Nel calcio, come nella vita, i successi partono da lontano. Sono frutto di percorsi fatti di idee, coraggio, sacrificio e (un pizzico) di follia. Alla base di tutto ciò raramente c’è il caso, bensì c’è la determinazione, la volontà di raggiungere uno scopo.

Il mondo Milan – dalla proprietà, alla dirigenza, fino ai tifosi – ha uno scopo: tornare grande, riallinearsi con la propria storia. Non pare però esserci unità di vedute tra Gazidis, il dirigente di fiducia della proprietà americana, e il duo Boban-Maldini, che pare altrettanto diviso su alcune questioni tecniche di sua competenza (come il caos con Giampaolo). Il Milan è in un momento di crisi profonda. Berlusconi nel 1987 avviò il più grande ciclo del Milan puntando sul gioco e su un allenatore fuori dalla tradizione come Sacchi; una scelta azzardata e rivoluzionaria, che passò per un inizio molto difficoltoso e si concluse poi nel trionfo noto a tutti. Sarebbe uno splendido gioco del destino se il gruppo Elliott ripartisse proprio dalle idee, per dare un nuovo stile di gioco e un’inedita filosofia tecnica al Milan, riportandolo in linea con la sua gloriosa tradizione.

In questi giorni, leggendo l’accostamento di Ralf Rangnick alla società rossonera, non ho avuto dubbi: sarebbe l’uomo giusto al momento giusto. Il dirigente e tecnico tedesco ha dimostrato lungo l’arco della propria carriera di avere una visione sportiva a 360 gradi, alternandosi con successo fra panchina e scrivania. I critici più scettici dicono che non ha vinto nulla ma il 61enne tedesco è stato in grado di raggiungere tutti gli obiettivi prefissati dalle società in cui ha lavorato, andando persino oltre, sia quando era all’Hoffenheim (portato nel giro di due anni dalla terza divisione tedesca alla Bundes) sia alla Red Bull. I più sono ben informati sul suo percorso relativo al Lipsia (come ben dimostrato dall’ottimo articolo "Milan, Rangnick ti metterà le ali?" del nostro blogger CarloIannac) però ignorano il fatto che Rangnick nel 2012 iniziò la sua esperienza da direttore sportivo anche nell’RB Salisburgo, la società-gemella austriaca del Lipsia. Fu da qui che il Tedesco avviò il grandioso ciclo Red Bull, dimostrandosi capace di ottime intuizioni in campo e in panchina. Giocatori, tecnici e dirigenti scelti in prima persona e formati secondo una precisa filosofia di gioco, inaugurata con la spettacolare esperienza di Roger Schmidt nel 2012. Sulla base dell’elaborazione maniacale del pressing offensivo, l’asse Salisburgo-Lipsia ha sviluppato una filiera di giocatori e allenatori di primissimo livello. Dalla galassia Red Bull sono usciti i vari Kimmich, Manè, Keita, Werner, Forsberg, Upamecano, Yussuf Poulsen, Haaland ma anche tecnici di buonissimo livello, come Roger Schmidt (passato al Bayer Leverkusen nel 2014), Adi Hutter (dal 2017 all’Eintracht Francoforte) e Marco Rose (da quest’anno al Borussia Moenchengladbach, capolista in Bundes). Tutti formati in casa e lanciati nel calcio che conta. Insomma, grazie a Rangnick i club della galassia Red Bull sono stati arricchiti da profili di primo piano – in campo e fuori -, e sono stati dotati di una buona struttura e un’unica filosofia di gioco. Certo, la Red Bull aveva molto da investire, ma tutto è stato fatto nel miglior modo possibile. Spettacolo, plusvalenze, brand e fatturato alle stelle.

L’esperienza, la personalità e le competenze di Rangnick sono proprio ciò che servono al Milan in questa fase della sua storia. In più Rangnick è un devoto sacchiano: a ispirare il suo credo calcistico è stato proprio l’Arrigo, i cui principi di gioco della zona e del pressing furono studiati in una VHS speditagli da un amico italiano, come raccontato su redbull.com (https://www.redbull.com/it-it/rb-lipsia-storia-curiosita-napoli). Pertanto Rangnick condivide col tecnico più simbolico della tradizione milanista gli stessi aspetti tattici che hanno reso grande il Diavolo, ma in chiave 2.0 (il pressing si è spostato diversi metri più in avanti, si è sviluppato il moderno gegenpressing, l’intensità si è moltiplicata rispetto al passato e non solo). Rangnick al Milan sarebbe la quadratura del cerchio.

Tuttavia per strapparlo alla Red Bull servirebbe un progetto nel quale gli venga data carta bianca, così da essere coinvolto in tutti i rami gestionali del club, come ha recentemente dichiarato a skysports.com: “Se lavorassi come allenatore o come direttore sportivo, darei solo il 50% rispetto a quanto farei con entrambe le cariche”. Come dargli torto? La figura allenatore-diesse ha un altro precedente in Germania: Felix Magath. Sì, proprio lui, il giustiziere della Juventus nella Coppa Campioni 1983. Magath riuscì a combinare al meglio le due cariche nella prima esperienza al Wolfsburg, fece rapidamente crescere il club della Volkswagen e lo condusse alla vittoria della Bundesliga 2008-09; un po’ meno bene fece nelle successive esperienze allo Schalke04 e di nuovo al Wolfsburg, quando le rispettive dirigenze gli conferirono pieni poteri, senza però essere ricompensate dai risultati, che furono disastrosi (escluso il secondo posto in campionato nella prima stagione allo Schalke). Dunque proprio le vicende di Magath rivelano la croce e la delizia del ruolo che il Milan potrebbe assegnare a Rangnick. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, che molto facilmente diventano soverchianti. Ancor più perché racchiuse in un'unica figura.

E’ naturale che i tifosi milanisti, alla luce di tutto ciò, possano porsi delle domande: quello dell’allenatore-manager è un modello di successo? E’ applicabile anche in una realtà così complessa e particolare, come quella Italiana e milanista? Dipende, da tanti fattori. Rangnick al Milan farebbe pulizia di tutto e tutti attorno a sé, Gazidis escluso. Il primo a fare le valigie sarebbe indubbiamente il contraddittorio e arrogante Boban; Maldini invece sarebbe una figura fondamentale nell’approccio al Milan e al nostro calcio. Ci sarebbe da valutare l'aspetto ambientale: il nome di Rangnick difficilmente scalderà gli animi dei tifosi; in più se il mercato e i risultati non dovessero soddisfare la piazza, il clima diventerebbe subito incandescente. Consapevoli di questi rischi, si potrebbe sviluppare con pazienza un complesso stile di gioco sul quale strutturare l'intero club, dalla prima squadra fino al vivaio? Difficile, ma non impossibile.

Ciononostante, fossi nella proprietà rossonera prenderei quel visionario di Rangnick, dandogli fiducia e carta bianca. Se la merita, ancor più in un club prestigioso come il Milan. I rischi sono alti, ma il potenziale di riuscita - se quasi tutto andasse bene - lo sarebbe di più. Si toccherebbero vette astronomiche, direi. Un antidoto contro l'anarchia nella quale è sprofondato questo club, un pizzico di follia, qualcosa di inedito per il nostro calcio. D'altronde, come diceva Erasmo da Rotterdam: “le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia”.