Superata la trentesima giornata di campionato, con 11 punti di distacco dalla seconda e con una lotta serrata tra cinque squadre per gli altri tre posti Champions rimanenti non si può ancora dichiarare che l’Inter abbia vinto lo scudetto, ma è legittimo dire che è tutto nelle sue mani e che una mancata vittoria del campionato a questo punto sarebbe un harakiri clamoroso (non che l’Inter sia nuova a queste pazzie…). E allora, da buon detrattore di Conte faccio un po’ il punto della situazione per come ho visto progredire la stagione in corso.

Per prima cosa mi sono dovuto ricredere su Conte come professionista, l’avevo etichettato come “gobbo” e non avrei scommesso sul suo apporto convinto alla causa interista, e invece devo dire che ha dimostrato un attaccamento nei confronti non tanto dei colori nerazzurri, ma di questo gruppo e soprattutto dei giovani che ne fanno parte che non avrei creduto di vedere. Vederlo strattonare Hakimi dopo un recupero palla alla fine di una delle tante partite sofferte viste negli ultimi mesi, o vederlo correre e saltare addosso al gruppo in festa dopo il gol di Darmian nell’ultima partita giocata sono scene che non mi sarei aspettato di vedere.

Detto questo, passiamo all’aspetto tecnico. Continuo a sostenere che Conte per diventare un allenatore top da tutti i punti di vista debba fare quel salto di qualità che gli consenta di comprendere che non ci si può schierare con lo stesso modulo e la stessa idea di gioco indipendentemente dall’avversario che ci si trova davanti, allo stesso tempo va detto che nell’ultimo periodo ha trovato un equilibrio tattico tale che in realtà il modulo con cui viene schierata la squadra è soltanto una serie di numeri che non spiegano nulla del modo di stare in campo dei giocatori. Durante i vari momenti della partita si vedono svariati moduli che mutano in modo omogeneo in base alle fasi di gioco; per fare alcuni esempi, in fase di impostazione uno dei centrocampisti si abbassa sempre accanto a De Vrij, con i terzi di difesa che si allargano a formare una linea a quattro, con una sorta di 4-4-2 in cui gli esterni di centrocampo sono pronti in caso di ripartenza a salire, presumibilmente uno andando al cross e uno entrando in area assieme a uno dei centrocampisti, creando la famosa linea offensiva a quattro tanto cara a Conte (in questo caso il regista torna sulla linea dei centrocampisti e con l’esterno di centrocampo ad agire da mezz’ala offensiva si crea una sorta di 3-3-4). Allo stesso modo in fase di copertura la squadra si schiera quasi sistematicamente con un raccolto 5-3-2, orribile da vedere quanto efficace ai fini del risultato.
Per cui, per quanto non mi piaccia vedere costretto alla fase di impostazione un giocatore come Skriniar, tra i migliori marcatori al mondo a mio avviso, ma con un piede non molto educato, o obbligare Lautaro a fare un pressing a tutto campo per 90 minuti facendogli perdere poi lucidità negli ultimi metri, devo ammettere che al momento il sistema funziona, per cui, come si dice in gergo “squadra che vince non si cambia”. Mai frase fu più azzeccata visto che l’Inter ha inanellato 11 successi consecutivi, anche se, soprattutto nell’ultimo periodo, soffrendo molto e dando sempre l’impressione che l’altra squadra meritasse qualcosa di più. Ma non si può definire un caso il fatto che nelle ultime 13 partite abbia subito appena 4 gol, di cui la fortunosa punizione di Milinkovic contro la Lazio, evidenziando una fase difensiva organizzata nei minimi particolari, figlia anche di un portiere fino a qualche mese fa ingiustamente criticato e dato per bollito, e che se non fosse capitato a Milano in questi anni di insuccessi sarebbe ricordato tra i più grandi portieri degli ultimi 20 anni.

Nel frattempo, chi si è riempito la bocca dicendo che l’Inter è solo difesa e contropiede o non guarda le partite o non capisce di calcio. Il fatto che l’Inter si difenda “da provinciale” non è una necessità, ma una precisa scelta tecnica dell’allenatore. E sia chiaro, è una cosa che non tollero, perché guardare le partite dell’Inter è spesso una noia mortale e anche un discreto patimento, visto che buona parte di queste 11 vittorie sono arrivate con un gol di scarto e arroccati nella propria area di rigore. Emblematiche di questa scelta di Conte sono le ultime due partite, contro Sassuolo e Cagliari. Nella prima l’Inter ha giocato un buon calcio precisamente per i primi 10’, momento in cui è passata in vantaggio. Da quel momento, forte della propria difesa inespugnabile, si è chiusa nel suo 5-3-2 iniziando a giocare di ripartenza, approfittando del fatto che la squadra in svantaggio deve per forza alzare il baricentro e scoprirsi in fase difensiva, creando ampi spazi aperti, situazioni in cui i giocatori dell’Inter sono straripanti. Nella partita contro il Cagliari invece, non riuscendo a sbloccare la partita, la squadra ha dominato per 77’ fino al gol di Darmian, dopodiché come da copione si è chiusa nella propria area aspettando la fine del match.

