È l'invictus dell'intero panorama calcistico europeo che parla, se si rivolge lo sguardo ai maggiori campionati europei. Il giovane Julian Nagelsmann, nato un mese dopo Lionel Messi (che ci fa sulla panchina, direte? È la storia di un ragazzo lottatore con il calcio nel cuore e, francesismi e germanismi permettendo, due fußbälle così), ha la grinta e la sicurezza del condottiero che non conosce sconfitta, sempre che non sia destinato ad essere tale l'esito dell'intrigante sfida, prevista per domani pomeriggio, con la vice-capolista nonché altrettanto sorprendente matricola RB Lipsia, guidata dall'austriaco Hasenhüttl. Ebbene, nella sua ultima intervista Nagelsmann sostiene che nell'adorata Serie A nostrana si segni poco e non ci sia spettacolo. Il sottoscritto si trova in disaccordo, dunque si sente in dovere, con la dovuta umiltà essendo di fronte ad un preparatissimo wunderkid (più o meno) della panchina tedesca, di difendere puntigliosamente -sembrerà strano, si dirà, da italiano- il calcio dello Stivale. In primis, lo spettacolo non è la sola corsa o il solo numero di segnature. Questo è il motivo per cui in campo europeo le esponenti di una Premier League che sembrebbe essersene dimenticata dai tempi del beloved Sir Alex non si esprimono più ai livelli di alcuni anni fa, pur godendo di un benessere economico invidiabile che permette loro di offrire lauti stipendi nel tentativo di accaparrarsi i calciatori più talentuosi. Non è un caso se giungono dal Belpaese dei maestri della tattica prima il bistrattato e ostracizzato (nulla di strano, l'ὀστρακισμός, ostracismo, è antica prerogativa ellenica) dalla Grecia Claudio Ranieri ed a ruota il leone indomabile Antonio Conte e spingono il centravanti dei Tre Leoni Harry Kane a dichiarare battaglia ai Mister italici che si intromettono fra i suoi Spurs e la top of the table. Ed è lo stesso motivo per cui al Signal Iduna Park di Dortmund, se la gestione della transizione offensiva ed il gegenpressing che offrono i gialloneri di Tuchel sono magistrali (godere delle qualità di Reus, Mor, Dembélé, Weigl e Pulisic nonché della rapidità del rimpianto ex Milan Aubameyang, frutti dei -capo-lavori del ds-zauberer Michael Zorc, è decisamente di aiuto), la transizione difensiva ed i vani tentativi di temporeggiare in situazioni di difficoltà e palla scoperta per permettere ai compagni sbilanciati in avanti di riposizionarsi purtroppo continuano a costringere il sottoscritto, da amante del BVB (quanto a calcio tedesco, ma il Milan è la vera fede) quale sono, a strapparsi i capelli più volte a partita. Lo spettacolo non è il solo atletismo né la spasmodica necessità di entusiasmare al vedere la rete avversaria violata: è spettacolo è l'attenzione per ogni particolare che mette in evidenza i gesti tecnici, dall'interpretazione del match, dalle letture ed organizzazione difensive, dai cambiamenti in corso d'opera alla mano del tecnico che incide sull'andamento della partita, alla capacità di adattarsi all'avversario e di pungerlo lì dove ci sono imperfezioni ed assenza di automatismi, alla convinzione nello sfruttare le proprie qualità, quante e quali che siano. Il più che celebrato Napoli di Sarri, non è spettacolo solo perché gli azzurri segnano a raffica, ma anche per il modo in cui si muovono i giocatori per offrire linee di passaggio, per il numero di tocchi con cui gestiscono il pallone, per il modo in cui escono dal pressing se qualcuno si azzarda a tentare di azzannare la creatura di Sarri alla gola, per il modo in cui fanno l'elastico i 4 dell'ultima linea davanti a Reina e per le difficoltà che incontrano (Maksimović) o hanno incontrato (tutti, chi più chi meno) nell'abituarsi a prestare attenzione continua. Non c'è solo la classe di Mertens e Hamšík o il talento di Insigne o le incursioni di Callejón, perché anche Rafael Benítez li aveva a disposizione, eppure... Parimenti, spettacolo non è solo il tridente blaugrana delle meraviglie, ma anche la sapienza tattica di Sergio Busquets, né la sola visione di gioco di Luka Modrić o di Toni Kroos, ma anche il lavoro sporco di Casemiro. Appurato che la definizione di spettacolo si erge su fondamenta meno appariscenti di quanto sembrerebbe ad un primo impatto, va aggiunto che la Serie A sta cambiando, pur mantenendo l'attenzione e la disciplina tattica come tratti distintivi e non da oggi. È inusuale, tuttavia ritengo doveroso allegare il link di un'analisi piuttosto approfondita relativa a questa evoluzione, rara gemma di giornalismo sportivo che farà senz'altro impallidire il mio umile pezzo, con la certezza che un vero appassionato di calcio, non appena ci sia tempo a disposizione, se la gusti: http://www.ultimouomo.com/la-rivoluzione-tattica-della-serie-a/. L'inversione di tendenza che l'aumento delle segnature in A indica sarà ancor più evidente nel giro di qualche anno: da questa stagione in Italia si punta con estrema decisione sulle nuove leve. È sufficiente un fugace pensiero all'Atalanta, al Milan, alle intenzioni di Sousa e Corvino, al Sassuolo, alla Juventus ed ai bersagli di mercato di Paratici, agli investimenti a centrocampo del Napoli per rendersene conto. La stessa Lazio coltiva diversi giovani di prospettiva, la Roma conta su un settore giovanile all'apparenza in ebollizione, l'Inter è stata dichiarata all'inizio di un progetto che abbia giovani italiani come fondamenta, ma ragazzi di talento vogliono emergere anche nella Torino granata, sotto entrambe le sponde della Lanterna genovese, a Bologna, Udine e Pescara. Nuove leve destinate a vivere una fase di transizione in atto ormai da tempo ed a maturare con essa mediante un reciproco contributo. Non una Serie A dedita alla sola offesa, è impensabile che dalla scuola di Coverciano escano allenatori che tralascino la preparazione difensiva di un match, ma certamente più equilibrata nelle intenzioni, nello sviluppo del proprio gioco, nella propositività. In conclusione, un rispettoso consiglio a Nagelsmann, dovesse mai affacciarsi davvero alla panchina dello Juventus Stadium: che rivolga un'occhiata alla Serie A attuale nella sua interezza, perché essa ha l'abitudine di rigurgitare qualsiasi allenatore che non la conosca a fondo (de Boer docet, avendolo recentemente sperimentato sulla propria pelle oranje). In ultima istanza, quelle che furono le idee rivoluzionarie del vate di Fusignano non sembrerebbero tanto obsolete: Klopp, predecessore del mentore (Tuchel) dello stesso Nagelsmann, Ancelotti, altro allenatore di vertice in Europa, e lo stesso Sarri alla ricerca della grandezza hanno dichiarato in tempi recenti di trarre ispirazione dal suo lavoro. La chiave è l'interpretazione delle idee, adattate alle dinamiche moderne.