Ora basta.
Dopo 8 giornate di Serie A il Milan 2018/19 ha la bellezza di 12 punti.
Bene. Anzi, male. Ricordate il Milan dei Cinesi e del giustamente vituperato Montella? Aveva gli stessi identici punti allo stesso punto del cammino. Solo che, mentre  “l’aeroplanino” veniva già pesantemente messo in discussione per un rendimento inaccettabile per una società che ambiva alla qualificazione Champions e che vedeva allontanarsi irrimediabilmente tale obiettivo, Gennaro Gattuso gode della massima fiducia della Società, e non solo. Inattaccabile, inamovibile.
Fatto sta che il Milan, vista anche la sua precaria situazione finanziaria (un bilancio con un rosso record e una sanzione certa dall’Uefa in arrivo) non può assolutamente permettersi di fallire ancora il quarto posto. Sarebbe drammatico perché condannerebbe il Diavolo ad un Limbo da cui chissà quando e come potrebbe uscire.
Ma Gattuso non è Montella: è milanista Vero, è uno delle leggende dell’ultimo vincente Milan ancelottiano, è un sanguigno “capopopolo”, un acclamato trascinatore stimato da tutto lo scibile pallonaro: giocatori, commentatori,  allenatori e via dicendo.  Tutte caratteristiche che evidentemente lo esimono da critiche oggettive ed opportune e dal possibile licenziamento.

Già, perché non considererei affatto un’eresia cacciare un allenatore che racimola 12 punti in 8 partite, e sono sicuro che chiunque concordi con me riferendosi a un “mister qualsiasi”, ma per Rino è diverso. Mah. E sembra alquanto strano che una proprietà che appena insediata fa tabula rasa dei suoi principali dirigenti (Fassone e Mirabelli liquidati in un batter di ciglia), perseveri in maniera così pervicace e tafazziana con cotanta guida tecnica.
Gli inglesi direbbero che Gattuso è “unfit” per allenare il Milan. Il derby (non) giocato con la paura di perdere, facendo apparire la compagine avversaria - recentemente sovrastata dalla Spal in quel di Ferrara - come un dream team di fronte al quale  è inutile persino provare a vincere,  ne rappresenta solo l’ultima pessima dimostrazione. (E non dimentico certo l’umiliante torello subito sempre al Meazza dall’ Olympiacos,  mascherato poi dai fortunosi gol nel finale). 

Sono settimane - se non mesi - che debbo sorbirmi il profluvio di complimenti alla qualità del gioco di Gattuso, al “nuovo Conte” rossonero, alle sua empatia con i giocatori, al suo essere oltre la sola grinta, ai suoi allenamenti innovativi, al suo sicuro futuro da allenatore splendido e vincente - per ora solo fallimenti - alla ridicola panzana del terzo posto teorico(!) per punti fatti dal suo insediamento nella passata stagione ecc ecc... Tutto bene, poi però le giornate passano, il quarto posto si allontana, e il Milan si ritrova, in un atroce e disperante gioco dell’oca o, più filosoficamente, in un eterno ritorno dell’uguale, alla casella di partenza dell’anno prima. E che poi si concretizza  puntualmente nel consueto e deprimente sesto posto finale, che oramai  sta al Milan come gli Scudetti stanno alla Juventus. 

Ora basta. Anzi, già  molto prima bisognava dire basta perché la Lazio ha ripreso a correre, perché ogni partita in più è già troppo tardi, e perché, come ha sentenziato un irridente e definitivo Spalletti: “Il Milan ha più qualità? Sì, ma bisogna vedere se Gattuso riesce ad usarla.” Amen.