L’anno è il 2012, e il Consiglio Federale della FIGC sancisce (a partire dalla stagione 2014-2015) un cambiamento epocale: svolta che risulterà ai più attenti, nonché maturi, un ritorno alle origini; terza divisione italiana che torna infatti a essere competizione singola, come l’unica Serie C che ha contraddistinto il calcio italiano fino al 1978. È la nascita della Lega Pro, campionato da 60 squadre divise in tre gruppi, che si giocano il sogno Serie B e il salvaguardarsi dal mondo del calcio dilettante della Serie D. Nessun passaggio intermedio, stagione da non steccare e affrontare al meglio dalla prima partita. Mai è stato chiaro il motivo del cambiamento, che in questi casi comunque è sempre legato a questioni di diritti di immagine, appeal della categoria e rendiconti economici. Ma il desiderio di nuovo ha ben presto lasciato spazio alla crisi, testimoniata dai numeri, che sta mietendo sempre più “vittime calcistiche”. Ma andiamo con ordine. Queste le poche ma incisive regole poste dalla FIGC per la partecipazione delle squadre aventi diritto: 90.000 euro di iscrizione al campionato più 600.000 euro di fideiussione bancaria; stadio con capienza minima di 3.000 spettatori; controlli trimestrali sul budget finanziario. Una non regola inoltre merita la nostra attenzione: dal 2012/2013 cancellato l’obbligo di schierare i due giovani rientranti nelle cosiddette età di lega, con il regolamento attuale che prevede solo l’impiego di due giovani nati antecedentemente al 1994: davvero troppo poco! Paradossalmente, sono proprio questi i punti controversi e allo stesso tempo sintomatici del “mal funzionamento” di questa Lega Pro. E, almeno a nostro avviso, sarebbe proprio la loro modifica a poter risolvere la gran parte delle problematiche e rimettere in carreggiata un campionato ormai sull’orlo del precipizio. Niente ritorno alla vecchia formula (seppur nostalgica) di C1 e C2, niente riduzione ulteriore del numero di squadre partecipanti (le stesse riduzioni che senza cambi nel sistema hanno comunque portato alla situazione attuale), ma mutamenti in quelli che sono i fattori di una formula che possa finalmente portare al “risultato esatto”. Per forza di cose bisogna partire da un’analisi prettamente economica: tralasciando il prezzo iniziale di iscrizione (a nostro avviso giustificato per un campionato professionistico), e la questione stadio (alla quale potremmo tornare solo sviluppando l’analisi dei pochi incassi legati al poco pubblico), sono proprio i capitali e i fondi a disposizione della stragrande maggioranza delle squadre di Lega Pro il punto debole del sistema venutosi a creare. La colpa non è da attribuire, come molte volte si fa anche erroneamente (magari influenzati dai casi più vicini al tifoso medio, come quelli del Parma o del Pisa), solo a una cattiva gestione societaria. Un dato di fatto da tenere in considerazione infatti è il seguente: sebbene i recenti cambiamenti volevano portare a tutto tranne che alla situazione attuale, ad oggi il campionato di Lega Pro è una competizione dai pochissimi introiti economici. Nonostante tutti gli sforzi infatti, la partecipazione a questa Lega comporta un rapporto economico davvero basso, con i soldi delle società nemmeno lontanamente paragonabili a quelli che sono i budget di Serie A e B. Il basso target economico si lega principalmente all’assenza di ricavi provenienti da diritti tv, cosa che sicuramente non avviene in A o in B, o che soprattutto non è minimamente paragonabile alle situazioni ottimamente gestite in campionati come quello inglese. Il calcolo porta a una valutazione emblematica: il guadagno derivante dai diritti tv di Lega Pro, equivale all’1% di quello di una squadra di A. Troppo, decisamente troppo divario, pensando che stiamo comunque parlando di campionati egualmente professionistici. Ma come tornare a valorizzare, rendere seguito e allo stesso tempo ambito questo campionato? Come permettere a una competizione di livello inferiore rispetto ad A e B di tornare a essere ugualmente seguibile e seguita? La soluzione a questi quesiti si può forse ottenere andando ad analizzare il secondo, fondamentale, punto (citato prima). L’analisi quindi passa sotto un punto di vista prettamente tecnico e di organizzazione a livello di settore giovanile. Forse la soluzione di chi scrive può apparire utopistica, ma immaginare un campionato impostato in questo modo porterebbe visibilità, guadagno, e infine il ritorno a livello e apprezzamento di un tempo. E purtroppo questa alternativa prevista dovrebbe passare proprio dalla “non regola” menzionata prima: uno dei problemi fondamentali è proprio l’aver tolto l’obbligo dei ragazzi in campo, degli “età di lega”, del dover per forza lavorare (e bene) sul settore giovanile. Ripetiamo: solo due nati prima del 1994 non ci sembra una regola che possa effettivamente incentivare al lavoro sui giovani. Ma perché appunto dovremmo pensare che i giovani possano essere la vera soluzione alla crisi di Lega Pro? In cosa possono rendere più “attraente” il campionato? Ed ecco che allora giunge il momento di rivelare la soluzione forse utopistica, forse davvero irrealizzabile; ma forse, allo stesso tempo, quel dato che renderebbe finalmente la formula esatta. La soluzione probabilmente definitiva è nel basket: più precisamente nella NBA e nel famigerato quanto attraente sistema di mercato basato sul Draft. Lasciando agli esperti e appassionati della palla a spicchi la spiegazione dettagliata di cosa è il Draft e di come questo funzioni tecnicamente, bisognerebbe prendere ispirazione proprio da tale sistema per rendere la Lega Pro un campionato da tornare a seguire. Un Draft calcistico che obbligherebbe le società di Lega Pro a porre sotto contratto più giovani possibili, a lavorarci, a darne visibilità, ad obbligare le serie maggiori e di conseguenza i tifosi a tenere il tutto in considerazione: trasformare queste società negli attuali modernissimi e talentuosissimi College americani. Eventi di mercato di Lega Pro che diverrebbero un evento, migliaia di curiosi e tifosi disposti a scommettere (dopo averli seguiti su campo) a chi affidare la palma di miglior talento in rampa di lancio; su chi considerare la miglior prima scelta. Un mercato che si, dovrebbe modificare le sue radici e andare a coinvolgere anche regolamenti (almeno della Serie B), ma lo spettacolo sarebbe garantito. Prendere un campionato in crisi, rivoluzionarne la visione dall’interno e all’esterno; trasformarlo in una fucina sforna talenti, incentivare le società a mettere a disposizione il meglio del meglio per le società di livello superiore per guadagnarne e trarne profitti per la gestione degli anni a venire. Portare finalmente i tifosi e gli appassionati a chiedersi quale sia il talento, a chi appartenga il nuovo gioiellino per il quale nella fortuna del Draft le società di serie superiore pregheranno tutte le divinità possibili e immaginabili. Ogni grande soluzione ha bisogno di grandi cambiamenti, drastici a dir poco. E solo allora, come si direbbe utilizzando il gergo matematico: C.V.D