Nell' arco della mia breve vita, mi sono cimentato nel ruolo di portiere. Sinceramente non l'ho mai fatto a livelli professionistici, perché nella mia vita ho preso altre scelte, che non rimpiango, ma mi piace pensare che avrei potuto giocare in porta discretamente. Non ho mai fatto scuola calcio ma mi sono arrangiato. Nel mezzo della mia adolescenza guardavo i video degli allenamenti e cercavo di riprodurre esercizi e movimenti in cortile, da solo, senza un preparatore, cosa che ovviamente mi riusciva a metà, perché avere qualcuno che ti lanci il pallone e ti faccia da mentore è essenziale. Ciò nonostante qualche piccola soddisfazione me la sono tolta, tanto che vedendomi giocare, c'è mi ha chiesto da che vivaio venissi e chi mi ha proposto di allenare i pulcini. Soprattutto negli anni dell' adolescenza, giocare in porta mi metteva addosso una tensione incredibile. Nonostante facessi delle partite amatoriali, per me non prendere gol era questione di vita o di morte. Sentivo addosso il peso della responsabilità di difendere la porta, la consapevolezza del fatto che non potevo sbagliare. Con il tempo ho imparato a vivere questa tensione con equilibrio, non facendomi inghiottire dal timore di commettere errori, ma mantenendo quel brivido necessario per essere sempre carico e pronto come una molla. Il portiere è un ruolo di testa, forse più di altri. L' attaccante, in un certo senso, può sbagliare con maggiore tranquillità, mentre chi sta in porta, appena fa un papera, oltre a sentirsi in colpa, è soggetto a molte più vessazioni. Rialzarsi come se nulla fosse dopo un errore, senza farsi scalfire dalle critiche, è roba da grandi portieri, come detto anche da Walter Zenga. Nel mio percorso di crescita, sportiva e personale, è stato necessario il confronto con gli altri miei "colleghi". Uno degli aspetti del portiere che mi ha sempre affascinato, è il senso di fratellanza che spesso si riscontra. Pur giocando a livelli amatoriali, mi sono confrontato con altri portieri, alcuni dei quali avevano fatto scuola calcio e nonostante l'implicito senso di competizione, spesso ho trovato persone disposte a darmi consigli e ad elogiarmi per i miei progressi. Infatti recentemente Donnarumma ha detto che Buffon lo tratta come un fratello. Questo non è l'unico caso di fratellanza esistente fra portieri, un altro esempio recente è l'applauso di Anthony Lopes a Buffon, per i super interventi di Gigi durante la partita con il Lione. Io non penso che questa galanteria sia soltanto pro forma. Forse la pesantezza, la responsabilità del ruolo, spinge ad un senso empatia maggiore fra "commilitoni", impegnati nella difesa della porta. Ma l'empatia non è solamente un sentimento bello, è essenziale per la salute mentale del portiere. Aiuta chi sta in porta a rimanere umano, elemento fondamentale per accettare i propri errori. Tempo fa Buffon ha dichiarato che spesso, dopo le partite importanti, ha qualche linea di febbre. Questo la dice lunga sulla tensione che vive un portiere. Senza un sano confronto, il peso della responsabilità per chi sta in porta potrebbe essere troppo da sostenere. Quando ho iniziato a giocare in porta stavo anch'io male, ma non per il calcio, per la scuola. La vivevo con un eccessivo senso di responsabilità. Forse sono stato attratto dalla porta da un inconscio desiderio di affrontare il peso delle responsabilità, di tuffarmi addosso alle mie paure e posso dire che fare il portiere un po' mi ha aiutato a crescere, come persona e giocatore. Il confronto fra portieri mi ha aiutato, spero( e mi sembra che sia così) che anche Gigio Donnarumma possa giovare di questa fratellanza, per diventare un grandissimo portiere ed il futuro del calcio italiano.