La felicità degli interisti per la sconfitta della Juve contro il Barca è una cosa speciale. Poco fa ho incontrato dei fratelli interisti ancora in festa, ebbri, in uno stato di esaltazione quasi mistico: dopo quasi 48 ore la sconfitta della juventus non è stata ancora metabolizzata del tutto: troppa gioia non la si può digerire tutta insieme, non se ne è capaci, ne manca la comprensione. L'antijuventinità degli interisti, infatti, si radica nella psiche, è come una seconda identità: ha forgiato mente e cuori. Il vero interista è quasi più antijuventino che interista, perché i caratteri antijuventini del tifo interista risalgono alla notte dei tempi, cioè agli anni trenta, quando i nerazzurri si sentirono più di una volta derubati, grazie ad arbitraggi scandalosi, dalla Juventus, che consideravano una squadra tecnicamente molto inferiore alla loro. Tale sentimento si è poi rafforzato soprattutto negli anni '60, quando l'Inter fu defraudata di 3 scudetti e quando, DOPO che nel 1966 aveva ingaggiato Eusebio e Beckembauer, Umberto Agnelli, presidente della FIGC, decise di chiudere le frontiere, cambiando la storia del calcio mondiale. Tale sentimento si è consolidato nei decenni a seguire, fino al 1998, a Moggi e a Calciopoli, che hanno danneggiato, anche economicamente, l'Inter più di ogni altra squadra. L'antijuventinità interista, perciò, non solo non è paragonabile a quella degli altri antijuventini, ma non è minimamente equiparabile neanche all'antiinteristità degli juventini. Questa infatti è dovuta solo all'odio, che ideologizza le menti, mentre l'antijuventinità interista non è antisportiva, perché è dovuta esclusivamente al senso di giustizia, e perciò anche di rivalsa. E' una forma di testimonianza della verità, una sorta di vocazione, un po' come (con le dovute differenze e col dovuto rispetto) quella di chi è scampato ai lager nazisti.