Tutto questo perché uno dei principali problemi di questa squadra è la difficolta contro le squadre che principalmente si difendono, quelle nella colonna di destra della classifica solitamente, perché nel credo di Conte, fatto quasi esclusivamente di quantità, c’è poco spazio per i giocatori di qualità, ovvero quelli in grado di sbloccare una partita con una giocata nello stretto. Basti pensare che i giocatori dell’Inter, fatta eccezione per Hakimi e a volte Lautaro, raramente tentano un dribbling, creando la superiorità numerica. La squadra si affida alla forza bruta, alle azioni in campo aperto, fase in cui è micidiale, ma quando non ha questa possibilità arranca. Ed è per questo motivo che contro squadre modeste il diktat, che ripeto, non tollero, è quello di fare un gol e costringere la squadra avversaria a scoprirsi per poi colpirla in contropiede, difendendo il risultato come una provinciale. Contro i top team l’approccio è sempre stato un altro, proprio perché una squadra che tenta di fare la partita e non di subirla lascia più spazi.
La svolta tattica che però ha equilibrato questo eccesso di quantità della squadra è stato l’inserimento, manco a dirlo, di Christian Eriksen, giocatore con un’intelligenza e una visione di gioco superiori, e che soprattutto è in grado di giocare a un tocco qualsiasi pallone, guadagnando tempi di gioco e velocizzando la manovra. Eriksen, anche se con caratteristiche diverse, ha avuto sulla squadra lo stesso effetto che aveva avuto all’inizio della stagione scorsa Sensi, giocatore molto più dinamico ma con le stesse attitudini in fase di palleggio.
E anche sotto questo punto di vista quello che imputo a Conte è il fatto di averci messo 6 mesi, e solo dopo una presa di posizione della società, a capire che un tallonatore come Vidal in un centrocampo di maratoneti non serviva a nulla e che Eriksen non era un giocatore da vendere ma da valorizzare. Stesso discorso riguarda il fatto di aver costruito la squadra su tre giocatori (oltre a Eriksen) che qualche mese prima avrebbe voluto vendere in tutti i modi, ovvero Skriniar, Brozovic e Perisic. Soltanto l’impossibilità, per fortuna, di venderli ai prezzi voluti ha fatto sì che i giocatori rimanessero in rosa e che con l’impegno sia loro che dell’allenatore si ritagliassero un posto da titolare, diventando poi insostituibili.

Infine, l’ultimo limite di questa squadra è l’esagerata dipendenza dalla condizione atletica, perché un sistema di gioco come quello attuato da Conte è funzionale solo se tutti i meccanismi girano perfettamente e se i giocatori sono atleticamente al 100%. Se la condizione fisica cala, la squadra si spegne, e l’emblema di tutto ciò è Lukaku, l’indispensabile, insostituibile Lukaku. L’Inter è dipendente non dalla sua classe o dalle sue intuizioni, ma dal suo strapotere fisico. Se Lukaku non è in condizione la squadra ne risente, non perché la qualità della rosa non abbia la possibilità di farne a meno, ma perché il gioco è eccessivamente incentrato su di lui, che riceve spesso e volentieri le verticalizzazioni dei compagni, difende la palla e fa salire la squadra per poi innescare l’azione. Se viene imbrigliato lui, mancano gli sbocchi a una manovra troppo lenta e ragionata, in cui i difensori toccano più palloni dei centrocampisti per colpa di quest’assurda mania della “costruzione dal basso” costi quel che costi, accettando il rischio di perdere il pallone nella propria area invece di fare palleggio nella metà campo avversaria come fanno squadre come Napoli, Milan e Atalanta, che anche se più discontinue praticano un calcio molto più europeo.

Quindi ben vengano le grandi difese all’italiana, ben vengano i risultati riportati a casa con le unghie e con i denti, perché costruiscono le convinzioni e la mentalità dei giocatori, ma tutto ciò può bastare per vincere in Italia, magari anche con 10 punti di scarto dalla seconda, ma per dire la nostra in Europa serviranno altri passi avanti, trasformando la concretezza dimostrata in questi mesi in un calcio più propositivo, rapido e verticale, e non sono sicuro che Conte sia la persona adatta a fare questo ulteriore scalino.
Nel frattempo spero di potermi godere un meritato scudetto che a Milano manca da troppo tempo. Amala