Siamo ad inizio febbraio e l’Inter è in preda a una crisi di risultati e d’identità. E cosa c’è di nuovo? I nerazzurri ci hanno ormai abituato da anni a questa situazione. A farne le spese è stata per l’ennesima volta la Coppa Italia, ma potrebbe rimetterci anche la stagione intera: la qualificazione alla prossima Champions League ed un buon cammino in Europa League dipendono dalla fuoriuscita o meno dell'Inter da questa crisi. L’anno passato Spalletti riuscì a mettere riparo alle lacune di gioco e personalità manifestate a più riprese, quest'anno gli interisti auspicano che possa farlo il prima possibile, per non compromettere la stagione a causa di questa solita crisi d'inverno. Vien da chiedersi dunque a cosa siano dovuti questi problemi che affliggono periodicamente i nerazzurri. 

PERSONALITÀ, GIOCO, PROGETTO – Partiamo dall’oggi. Innanzitutto preoccupa l’atteggiamento dei nerazzurri: non mi riferisco solo al campo, ma anche e soprattutto alla testa dei giocatori. È da qui che non parte il piglio giusto verso la ricerca del risultato. A inizio stagione l’approccio alle partite – fatto di tanta superficialità – era un segnale preoccupante, però rinfrancato dai puntuali recuperi ai gol subiti; ora invece quest’atteggiamento resiste in tutto l’arco dei match. Il morale dei nerazzurri è evidentemente crollato alle prime vere difficoltà, dimostrandosi fragile e incapace di reagire alla cocente eliminazione in Champions League. Si tratta sicuramente di un limite dei giocatori, ma anche del tecnico: a mio avviso Spalletti doveva rimediare a quest’attitudine fin da settembre. Ora la situazione gli sta sfuggendo di mano. In aggiunta a ciò, adesso si avverte anche l’assenza di un’identità di gioco definita, su cui aggrapparsi: la squadra manovra molto lentamente con la palla, i reparti si sfilacciano in modo notevole fra loro e i movimenti senza palla in profondità sono pressoché nulli. A mio avviso inoltre, l’Inter sta pagando anche il tentativo di rendere Icardi più partecipe alla manovra, allontanandolo da compiti di pura finalizzazione. Manca inoltre l’apporto di alcuni uomini chiave, come Perisic e Nainggolan (in fase d’involuzione). L’unica nota lieta in questo contesto è la difesa, tecnicamente molto valida. Dal canto suo l’Inter ha da sempre proposto un calcio speculativo, basato sulla flessibilità, sulla versatilità nell’affrontare e sfruttare le debolezze dell’avversario. Di allenatori con una loro idea di calcio, fatta di princìpi ben identificabili sui quali plasmare squadra e gioco, ne son passati pochi e con risultati disastrosi. Penso a Gasperini e De Boer. Due allenatori e due fallimenti diversi, che hanno però un identico denominatore: la totale mancanza di un progetto tecnico-tattico su cui innestare il proprio calcio. È chiaro che questa categoria di tecnici ha pregi e difetti (come tutti d’altronde), ma in fase di costruzione di un progetto tecnico costoro sono l’ideale, poiché creano innanzitutto una base tattica, un’identità, uno spartito al quale affidarsi anche in periodi di incertezza come quello che sta attraversando l’Inter. Inoltre, come recentemente sostenuto da Fabio Paratici (direttore sportivo della Juventus) in un’interessante intervista concessa a Sky Sport, cercare sul mercato giocatori funzionali ad uno schema di gioco è più semplice per un diesse. Questo elemento, di rilevante importanza, avrebbe facilitato molte scelte di mercato del post-triplete, magari risparmiando ai nerazzurri alcuni flop in entrata e in uscita, permettendo così di impiegare con più raziocinio i pochi soldi a disposizione. All’Inter non si è mai seguita una linea di questo tipo, la dirigenza ha sempre dato l’impressione di voler rilanciare in fretta e furia la società, pur senza avere mai un disegno, un programma ben chiaro. La situazione attuale va letta in quest’ottica. L’anno scorso fu scelto un tecnico di relativo successo, capace di far maturare i suoi e di conseguire risultati, ma che si dimostra inadatto nel guidare la propria squadra alla vittoria di qualsiasi trofeo. Ed ora la squadra gravita per l’ennesimo anno in una crisi di risultati e gioco.

MERCATO E STRATEGIE SOCIETARIE – Come già accennato nel punto precedente, l’Inter ha spesso pagato la mancanza di un indirizzo tecnico cui far seguire delle precise scelte in termini di uomini, che si tratti di acquistare, cedere o promuovere dal vivaio. Diversi siti hanno bollato il club nerazzurro come il peggiore nella storia del calcio per quanto riguarda le cessioni. E' superfluo menzionare ancora una volta vari acquisti come Carini, Coco, Dodò, Jonathan, Kuzmanovic, Rocchi, Alvarez a fronte di cessioni come Bergkamp, Roberto Carlos, Pirlo, Seedorf, Cannavaro, Bonucci o Coutinho. Basta volgere lo sguardo a quest’estate per notare come – nonostante si fosse riacciuffata la Champions League dopo ben sette anni – la società si sia ostinata a perseguire ancora una volta una strategia contraddittoria, preferendo fare a meno di due rivelazioni come Cancelo e Rafinha e ripartire, puntando sui soliti giocatori di esperienza e ‘carisma’. L'Inter s’è lasciata sfuggire i due, preferendo soprattutto risparmiare i quaranta milioni destinati al riscatto del portoghese per investirli su Nainggolan, trentenne e poco incline alla professionalità. Per di più sacrificando il gioiellino Zaniolo sull’altare delle plusvalenze e dell’esperienza, di quella filosofia dei “giocatori pronti, per vincere subito”. I risultati, ad oggi, sono sotto gli occhi di tutti.
L’ennesimo riscontro di questa fallace mentalità lo si è avuto in occasione di una delle ultime uscite di Ausilio, il quale ha auspicato che il sacrificio di Zaniolo possa riportare l’Inter a vincere. Ad oggi Zaniolo è una delle maggiori rivelazioni del nostro campionato, ed una promessa assoluta nel panorama calcistico mondiale; Nainggolan è invece un giocatore in declino, un lontano parente del centrocampista box-to-box ammirato nella Capitale, dedito ormai alla movida e ad una sregolatezza che pregiudica la sua stessa condizione fisica.

L’Inter ha tutti i mezzi economici per stabilizzarsi, puntare alla vittoria di qualche trofeo e magari tornare sulla vetta della Serie A e d’Europa, ma per fare ciò doveva già da qualche tempo dotarsi di un programma di sviluppo più logico e graduale. L’Inter non deve dimenticare di avere un pubblico eccezionale, numeroso, appassionato e fedele, che è stanco di vedere la bacheca all’asciutto dal lontanissimo 2011. Un pubblico che non merita lo spettacolo indecoroso offerto nelle ultime uscite, da una squadra senza gioco e personalità, incapace di piegare il PSV in un match importante e delicato.
San Siro merita un calcio offensivo, fatto di coraggio e determinazione, perché solo con lo spettacolo (e con le vittorie) si può ricompensare un popolo unico. Icardi si segni queste parole.