Sono bastati 2 mesi difficili, qualche risultato non all'altezza delle aspettative, per far precitare l'indice di gradimento di Simone Inzaghi alla piazza nerazzurra. Ancora una volta, il mondo Inter si trova ad interrogarsi sulla bravura dell'allenatore. È successo a Mancini, a Spalletti, persino a Conte e Mourinho (dopo l'eliminazione dalla Champions del 2009) e ora tocca anche a Simone Inzaghi sebbene, mai come quest'anno, l'allenatore interista abbia alibi da vendere. 

L'Inter però avrebbe ben altri problemi da risolver, a cominciare una società che ormai ha tirato i remi in barca e "pretende" che la società nerazzurra si sostenga da sola, camminando con le proprie gambe. E se questo da un lato risulta un obiettivo ammirevole che Suning si è prefissata per garantire la sostenibilità e il futuro dell'Inter, dall'altra parte sorge spontaneo chiedersi perché la proprietà non abbia fatto una virata decisa verso l'abbattimento dei costi di gestione (solo in piccola parte ridotti dal 2020 ad oggi) e perché si continui a dare il placet a Marotta e Ausilio per chiudere operazioni tutt'altro che futuribili come gli arrivi di Kolarov, Vidal, Dzeko, Sanchez. A costo zero certo, ma i tre calciatori sono costati oltre 40 milioni lordi in 2 anni e, difensore serbo a parte, hanno tutti il contratto fino al 2023.

Perché Zhang non impone una sterzata al progetto tecnico con un cambiamento anche nel modus operandi della società nel prendere alcuni calciatori (insensati in questi anni, ad esempio, gli acquisti di Correa, seconda punta che all'Inter non serviva avendo solo Dzeko come centravanti di riferimento e Lazaro, un ex trequartista trasformato in ala all'Hertha Berlino che nel 3-5-2 di Conte non aveva assolutamente collocazione tattica). È su questo che chi deve analizzare la situazione dell'Inter deve principalmente focalizzarsi perché il campo è essenzialmente il risultato di ciò che costruisci nelle fondamenta, con una coerenza societaria che deve manifestarsi nelle scelte fatte sul mercato. Assurdo è che l'Inter non abbia un vice Brozovic, l'ultimo regista basso da centrocampo a 3 presente in rosa che poteva alternarsi al croato è addirittura Borja Valero, dopodiché il vuoto.
Nel mentre, si è preso Vidal (pur avendo già Barella e Vecino), si è tenuto Gagliardini mediano da centrocampo a 2 che non ha una collocazione adatta al centrocampo a 3 perché troppo lento per fare la mezzala e non un regista che può impostare dal basso, si è dato via in prestito Sensi col risultato che anche Calhanoglu non ha un'alternativa. E la situazione non è migliore in attacco: chi ha visto giocare Lautaro nel 2018/2019 sapeva già che non è una prima punta (almeno non in Serie A). Il Toro è una "prima punta e mezzo", un attaccante fisico che però deve gravitare attorno ad un riferimento come faceva con Lukaku per potersi esprimere al meglio. Lautaro trae forza dalla possibilità di dialogare con l'altra punta, è così che può essere pericolo. Con Dzeko non c'è intesa, le due punte son sempre distanti ma d'altronde Dzeko è un regista offensivo, un organizzatore di gioco, non una "boa". E in panchina le alternative sono due seconde punte, col risultato che Inzaghi non può mai far a meno di Dzeko perché altrimenti la squadra fatica a salire.

Insomma, l'Inter ha tantissime incongruenze di natura tecnico-tattica nella sua rosa, diventa così difficile lavorare e tirar fuori il massimo soprattutto se poi iniziano a venir fuori gli infortuni senza i quali già Conte, ma in parte anche Inzaghi, aveva mascherato i limiti di un progetto poco chiaro. Zhang ormai è proprietario dell'Inter da 6 anni, Marotta ed Ausilio sono dirigenti navigati, non commettano l'errore di non mettersi in discussione perché, seppur con qualche limite caratteriale, Inzaghi resta forse il miglior allenatore che l'Inter può permettersi attualmente.