Dal 2011 il Milan come società, squadra e immagine è in costante sgretolamento.

Squadra da poco più che centro classifica. Il disimpegno berlusconiano è stato pagato a durissimo prezzo. Il motto era: "Vendere a persone affidabili, perché amiamo il Milan". Per fortuna. Prima il Milan cinese, con decine di acquisti sbagliati, e manager da "passiamo alle cose formali" che hanno fatto e disfatto nel giro di pochi mesi. Lo "sfascionismo" globale, insomma. Poi Elliott, gli americani dagli occhi di ghiaccio che non amministrano con il cuore ma con il fardello di un credito da recuperare. Un fondo finanziario che ci tocca persino ringraziare. Ma anche una discesa a un fondo senza fine per i tifosi. Tra una sentenza Uefa e l'altra. Tra un silenzio e l'altro. Tra un'incompetenza e l'altra.

Ora si riazzera (ancora) e si rialzano le bandiere: dopo Seedorf, Inzaghi, Gattuso, Leonardo e Maldini,  riecco infatti Maldini ma in compagnia di Boban.

Amano davvero il Milan, Maldini e Boban. Sennò chi te lo fa fare? Non certo i soldi e non la carriera (Boban era addirittura vice presidente Fifa). Ci vuole amore per fare questi passi. Tanto da perdere e pochissimo da guadagnare. Ma di più amano il Milan i tifosi, con una fede ferita ma integra, e una pazienza infinita. Tifosi che non capiscono più cosa sia il Milan; forse un progetto, forse un piano di rientro, forse un probabile altro disastro. Come risolvere, in questo calcio folle, se il primo che appare in vetrina costa venti milioni di euro e se non siamo più desiderati da giocatori di livello?

Rimane il lavoro di Giampaolo, Maldini, Boban, sperando che Gazidis non abbia sbagliato anche questa volta. 

E rimane la passione che tutto racchiude e sempre si rinnova, nonostante tutto: ma quella è patrimonio dei tifosi, nel delirio e nella metafisica senza logica e senza padroni.
Un fondo comune d'innamoramento.