Dalla disciplina ferrea di Conte alla corsa degli uomini di Gasperini, dalla condotta da buon padre di famiglia del grandissimo Carletto Ancelotti al calcio offensivo di Paulo Fonseca, tanti modi diversi di concepire il “gioco più bello del mondo”.

Ma tra tutte queste idee di gioco, ne spicca una che si avvicina maggiormente alla mia filosofia di calcio giocato: il Sarrismo, neologismo entrato di diritto nell’Enciclopedia Treccani, che così lo riassume:

La concezione del gioco del calcio propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva; per estensione, l’interpretazione della personalità di Sarri come espressione sanguigna dell’anima popolare della città di Napoli e del suo tifo.

Riassume, sì: perché oltre alla velocità e alla propensione offensiva, ci sono molti altri aspetti da considerare nel gioco brillante propinato negli anni dal tecnico napoletano. Aspetti che si rifanno tutti a quello che è stato definito come “gioco di posizione”, che a sua volta affonda le sue radici nel cosiddetto “Calcio totale” (totaalvoetbal), reso celebre dal fuoriclasse olandese Johan Crujiff.

Una definizione di gioco di posizione che ho particolarmente apprezzato è quella fornita dalla rivista “l’ Ultimo Uomo”: il gioco di posizione è un modo di vedere il calcio, la cui proposizione principale è la ricerca della superiorità (posizionale, soprattutto, ma anche numerica e qualitativa), il cui strumento è il controllo del pallone, e che si basa su una serie di movimenti definiti tramite allenamenti specifici.

E Sarri sicuramente si rifà a questo ideale, cercando di imporlo anche a Torino dopo che a Napoli ci era riuscito impeccabilmente. E’ un’idea di gioco che per prendere piede ed essere acquisita a pieno dai giocatori necessita di tempo, e forse per questo la Juve non ci ha fatto vedere ancora di cosa può essere realmente capace (a livello di gioco, non certamente di risultati). E’ un idea di calcio precisa, organizzata, caratterizzata da un pressing offensivo che non deve mai calare d’intensità durante i novanta minuti, attirando a sua volta il pressing avversario per cercare di colpire con passaggi verticali e in rapida successione, puntando molto sugli inserimenti dei centrocampisti.

E' un'idea di gioco affascinante, totale per l'appunto. Una filosofia che predilige il collettivo all'individuo, un marchingegno preciso, ritmico, tendente all'esaltazione del gioco di squadra.

Ed è un’idea di gioco dove il ruolo del mediano che si abbassa a prendere la palla e smistarla ai compagni è fondamentale, sia offensivamente che difensivamente (ed è forse sul secondo aspetto che il figliol prodigo Jorginho ha maggiormente faticato durante l’esperienza di Sarri ai Blues). Con l’arrivo alla Juventus Sarri si è ritrovato a disposizione uno dei migliori al mondo in questo ruolo: Miralem Pjanic, e diciamo che non sta deludendo le aspettative: tocca 75 palloni a partita (quasi 15 in più rispetto all’anno scorso) con una media di passaggi riusciti del 90,1% (contro l’87% della stagione passata), ha già segnato 2 gol e fornito 1 assist decisivo ai compagni.

Vedere le partite del Napoli di Sarri era una bellezza per gli occhi e non ti annoiava mai. Quei fraseggi veloci, quella cura per i dettagli perfetta, quasi maniacale, quel gioco rapido e divertente che rendeva il Napoli superiore a livello di gioco in tutta Italia è per me centrale nel mio modo di intendere il pallone.

Che di risultati poi non ne abbia ottenuti a livello di trofei (il cosiddetto bel gioco tanto parodiato sul web) è un altro discorso. Ma secondo il mio modesto parere una squadra di calcio oltre a vincere a tutti i costi deve pur divertirsi e far divertire, perché è questo l’aspetto cardine sul quale si fonda questo magnifico sport: il divertimento. Concetto che sta andando sempre più perdendosi, allontatosi forse irrimediabilmente dagli ideali per il quale era nato. Per i quali un bambino dà il suo primo calcio a una palla, per i quali ci facevamo rincorrere dalla vicina minacciosa o ci facevamo sgridare una volta rientrati a casa dopo una giornata in piazzetta.

E la favola di Sarri non può che farcelo apprezzare ancor di più. La storia dell’impiegato di banca che diventa l’allenatore della Juventus, di una persona che ha creduto nei propri mezzi e ha investito tutto in quel calcio che ama alla follia, come tutti noi. Ed è per questo forse che la sua figura mi e ci affascina: perché è un esempio che col lavoro duro, le idee giuste e un pizzico di follia si può arrivare ovunque. Che non serve per forza essere un ex giocatore per arrivare ai massimi livelli, come non serve per forza avere dieci lauree honoris causa per diventare qualcuno, un giorno. Servono testa, passione, determinazione. E, perché no, un pizzico di fortuna, che non guasta mai.

Se sarà proprio Sarri l’uomo giusto per scongiurare la maledizione Champions non lo so, ma sono sicuro di una cosa: ci farà divertire e, fedele a questa filosofia, vincerà sempre a priori.