Una partita si è disputata nella nebbiolina e nel gelo dello stadio Dall’Ara di Bologna. Con tanto di arbitro, assistenti, giocatori e allenatori. Tutto da regolamento. Ma in campo si sono visti dei fantasmi.

Ci si aspettava, alle fine ingenuamente, un riscatto del Milan dopo la disfatta greca. In realtà gli unici fantasmi, visto anche il colore bianco delle maglie, sono stati proprio i rossoneri. Abulico, lento, apatico, inconsistente e spettrale: il Milan è riuscito, con tali ingredienti, a confezionare una visione da stato inconscio sotto ipnosi. E’ lecito chiedersi se la nebbia non sia stata troppo clemente. Una coltre più decisa, che tutto avvolgesse, sarebbe stata opportuna e caritatevole.

Il Milan, quarto in classifica, non è riuscito a creare un’occasione da gol contro un Bologna in crisi e terzultimo.

Alla fine del primo tempo l’arbitro non recupera un secondo, lasciando agli spettatori tutto lo spazio possibile per scatenare finalmente lo sbadiglio libero e per adempiere ai propri bisogni spirituali e corporali. C’era comunque la speranza per una seconda frazione di altra caratura; dopotutto, ragazzi, questa è la serie A!

Invece l’unica azione milanista degna di nota arriva al 53’. Un triangolo che il turco Calhanoglu conclude in malo modo, in linea con l’ennesima brutta prestazione.

Il rinascimento rossonero può attendere. Rieccoci al gattonare, anziché camminare o, per carità, correre: a quel “milanino” eterno bambino che traccheggia e non conclude, con un finale dove l’ennesima ingenuità – stavolta di Bakaioko, che si fa espellere come uno scolaretto, al 75’ – fa svegliare persino un Bologna che già nel primo tempo aveva indossato il pigiamino della buonanotte e messo la borsa dell’acqua calda sotto il cuscino.
Ci pensa infatti Orsolini a scongelare Babbo Natale Donnarumma e a dare un brivido finale che non sia di freddo. Al portiere sfugge il pallone calciato dal bolognese su punizione laterale, e buon per il Milan che nessun avversario sia abbastanza pronto a ribattere in rete.
Alla fine è amarcord tra Rino Gattuso e Pippo Inzaghi. I due amiconi si sono ritrovati. Erano giocatori e professionisti esemplari. Appaiono davanti alle telecamere come allenatori sereni e contenti, come nulla fosse successo (e infatti, cosa è successo?).

Pareggio buono per Inzaghi. Ma per Gattuso e il Milan è l’ennesimo passo indietro. Dopo qualche prestazione discreta è arrivato il pianto greco direttamente in Grecia, e ora questo pareggino da patto della lasagna e vin brulé.
La nuova dirigenza milanista dovrebbe decidersi a dare una svolta anche in panchina. Il buon Rino che insegue i giocatori per farsi sentire è diventato uno sterile surrogato del giocatore che era, della grinta che metteva. Il “veleno”, come lo chiama Gattuso, è un po’ come il coraggio: per tirarlo fuori bisogna averlo. I giocatori vanno a zonzo per il campo e il gioco è assente come la personalità.

Il fatto che dietro a Juventus, Napoli e Inter, ci sia il Milan, concerne qualità e mistero. Qualità visibile in Europa, dove le buschiamo con quasi tutti e quasi sempre. 
E' il mistero Milan in sé: ovvero un fenomeno del paranormale, perché non raggiunge la normalità di una squadra che non sia soltanto un insieme di tristi figure a caccia di un’identità aliena tra fili d’erba extraterrestri.
Ecco, il Milan non è in serie A: gioca su Marte ed è convinto di giocarsela con i marziani. Invece è tutto un buco nero. Anzi, un maledetto buco rossonero.

 

Danilo Stefani