Gian Piero Gasperini l'aveva detto, voleva vincerla. E l'ha fatto. Senza troppi patemi.
La Juventus sette volte campione d'Italia, finora imbattuta in ambito nazionale, è caduta al cospetto della dea, in maniera fragorosa. Quella che alla vigilia era considerata una delle grandi pretendenti del continente per il triplete - a dispetto di qualche importante elemento rimasto fuori - è stata schiacciata sotto tutti i punti di vista: innanzitutto (e soprattutto) ha prevalso la voglia dei bergamaschi, ma ha prevalso anche il gioco e su quest'ultimo c'erano pochi dubbi già dalla vigilia.

Se oramai non stupisce più vedere la banda del Gasp arrivare al gol con estrema facilità (anche contro una delle migliori difese al mondo) o difendersi attuando un pressing nel quale tutti si muovono all'unisono, stupisce la volontà di fare proprio il passaggio del turno, che traspare dall'elevata aggressività portata fin dal primo possesso dei bianconeri (come testimoniato dal primo gol) o dall'immediato riattacco sui palloni persi. Certo, di contro la Juve ci ha messo del suo, peccando di voglia, superficialità e convinzione come raramente era successo negli anni passati. Anche Cristiano Ronaldo è stato evanescente, ma qui mi ricollego ai meriti degli atalantini, che non hanno concesso nulla ai ben più blasonati avversari. 

L'Atalanta è una macchina collaudata quasi alla perfezione, sotto tutti i punti di vista. Il Papu è ovunque: in cabina di regia ad allargare gioco e compagni sulle fasce, su entrambi gli out in avanti, pronto a favorire catene con gli esterni, accentrarsi per calciare o dettare giocate in profondità a Zapata, che si butta con velocità negli spazi e difende la sfera con la sua forza, per poi premiare gli inserimenti dei compagni all'interno dell'area. Ma finalizza anche. E quanto finalizza. Se l'Atalanta ha raggiunto un livello mai visto, lo si deve anche allo straripante stato di grazia del colombiano (senza nulla togliere a tutti i compagni), in grado di finalizzare come pochi, al momento. Il merito però va anche a tutto il resto della squadra, ai mediani Freuler e De Roon che svolgono in modo impeccabile e complementare entrambe le fasi; come gli esterni d'altronde, pronti a sovrapporsi, a crossare, a inserirsi in area sui cross, ma anche a ripiegare e creare superiorità quando si difende. Non va trascurato infine il lavoro del reparto arretrato, anch'esso capace a dare il proprio apporto in entrambe le fasi: infatti oltre a difendere egregiamente come in questo quarto di coppa, la difesa bergamasca può annoverare tra le sue fila anche il difensore-goleador Gianluca Mancini (stasera assente), fra i centrali più prolifici d'Europa, ma anche un difensore di livello come Toloi che guida il reparto come un veterano e supporta anche la manovra, proponendosi con frequenza in avanti, talvolta finalizzando o servendo gli inserimenti dei compagni. 

Insomma se oggi più che mai l'Atalanta è un capolavoro tattico e ambientale (non dimentichiamo i tanti giovani - anche provenienti dal vivaio - valorizzati a questi livelli, inutile fare ancora i nomi) il merito va soprattutto a Gian Piero Gasperini. Spesso bisogna anche essere fortunati a trovare una società così seria e ben strutturata che ti mette nelle condizioni ideali di esprimerti, ma non bisogna dimenticare che a questo punto il Gasp ci è arrivato dopo una dura gavetta.
Se oggi la dea è capace di schiacciare i campioni d'Italia, di qualificarsi per due volte consecutive all'Europa League e di lottare ad armi pari contro club continentali ben più blasonati (Everton, Lione e Dortmund), di lottare per la zona-Champions, di sfornare talenti pronti ad essere venduti per fare plusvalenze monstre... il merito è soprattutto di Gasperini. L'esempio vivente che l'impegno, la passione, la dedizione e l'applicazione del gruppo esalta i singoli, la società, premia una città intera e gli appassionati di questo sport, scavalcando gerarchie tecniche e di fatturato. Quest'Atalanta è un inno al calcio.