui il mondo milanista schianta inesorabilmente e senza nessuna pietà il croupier Cerci, ancora evidentemente alla ricerca del calcio che conta, un Balotelli oggettivamente più coscienzioso, caratterialmente recuperato e dedito al suo mestiere ingrato di calciatore non riesce ad aprire i cuori rossoneri. È mesto addio con un gioiello a giro da fermo all'Udinese si Colantuono, un rigore ed una rete su azione ai danni dei grigi dell'Alessandria in Coppa Italia e rimpianti per quello che avrebbe potuto essere, ma nemmeno lontanamente è stato. E così, ineluttabile ritorno al Liverpool, da separato in casa Anfield fin da quando l'aereo atterra. È chiaro il motivo per cui Klopp non abbia puntato su di lui: non si poteva costruire una squadra attorno al Balotelli incosciente, non lo si può fare ora che appare appassito. La ruota della fortuna, lanciata a folle velocità dalla sapiente mano del suo procuratore in veste di Mike Bongiorno, si ferma, dopo qualche esitazione su Chievo, Lazio, Bologna e Palermo, a Nizza. Considerata l'accoglienza da parte dei tifosi, ha il sostegno necessario. Se la società lo ha scelto punta su di lui. Non ha addosso lo sciacallaggio mediatico italiano od inglese -il suo ego ridotto, ma non svanito, prova ancora piacere nel sentirsi nominato da Sport Mediaset e quant'altro, ma forse non più a ritrovarsi costantemente il fiato giornalistico sul collo. Sostiene di stare bene sul piano fisico. Insomma, ha tutto quello che gli serve per provare a ritrovarsi. Si può certamente dire che è stato baciato dalla dea bendata nelle vesti del suo procuratore eccezionale (nel suo lavoro), perché ci sono ragazzi che molto più di lui avrebbero meritato così tante chances ma di cui non hanno visto nemmeno l'ombra. È motivo di invidia, onestamente, tanto questo quanto il suo stipendio da anni francamente sproporzionato. Non ho nulla contro di lui, ma -e un po' mi dispiace visto che rimane un talento giovane, di 26 anni o giù di lì- non starò a chiedermi per l'ennesima volta "è la volta buona?" (scusate il gioco di parole). Semplicemente, credo che lo sia e non ho dubbio che dai media, cavalcando quell'onda di intensi (è sempre così, nel calcio, tutto è esponenziale) sentimenti dall'invidia, al fastidio, al rimpianto, ai ricordi, all'incredulità e chi più ne ha più ne metta, ne riceverò notizie, a prescindere dal fatto che ne vada in cerca o meno. Un'ultima questione discussa del Balotelli calciatore è che non sembra avere un minimo di passione per ciò che fa. Questa è una costante della sua carriera, escluse rarissime occasioni (e.g. l'esultanza con la Germania agli Europei di 4 anni fa), ed è uno dei motivi per cui gli si dà ancora addosso come se fosse lo stesso irrecuperabile matto che per motivi disciplinari non venne messo sotto contratto nelle giovanili di diverse squadre che lo visionavano quando era ancora un U15 ed in cui il Lumezzane, il solo o per primo, decise di credere. Per capire tutto di quella figura che è stato ed è Mario servirebbe rivedere la sua carriera con attenzione, analizzando in parallelo il focus che facevano i media su di lui. Ma ciò richiederebbe molto più tempo di quel che ho dedicato, tanto da farmi pensare che sia preferibile dare una ripassata alla carriera di un uomo che -sportivamente- mi manca di più piuttosto che alla sua. Del tipo, Paolo Maldini: il calciatore, l'uomo, la leggenda, il Milan. Magari un'altro giorno.