Con la sentenza n. 17547 depositata il 3 settembre u.s., la Corte di Cassazione aggiunge un altro pezzo al puzzle sempre più confusionario di Calciopoli. Ebbene, secondo la Cassazione non fu l'Inter a commissionare lo spionaggio dell'arbitro De Santis operato da Tavaroli e Cipriani, nonostante lo stesso Tavaroli avesse dichiarato di aver ricevuto l'incarico da Giacinto Facchetti. Il quale, pace all'anima sua, era venuto a mancare (toh!) qualche giorno prima la deposizione, quindi non poteva offrire riscontro. Ergo, la testimonianza di Tavaroli non ha rilevanza probatoria. Invece per la Cassazione furono i dirigenti della Pirelli-Telecom a commissionare lo spionaggio di De Santis. Vuoi vedere che alla fine la Pirelli spiava l'arbitro per sapere quale marca di pneumatici montasse? E così dopo aver scoperto che la Pirelli spiava De Santis, oggi abbiamo saputo che Luciano Moggi non diceva delle bugie quando «riferiva» delle telefonate del presidente dell'Inter, Giacinto Facchetti. L'esito dell'improvvida querela del figlio Gianfelice ci racconta una storia parzialmente diversa da come ce l'hanno raccontata in questi dieci anni d'anni, ma soprattutto cancella definitivamente l'aura di santità che in questo decennio ha accompagnato Facchetti. Che era né più né meno come tutti gli altri. E poco importa che il giudice Magi si preoccupi di farci sapere che il comportamento del presidente dell'Inter riguardasse circostanze meno gravi rispetto a quelle di cui è accusato Moggi. Cotanta paraculata serve solo a ricordarci una volta di più che il cattivo della storia doveva essere solo uno: Luciano Moggi. E l'Inter? ci dispiace, ma come disse qualcuno: «non interessa».